Ventiquattro

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È qualche giorno che non vedo il Presidente. È molto impegnato, ovviamente, e io non voglio certo fare l'appiccicosa. Ogni tanto gli mando un messaggio, ma parliamo di due, massimo tre, messaggi al giorno. A volte non risponde, ma vedo che li legge perciò va bene così. Non ho la paranoia del "oh, mio dio, non mi ha risposto", almeno questa non l'ho mai avuta. In questi giorni però ho molto tempo per pensare perché la figlia della mia amica è col padre, Giulia è al lavoro fino alle cinque, e io non ho molto da fare. Le metto un po' a posto casa per sdebitarmi della sua ospitalità e penso.
Penso che devo capire cosa fare di me e della mia vita e se nella mia vita ci sarà anche Giuseppe o meno. Se ce ne sono le condizioni reali, perché di buone intenzioni, si sa... Sto anche dando uno sguardo, a titolo meramente informativo, agli affitti e se voglio stare in una zona appena decente anche un monolocale parrebbe essere fuori dalla mia portata. E poi cerco di pensare a come organizzare le mie cose a casa, cosa portare, cosa lasciare... ma soprattutto come gestire mia madre, cosa dirle, come venire a capo del mio senso di colpa.
Mia madre, pur essendo perfettamente in salute, indipendente (tranne quando mi deve tormentare con le commissioni da fare) e in grado di gestirsi autonomamente, ha comunque una certa età e ovviamente il suo non potrà che essere un cammino in discesa, come è normale che sia, e lasciarla sola ora mi sembra una bastardata, a prescindere dal nostro rapporto complicato. Allo stesso tempo non posso pensare a rinunciare a Giuseppe, a non provarci.
Sono giorni pesanti, ma cerco, per quanto posso, di viverli con leggerezza.

Mentre sono ferma davanti a un negozio di scarpe, pensierosa, squilla il telefono. È lui.
"Che fai?"
Io non so se lo faccia apposta di essere così diretto, senza mai salutare, ciao, come stai?, se è per non far capire che sta parlando con un'ipotetica amante, ma cavolo gli chiuderei il telefono in faccia. Invece respiro profondamente e rispondo:
"Guardo scarpe".
"O mio dio, sei anche tu la classica donna attratta dalle scarpe?"
"Mi duole ammetterlo ma sì, almeno in condizioni normali".
"Cosa intendi con in condizioni normali?"
"Che normalmente sì, quando passo davanti a un negozio di scarpe, sento che la mia vita potrebbe davvero finire immediatamente se non compro quel paio, quell'altro, o quell'altro ancora, o magari tutti e tre, ma ora sono qui davanti da dieci minuti e non sento questo bisogno carnale, e sono belle eh, dovresti vederle".
"Mh, ho una mia teoria".
"Tipo quale?"
"Che adesso non hai più bisogno di un surrogato del sesso". Ride mentre lo dice.
"Allora, a parte che le scarpe non sono un surrogato del sesso, semmai è il sesso a essere un surrogato delle scarpe..."
Mi interrompe: "Scusami Ele, starei ore a parlare di sesso e scarpe, ma non ho molto tempo, ti devo dire due cose".
"Agli ordini".
"La prima è veloce. Ti ricordi Giovanni, il cameriere?"
"E come no!"
"Allora, deve venire domani mattina per un colloquio con me e Bonafede, ci possono essere un paio di posizioni per lui, vediamo cosa ne pensa".
"Ma dai, sono contenta!"
"Ok, allora, siccome è nel panico, ti chiedo la cortesia se lo puoi incontrare domani mattina e accompagnarlo tu, visto che ti conosce magari si rasserena un po'".
"Volentieri, non c'è nessun problema".
"Oh. Poi un'altra cosa"..
Ora ha una voce seria che mi preoccupa.
"Dimmi".
"Vieni qui da me stasera? Ti devo parlare".
Mi cedono le ginocchia e la butto in caciara per non morire lì, davanti a quel negozio di scarpe, che non sono neanche Louboutin, peraltro.
"Ma generalmente non sono le donne a tirare fuori il ti devo parlare? Cosa sono questi tentativi di ribaltamento di ruoli?"
"E dai, sii seria".
"Mi devo preoccupare?", mi trema la voce, spero non se ne accorga.
"Ma no, stai tranquilla. Però ho necessità di dirti delle cose con un po' di calma e se vieni qui stiamo tranquilli e nessuno ci disturba e possiamo discorrere con serenità".
"Ok. A che ora vuoi che arrivi?"
"Senti, pensavo di farti venire a prendere, FAMMI PARLARE! Dicevo, pensavo di farti venire a prendere così salti la trafila del controllo documenti, controllo temperatura, trigliceridi eccetera visto che entri direttamente in macchina".
"Che bello, come un ministro".
"Esatto, come un ministro. Dio ce ne scampi".
"Cos'hai detto?"
"Niente, niente".
"E a che ora verrò prelevata, volevo dire, mi verranno a prendere?"
"Posso dare il tuo numero a Loi così vi mettete d'accordo?"
"E dai il mio numero a Loi, cosa ti devo dire?"
Si mette a ridere.
"Va bene, a più tardi. E portati il cambio per domani".
"Sì papà".

Ti devo parlare. L'ansia che stavo cercando di tenere a bada adesso è esplosa in tutta la sua potenza di fuoco. Cerco di respirare e mi impongo di non pensare, non farmi film mentali, provo anche a pensare all'idea di entrare nel negozio di scarpe ma mi viene un conato di vomito, e se neanche le scarpe mi tranquillizzano, Houston, abbiamo un problema.
Vado a casa, mi faccio una doccia, mi lavo i capelli, più per non pensare a niente che per reale necessità.
Mentre li sto asciugando squilla il cellulare. Numero privato.
"Pronto?"
"Dottoressa Serra? Sono Loi".
"Buonasera Loi, mi dica".
"Se non ci sono problemi, passerei a prenderla alle sette, va bene per lei?"
"Perfetto. E, Loi? Io mi chiamo Eleonora, non dottoressa".
"Va bene, Eleonora, a più tardi".
Non mi ha chiesto l'indirizzo ma va da sé che gliel'ha dato il Pres. Finisco di asciugarmi i capelli e metto in borsa il cambio per la notte e per l'indomani, meno male che siamo in estate e due magliette e la biancheria intima occupano poco spazio.
Finito, scrivo un biglietto a Giulia, Stanotte sono da Giuseppe. Lovv. e lo attacco al frigo vicino a un disegno di Teresa, poi mi siedo su una sedia, ad aspettare l'arrivo di Loi, come se fossi nella sala d'aspetto del dentista.

Lui arriva puntuale alle sette.
"Buonasera Eleonora", mi dice mentre mi apre la portiera.
"Buonasera...", e lo guardo con aria interrogativa.
"Mauro", mi risponde, aprendosi finalmente in un sorriso.
"Buonasera Mauro", dico sorridendo, "Le stringerei volentieri la mano ma non si può e abbia pazienza ma motivi religiosi mi impediscono di fare quella cosa con il gomito".
Abbozza anche una risata, è uno sbirro ma forse lo posso ancora salvare.
"Mauro, mi dispiace che lei debba farmi da autista, infatti su questa cosa io e il Presidente non siamo per niente d'accordo".
"Non si preoccupi Eleonora, non è nessun problema, come arriviamo finisco il turno e per oggi sono libero", e mi sorride dallo specchietto.
"Ha famiglia Mauro?"
"No, non ancora". In effetti è molto giovane, secondo me non ha neanche trent'anni ma non voglio essere troppo importuna con le domande.
"Beh, allora si diverta. Cosa prevede la serata, se posso chiedere?"
"Una partita di calcetto con i colleghi". Un grande classico. Gli faccio il segno del pollice alzato dallo specchietto. Mi sorride di nuovo, ormai ho un nuovo amico.
Quando arriviamo lo saluto, "Passi una buona serata Mauro".
"Anche lei Eleonora", e salgo verso l'appartamento del Presidente, con lo stomaco pieno di pietre.

Busso alla porta e mi apre, camicia bianca aperta sul collo, maniche arrotolate. Sorride, buon segno. Mi bacia sulla guancia, no buon segno.
Mi fa accomodare sul divano e si siede sulla poltrona, lontano da me. Benissimo.
"Allora, di cosa mi volevi parlare?", gli chiedo sorridendo, ma convinta di stare per morire.

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