73- Non ci credo

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Strofino gli occhi, volendo reprimere quelle immagini che si sono cristallizzate con prepotenza nei miei ricordi. Emetto un verso strozzato nel rendermi conto che no, quelle scene non se ne andranno dalla mia memoria tanto facilmente. Un peso grava sul mio petto togliendomi quasi il respiro, ma mi faccio forza e cerco di alzarmi, sapendo di non avere tempo da perdere.

Mi appoggio alla parete quando, appena alzata, le vertigini mi colgono impietose. Continuando a usare la parete e i pochi mobili come appiglio esco dalla camera e scendo lentamente al piano inferiore. Apro una finestra e mi rendo conto che ormai è tarda sera; a quanto pare il sogno si è protratto più di quanto pensassi.
Mi fermo di scatto nel momento in cui, entrando in cucina, noto qualcosa che sono più che sicura prima non ci fosse. Riprendo la facoltà di camminare e osservo interdetta il pacchetto con il logo McDonald e la bottiglia d'acqua poggiati sul tavolo della cucina.

Ha davvero preso il mio rifiuto meglio del previsto a quanto pare.

O forse è semplicemente interessato a tenerti sott'occhio il più possibile? Facendoti trovare cibo già pronto puoi tornare subito lì genia. E sarebbe contro produttivo farti morire di fame.

Beh si... logico.

Senti sbrigati a mangiare, ho fame.

Roteo gli occhi e apro il sacchetto, venendo subito pervasa dal profumo salato di un hamburger.

Venti minuti dopo del cibo è rimasto solo un ricordo, e ho testato che a quanto pare questa fattoria è abbandonata da troppo tempo per avere acqua corrente.
Sarà una dura settimana.

Di nuovo distesa in quello scomodo materasso, sospiro pesantemente, lo sguardo fisso sul soffitto, prima di ritrovarmi di nuovo ad Abu Dhabi.

I giorni successivi scorrono con esasperante lentezza, nel continuo timore di fare la mossa sbagliata ed essere scoperta. Allo stesso tempo però sono pervasi da una grigia monotonia; la stessa routine si ripete ogni giorno identica a se stessa: passo intere ore in quel loft ultramoderno, in cui ho solo sporadici incontri con Morfeo, senza indicazioni su cosa fare, e ogni tanto posso tornare nel mondo reale per brevi lassi di tempo, non sufficienti per raggiungere un centro abitato e tornare.

Ma per ora va bene così. Certo, la situazione non è delle migliori, ma la cosa fondamentale è non lasciare neanche il minimo motivo a Morfeo per dubitare di me. Il tempo nel loft lo passo prevalentemente fra la camera in cui mi sono stabilita e la stanza della musica.
Le pareti sono ricoperte di materiale isolante color perla, e un pianoforte a coda nero troneggia al centro della stanza, attirando prepotentemente l'attenzione sulla sua presenza maestosa. Dei violini sono tenuti da delle strutture apposite a parete, osteggiati nelle loro fatture orgogliosamente pregiate e costose. Delle poltroncine in pelle nera sullo stesso stile del sofa in soggiorno invitano gli ospiti a mettersi comodi e prepararsi a un concerto in fieri. L'intera parete in fondo è in vetro, in linea con il resto dell'appartamento.

Ogni volta che entro in quella stanza automaticamente un sorriso aleggia sulle mie labbra, e dopo poco ho smesso di combatterlo. Sebbene non sia una musicista, ho sempre amato la musica, capace con le sue note di portarti alla vetta più alta e farti quasi toccare il cielo con un dito, ma anche di spingerti nelle profondità infernali fra i Campi della Pena, dilaniato da una struggente malinconia e da un dolore artigliante.

Morfeo è diventata una presenza saltuaria e riservata, sebbene in realtà non si sia mai dimostrato apertamente ostile e anzi mi abbia sempre fatto trovare cibo caldo nei miei risvegli. Sono le sue lunghe assenze però a preoccuparmi. Non solo non mi ha ancora spiegato quale sia effettivamente il suo piano, che sta probabilmente finendo di definire, ma sto iniziando a temere abbia trovato degli alleati.

Underwater - Figlia di PoseidoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora