Steve Rogers

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Ci era riuscito. Thanos alla fine era riuscito nella sua missione: aveva schioccato le dita e aveva fatto sparire metà dell'universo.
Steve, con ancora le ultime parole del suo migliore amico che gli rimbombavano nelle orecchie come una crudele cantilena, fissava incredulo quello che rimaneva della sua squadra. Faceva mentalmente la conta di quelli che non c'erano più, ma sarebbe stato più facile contare chi invece era ancora lì. Thor, Natasha e Bruce fissavano il vuoto, probabilmente anche loro increduli. Nessuno riusciva a capacitarsi, non erano mai dovuti scendere a patti con una sconfitta. Non c'era stato tempo per pensare all'eventuale disfatta, ma anche se ci fosse stato loro non ci avrebbero comunque pensato. Combatti e speri che vada tutto per il meglio, questo è quello che si deve fare. Loro erano i buoni, loro erano coloro che lottavano dalla parte del bene; in un mondo giusto, i buoni non perdono. Avevano capito, nel peggiore dei modi, che quello in cui vivevano non era un mondo giusto.

-Cazzo!-

L'esclamazione, arrivata dal più insospettabile, era risuonata per quel piccolo bosco insolitamente silenzioso.
Non si sentiva neppure un uccellino, non un suono che facesse intuire la presenza di qualche forma di vita. Nessuno sembrava aver fatto caso al capitano, tutti ancora imbambolati e persi nei propri pensieri.

-Non... Non è possibile. Non può essere successo. Non possiamo aver perso. Noi siamo gli Avengers, noi non perdiamo-

Dopo lo schiocco, di Steve Rogers rimaneva solo un'incessante parlantina. Anche se ancora fisicamente presente, la situazione surreale con il quale si dovevano confrontare, l'aveva distrutto psicologicamente.

Lui che di parole non ne usava mai più del necessario; lui con lo sguardo fiero e la costante sicurezza di riuscire ad aiutare sempre chi non poteva difendersi da solo; lui che il nervosismo sembrava non sapere nemmeno cosa fosse; sedeva a terra, con gli occhi sgranati e una mano che stringeva con forza i capelli, andando avanti con il suo farfugliamento confuso.

Poi un lampo nella sua mente che aveva diradato il nebuloso e caotico accavallarsi dei pensieri.
Un nodo alla gola e una stretta allo stomaco l'avevano scosso non appena il nome di lei era apparso nella sua mente. Ed ecco che alla già difficile situazione si era aggiunta un'ulteriore preoccupazione.
Sapeva bene che, nonostante miliardi di vite umane -e non- fossero state spazzate via solo qualche minuto prima, se anche lei non ci fosse stata più, quella sarebbe stata la vera tragedia per lui.

Le mani tremavano ed erano sporche di terra e di un liquido, non ben identificato, proveniente dagli alieni che fino a non più di un'ora fa erano la preoccupazione maggiore. Poco gli importava comunque, il resto del suo corpo non doveva essere messo in condizioni migliori. Di certo non si sarebbe preoccupato della doccia o di prepararsi un bagno caldo quando nell'universo continuava la decimazione.

Aveva preso il telefonino dalla tasca, sollevato che non si fosse rotto durante i vari combattimenti, e velocemente aveva composto il suo numero. Quel numero imparato a memoria da quante volte lo aveva composto. Ogni volta che aveva un momento libero, ogni volta che si fermava in un posto nuovo, ogni volta che la sua latitanza diventava troppo opprimente da sopportare, ogni volta componeva quel numero.

Uno squillo.

Il respiro che si faceva più pesante.

Due squilli.

La gola secca e la stretta al cuore che lo stava facendo soffocare.

Tre squilli.

La mente che pensava e ripensava alla possibilità che lei non fosse nella metà "fortunata".

Quattro squilli.

Il panico che velocemente si stava impossessando del suo corpo.

Poi, prima del quinto squillo...

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