Settantatré

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Sabato 15 agosto

I giorni dopo la visita ad Amir sono stati particolarmente duri. Ogni tanto ho delle crisi di pianto, ma mai in presenza di Giuseppe, così non si è accorto di niente, o almeno spero.
Stasera abbiamo la cena a casa di Gualtieri, io ovviamente non ho alcuna voglia di andarci ma non ho intenzione di fare un plissée, cercherò quindi di essere tranquilla e sorridente. Come lo può essere un'asociale, chiaramente.

Giuseppe è a Palazzo Chigi. Il 15 agosto. Temo che lo facciano fuori le sue stesse guardie del corpo, ma no, oggi c'è Loi di turno, sono tranquilla.
Lo chiamo.

"Ohi, ti posso rubare un secondo uno?"
"Dimmi".
"Che cazzo mi metto stasera?"
"Eleonora..."
"E dai, non fare quello che non dice le parolacce, che ti ho sentito dire delle cose che i poveri camalli, a Genova, quasi piangevano".
Ride. "Ok. Perché non ti vesti come eri vestita l'altra sera in Puglia? Vestitino a fiori, sandali, tutto. Stavi davvero bene, erì così... non lo so, gaia? Prima di asfaltarmi sull'intervista, intendo".
Rido io.
"Ok, vada per il vestitino gaio. L'hai preso il vino?"
"No".
"E non puoi mandare a comprarlo qualche scagnozzo, sottosegretario, Di Maio..."
"Eleonora!"
"Ok, ciao, a dopo".

Alle otto arriva a casa.
"Sei pronta? Siamo in ritardo!"
"Siamo?"
"Ok, mi faccio una doccia velocissima e sono pronto".
È effettivamente pronto in un quarto d'ora, per essere uno che sta in bagno più di me sono davvero stupita.
Si è anche fatto la barba.
"Ma ti sei davvero lavato o hai fatto finta come i bambini?"
Mi lancia uno sguardo incendiario mentre si passa giusto un'idea di dopobarba. In effetti profuma così tanto di buono che sì, sicuramente si è lavato.
"Il vino?"
"In macchina".
"Chi l'ha comprato?"
"Di Maio".
Si è messo dei jeans blu scuri, una camicia blu coi primi due bottoni slacciati e portata negligentemente fuori dai pantaloni.
Se domani nessuno ha più notizie del Presidente Conte sappiate che è stata la moglie.
Però i miei bollori vengono gelati quando lo vedo buttarsi sulle spalle il maglioncino di cotone blu.
"No, cazzo, Giuseppe".
"Cosa?". Chiude il portone di casa.
"No, il maglioncino sulle spalle no. Sembri la buonanima di Berlusconi, parlandone da vivo".
Inizia a ridere così tanto che si deve sedere su un gradino.
"Ma cosa ridi, te lo togli da lì sto maglioncino? O lo tieni in mano o lo dai a me e te lo tengo io, ma che cavolo".
Me lo porge e scendiamo le scale così, lui che ride alle lacrime e io che scuoto la testa.

Arriviamo in macchina e alla guida trovo Loi.
"Mauro, ma sei di turno anche stanotte? Se vuoi far fuori il Presidente per vendicarti, non farti scrupolo eh. Basta che poi mi riporti a casa".
"Non ti preoccupare Eleonora", ride, "L'ho chiesto io per avere libero tutto il fine settimana prossimo".
"Ah, allora va bene".
"Piuttosto", interviene Giuseppe, "Visto che siamo tutti e tre assieme vorrei parlare di una questione".
Io lo guardo con un espressione tipo pesce bollito.
"Dica pure Presidente".
"Allora, Loi, devo sistemare la questione della scorta di Eleonora. Luciana Lamorgese mi sta pressando perché ancora non è attiva, mia moglie mi sta pressando perché non la vuole, io pensavo di ucciderle entrambe e poi chiederti aiuto per eliminare i cadaveri".
"Sempre al suo servizio Presidente". Bravo Mauro.
"Seriamente, uno dei modi per uscire da questa impasse potrebbe essere che tu passassi dalla mia scorta a quella di Eleonora, però questo solo se a te va questo cambiamento, altrimenti non se ne fa niente".
"Sì Mauro", intervengo io, "Io so perfettamente che anche per la tua carriera futura il servizio prestato col Presidente ha più peso, perciò puoi dire tranquillamente di no, lo sai che non cambierebbe di una virgola il mio affetto per te".
"Chiaro anche che il tipo di servizio sarebbe diverso, con Eleonora avresti più tempi morti ad esempio mentre è a scuola. Comunque non devi rispondere adesso, prenditi qualche giorno per pensarci, visto che oltrettutto hai qualche giorno di ferie. A proposito, ti sposti da Roma o rimani qui, se posso chiedere?"
"Vado in provincia di Bolzano, in un paesino di montagna proprio al confine con l'Austria".
"Non ti facevo tipo da paesino di montagna, Loi".
"È il paese del mio compagno, Presidente, non è ancora tornato a casa da quando è finito il lockdown".
"Ah, beh, allora è proprio il caso di andarci. Beh, riposatevi allora, e pensaci".
"Non ho bisogno di pensarci, Presidente, se vuole posso risponderle anche adesso".
"Dimmi pure".
"Se per lei davvero non è un problema, io sarei molto contento di passare alla scorta di Eleonora. Oltre il fatto che mi fa piacere passare del tempo con sua moglie, quelli che lei giustamente definisce come tempi morti per me sarebbero una manna dal cielo per studiare e finire questo benedetto dottorato".
"Va benissimo, Loi, lucido e razionale come al solito. Dopo che torni dalla montagna formalizziamo il passaggio al nuovo incarico, va bene? E ricordati che da parte mia io sarò sempre disponibile a certificare la tua professionalità con estremo piacere e, lasciamelo dire, amicizia".
"La ringrazio Presidente, troppo buono".
Io stringo la mano di Giuseppe, riconoscente, poi mi sporgo verso Mauro e gli do un bacio sulla guancia.
"Cavoli tuoi, amico", gli dico, imitando la voce del classico vecchietto dei vecchi film western. Ridono entrambi, che belli che sono.

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