Zombie

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Non ricordiamo più la vita di prima.
Non sappiamo quanto tempo sia passato.
Non sappiamo quanto ancora potremo vivere così, probabilmente non a lungo.

La natura aveva ripreso il possesso del mondo, solo poche costruzioni ancora si notavano tra la vegetazione.
Niente più tecnologia, niente più energia elettrica, niente più televisione, niente di niente.
Ogni tanto qualcuno cerca di comunicare via radio, ma sono sempre piccole e brevi frasi, niente di veramente significativo.

Era solo un virus, niente di preoccupante, gli scienziati avevano tutto sotto controllo. Così avevano detto.
Nel giro di pochi mesi il contagio aveva trasformato in zombie metà della popolazione. Dopo un anno non si aveva più traccia di quanti eravamo rimasti.

Io studiavo, ero al college quando tutto ebbe inizio, lontano dalla mia famiglia, lontano dai miei amici.
Poco tempo dopo il contagio ero partita, cercando di riunirmi ai miei cari.
Dopo un lungo viaggio ero finalmente tornata a casa, della mia città non era rimasto nessuno.

Ero sola, non sapevo chi o quanti ancora lottavano per la propria sopravvivenza.
Ero pronta a farla finita, che senso aveva continuare a resistere se tutti quelli che amavo non c'erano più?
Per me non aveva più senso continuare, non vedevo nessuna luce in fondo al tunnel.

Poi era arrivato lui.

Un fulmine a ciel sereno.

Mi aveva trovata proprio un secondo prima dell'irreparabile.
Non aveva ragionato, non sapeva chi ero o da dove venivo, non mi conosceva ma mi aveva salvato.

Si era avvicinato lentamente a me, quasi fossi un gatto pronto a fuggire, e aveva iniziato a parlare.
Si era presentato, Steve, così aveva detto di chiamarsi.

Solo con poche parole, solo con un breve contatto umano, quello che cercavo da tanto, mi aveva convinto a non premere il grilletto.
Adesso non mi ricordo neanche come avessi fatto a trovare quell'arma, ma ormai non importa più. La pistola la tiene ancora lui, preoccupato che io possa crollare da un momento all'altro.

Eravamo soli, senza nessuno su cui contare, senza nessuno a guardarci le spalle. Per questo avevamo deciso di fare squadra, non si può sopravvivere ad un'apocalisse zombie da soli.

Non ci era voluto molto per entrare in sintonia, eravamo due corpi ma una sola mente. Eravamo persino arrivati al punto di intenderci senza neanche parlare.

Lui era diventato essenziale per me, come io lo ero diventata per lui.
Noi due contro tutti. Forse gli ultimi sopravvissuti della specie umana.

Non posso dire che la nostra vita era rose e fiori, anzi, non posso nenache dire che fosse vita.
Ci limitavano a sopravvive, arrivare a fine giornata ancora vivi; era questo l'importante.

Come un tipico cliché di tutti i film post-apocalittici, ci eravamo innamorati.
Beh, non che avessimo tanti altri tra cui scegliere.

Per me lui era tutto, l'unico raggio di sole in quelle perenni nubi.

Vivevamo la nostra storia d'amore con semplicità. Ci bastava poco per essere felici, anche in una situazione del genere.
Molte volte mi trovavo a pensare che non fosse giusto, miliardi di persone morte e noi a fare i piccioncini.
Ogni qual volta che quei pensieri mi affollavano la mente lui mi stringeva a sé, mi abbracciava fino a quando, sfinita, mi addormentavo.
Steve sosteneva che era importante vivere piccoli momenti di felicità, dovevamo aggrapparci ad essi e goderceli. Per lui era l'unico modo per continuare a lottare.
Se ci fossimo abbandonati allo sconforto e alla tristezza non saremo sopravvissuti.

Io mi sforzavo di credergli.

I miei momenti preferiti erano quelli che passavamo nella radura, vicino al rifugio che ci eravamo costruiti.
Quando avevamo bisogno di staccare la spina per qualche istante andavamo lì.
Sdraiati sull'erba, osservavamo il cielo.

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