Centododici

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Mi scoppia il cuore.
Non so cosa fare, vorrei che Giuseppe fosse qui per saltargli al collo e riempirlo di baci, vorrei che Amir fosse già qui per riempirlo di baci, vorrei urlare, vorrei manifestare la mia gioia in maniera plateale.
Invece piango di nuovo. Vorrei telefonare a mia madre ma mi blocco perché ho paura che la mia gioia venga frenata dai suoi distinguo, dalle sue puntualizzazioni, dall'elenco delle cose di me che devo modificare se voglio tirare su un figlio, allora telefono a Giulia.

"Giulia?"
"Ele! Ciao, come stai? Volevo giusto chiamarti".
Tento di dire "Bene, grazie", ma rinizio a piangere.
"Ele! Ma cosa è successo? Di' qualcosa però, non piangere".
Riesco solo a farfugliare "Aspetta", poggio il telefono e mi soffio il naso, poi prendo un respiro profondo mentre riporto lo smartphone all'orecchio. "Mi ha appena chiamato Giuseppe, abbiamo l'affido definitivo di Amir".
"Ele, ma è meraviglioso! Ma non sei contenta?"
"Certo che sono contenta", riprendo a piangere.
"E allora perché piangi?"
"Non lo so, non riesco a smettere. È come se... è come se si stesse sciogliendo qualcosa dentro di me".
"E tu lasciala sciogliere, Eleonora".
"Sì".
"Ele".
"È che in questo momento mi sento molto sola, Giuseppe manco torna a casa stanotte... avrei bisogno di abbracciarlo e di essere abbracciata".
"Se ti basta un abbraccio senza altre implicazioni", ride, "perché non vieni qui? Avvisa tuo marito che stanotte dormi da me. Teresa mi chiede sempre quando vieni, le manchi molto. Tra l'altro le ho raccontato di Amir, non vede l'ora di conoscere il cuginetto".
"Va bene, dai, fra poco arrivo".

Chiusa la telefonata mando un messaggio a Giuseppe, non voglio disturbarlo con una telefonata, sapendo quanto possa essere incasinato.

"Beppe, se mi confermi che non torni a casa, vado a dormire da Giulia che abbiamo un po' di pettegolezzi arretrati".

Ovviamente non faccio parola del mio turbamento perché non voglio farlo preoccupare.

"Purtroppo ti devo confermare che non ce la faccio a tornare. Divertitevi tu e Giulia, ci sentiamo domani".
"Amore, se vuoi puoi chiamarmi a qualunque ora eh".
"Lo so, Ele, tranquilla".
"Ti amo".
"Ti amo anche io".

Metto in una borsa un pigiama, lo spazzolino da denti, il cambio per domani e vado da Giulia.
Teresa mi fa le feste. È cresciuta, non la vedo da un po'. Ha iniziato la prima elementare anche se i sei anni non li ha ancora compiuti ed è ansiosa di farmi vedere che cosa fa a scuola, e io sono veramente emozionata nel vedere come stia diventando grande. Giulia ha gli occhi un po' lucidi, ma cerca di dissimulare.

"Che bella che è tua figlia", le dico quando Teresa finalmente si è addormentata.
"Sì, lo è".
"Sei bella anche tu, Giulia, fa proprio bene al cuore vederti insieme alla bambina".
"Sarai bellissima anche tu con tuo figlio, Ele".
Rimango in silenzio.
"Speriamo. Io spero solo di non fare danni".
"Ele... ma hai dei ripensamenti, non sei convinta?"
"No, no, Giulia. Assolutamente. Ho solo paura di sbagliare, di fare del male ad Amir".
"Ma male in che senso? Fisicamente, o cosa?"
"No, non in quel senso... ho paura di sbagliare, di farlo soffrire. Di renderlo infelice".
Giulia sospira.
"Ele, ti dico una cosa che, se non te l'hanno già detta, te la sentirai dire un milione di volte. Sbaglierai, amica.
Tantissime volte. E lo farai soffrire, ovviamente non volendo. Renditene conto subito di questo e fattene una ragione, poi da lì costruisci e vai avanti. Il fatto che tu ne sia consapevole, ti ponga delle domande e abbia l'obiettivo di fare bene ti pone già una spanna al di sopra di molte altre donne, e uomini anche, che sono totalmente inconsapevoli di cosa voglia dire essere genitori".
"Ok".
"E poi ci sono io, Ele, puoi venire da me quando vuoi. Chiamarmi quando hai un dubbio. Se Amir non mangia, non dorme, gli fa male la pancia, chiamami.
Ci sono già passata, e so bene cosa voglia dire essere divorata dai dubbi e dalle angosce. E ah, Ele. Non passa. Il figlio cresce, le tue paure semplicemente cambiano".
"Ok, ho capito. Grazie". Sorrido.
"Ah, Ele, ho tirato giù un paio di scatoloni di vestitini di Teresa di quando aveva l'età di Amir. Per la maggior parte sono magliettine e pantaloncini, ti ricordi che già dall'epoca pretendeva di scegliere lei come vestirsi?"
"Certo che mi ricordo! Chissà da chi avrà preso il caratterino", scherzo.
"Eh, comunque tutte le cose che ho sono praticamente unisex. Spero che non ti offenda se ti offro le cose di Teresa, lo so che ve le potete comprare nuove e pure più lussuose, ma lo sai che penso che tutto ciò che può essere riutilizzato, debba esser riutilizzato".
"Lo so Giulia, e sai bene che sono d'accordo con te. Non ti preoccupare, mi fa molto piacere prendere i vestitini di Teresa".
Passiamo il resto della serata a fare una cernita di magliettine, jeans, giubbottini, insomma, inizio a mettere su un bell'armadio per il mio bambino.
Quando finalmente andiamo a dormire mi sembra di essere un po' più serena, Giulia ha questa capacità meravigliosa di riuscire a farmi vedere le cose dal lato giusto.


Nelle settimane successive sistemiamo la cameretta per nostro figlio. La nostra scappata all'Ikea viene trasformata da Rocco in un evento mediatico, soprattutto sui social, ma tutto sommato riusciamo abbastanza agilmente a fare gli acquisti che ci servono. Prendiamo un lettino singolo, col secondo letto nascosto al di sotto, in modo da avere un posto letto in più, ad esempio, per mia madre se dovesse venire a darmi una mano col bambino. Un armadio, un fasciatoio che funge anche da cassettiera e dopo aver spostato una libreria, e svuotato un'altra per fare posto ai suoi giochi, e ai suoi futuri libri, la cameretta è pronta.
Guardiamo la stanza, cingendoci i fianchi l'un l'altro. Giuseppe mi attira ancora di più verso di sé, per allacciare i miei occhi ai suoi, per un tempo infinito.
"Allora, andiamo a prendere nostro figlio?"
"Sì, amore, andiamo".

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