Quarantaquattro

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Io e Niccolò arriviamo fino al pianerottolo di casa. Faccio un po' di fatica ad aprire la porta blindata e lui mi suggerisce di tirare un pochino la porta verso di me, la serratura è leggermente disassata e così si apre più facilmente. Ha ragione, è evidente che ha visto fare quella manovra al padre centinaia di volte.
Una volta aperta la porta annaspo cercando l'interruttore e Niccolò è rapidissimo a infilarsi sotto il mio braccio, entrare in casa, accendere la luce dell'ingresso e dirigersi velocissimo verso la sua camera. Non so se consciamente o meno, ma ha sottolineato in un attimo che quella è casa sua e io per ora sono un'ospite.
Con questa sensazione che mi stringe lo stomaco entro anche io in casa. Mi dirigo verso la cucina per vedere qual è la sua dotazione, che cosa potrebbe mancare, che cosa potrei anche portare dalla mia casa lontana, eventualmente.
Niccolò mi raggiunge, ha in mano due custodie di dvd, presumibilmente i giochi che voleva.
"C'è una coca?"
"No, Niccolò, mi dispiace, non c'è proprio niente in casa".
Si siede in uno di quegli scomodissimi sgabelli da bar appoggiati all'isola centrale, e parte secco con le domande.
"Come mai hai le chiavi di casa?"
"Me le ha date tuo padre".
"E perché?"
"Perché a breve io e tuo padre verremo a vivere qui".
"Quando?"
Porta avanti un interrogatorio serratissimo, da consumato inquirente. Lo vedo bene in Polizia.
"Non lo so, lo vedi quanto è impegnato tuo padre... anche quando torna da Bruxelles è probabile che gli venga meglio stare ancora un po' a Palazzo Chigi. Ma presto".
"E io?"
"In che senso e tu, Niccolò?"
"Io dove vado se tu vieni qui".
"Niccolò, questa è prima di tutto casa tua, quindi tu continuerai a venire qui quanto e come facevi prima di tutto questo problema del virus, solo che ci sarò anche io. Ti crea problemi se farò parte di questa famiglia?"
Non risponde alla mia domanda, ma continua con le sue.
"Ma vi dovete sposare?"
"Mi ha chiesto di sposarlo, sì, e io ho accettato, ma non sarà una cosa immediata".
Rimane in silenzio.
"Ti dà fastidio se tuo padre si risposa Niccolò?"
Non risponde.
"Niccolò?"
"No, perché tanto lo so che lui e mia madre non si rimettono insieme. Anche mia madre ha un altro fidanzato, solo che lei non lo sposa".
Eccomi qua, novella Maleficent. Potrei fare un'altra scena madre delle mie, mollare tutto, tornarmene nelle mia città e mandare tutto a monte.
Scelgo invece la via adulta, quella di avvicinarmi a Niccolò e abbracciarlo e parlargli.
"Niccolò... io lo capisco che per te sia difficile. Anzi, in realtà non posso capire tutto, perché mio padre adesso non c'è più, ma è rimasto con mia madre finché era vivo, io non so cosa voglia dire avere i genitori separati, ma i tuoi genitori, entrambi, ti vogliono un bene da morire".
"Mio padre non c'è mai, e mia madre è sempre nervosa e mi sgrida".
"Tesoro...", lo abbraccio. "Tuo padre adesso sta facendo una cosa molto importante, molto. Ne va anche del tuo futuro, Niccolò. Se lui in questo momento sta togliendo del tempo a te è perché sta cercando di fare in modo che tanti problemi non ci siano più, o siano meno gravi. Ma ti assicuro che ne soffre moltissimo, davvero tanto".
Lo guardo, non mi sembra convinto.
"E tua madre non è che è sempre nervosa. Ha tante cose da fare, e in questo periodo è stata anche molto preoccupata per la situazione che abbiamo vissuto tutti, sarà stata terrorizzata all'idea che tu ti ammalassi".
"Tu sei innamorata?"
Mi guarda con uno sguardo penetrante quanto quello del padre, che mi mette ancor più in imbarazzo.
"Sì Niccolò, sono innamorata di tuo padre".
"E lo vuoi lasciare?"
"No, non ho intenzione di lasciarlo".
Mi guarda ancora poi salta giù dallo sgabello.
"Ok, possiamo andare".
Lo riaccompagno a casa. Io sono stremata, quasi quasi per rilassarmi vado a farmi interrogare dalla Digos.

È notte fonda quando mi squilla il cellulare. Ho appena visto la diretta in cui Giuseppe risponde alle domande dei giornalisti al rientro in albergo e l'ho visto a dir poco distrutto. Pochi minuti dopo mi chiama, evidentemente è appena salito in camera.
"Ciao, ti ho svegliato?"
"Ehi, ciao, no che non mi hai svegliato! Ti ho appena visto alla televisione".
"Mh".
"Come stai? La verità, per favore".
"Sono stanchissimo, oltre ogni immaginazione. Non ne posso più. Vorrei dormire per una settimana".
"Posso chiederti come sta andando?"
"Male cazzo, sta andando male".
"Mi dispiace, amore. Però tu stai facendo un gran lavoro, di questo devi essere orgoglioso".
"Già".
"Ehi... senti, vuoi che ti faccia compagnia finché non ti addormenti?"
"Sì, mi farebbe piacere, grazie".
"Allora metti in vivavoce mentre ti spogli e ti prepari per andare a letto".
Finito di cambiarsi, si mette a letto e toglie il vivavoce.
"Sai, oggi ho parlato con Niccolò".
"Con Niccolò?"
Gli racconto il pomeriggio con Valentina e poi la conversazione avuta con suo figlio.
"Ha un futuro da inquisitore quel ragazzino", rido.
"Grazie per avergli risposto in maniera così franca".
"Non sono un genitore, ma da figlia, penso che si debba essere sempre il più diretti e sinceri possibile. Calibrando magari le parole e adeguandole all'età, ma senza censurare le informazioni".
"Sono perfettamente d'accordo, Valentina un po' meno".
"Piuttosto, mi dispiace essere stata io a dirgli che vivremo assieme e non tu, ma appunto, non volevo eludere le sue domande".
"No, no, hai fatto benissimo. Anche io avrei preferito parlagliene per primo, ma non ho avuto neanche un secondo e questa cosa, che sto trascurando mio figlio, mi sta distruggendo".
"Non fare così, dai. È piccolo ma è abbastanza grande da capire le motivazioni della tua assenza, dall'emergenza covid in poi. Fai tesoro di questo tuo sentimento per il futuro e cerca di ritagliarti più spazio per lui".
"Sì, grazie".
La voce quasi non si sente, si sta addormentando.
"Ok, ora rilassati e non pensare a domani".
Gli dico ancora qualche parola e non mi risponde più, si è addormentato.
Gli auguro comunque la buona notte, certa che la mia voce gli arriverà anche nel sonno e chiudo la chiamata.
"Buona notte, amore mio", dico di nuovo fra me e me.

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