Capitolo 78 - Smettila di massacrarti

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Il tempo, nonostante siamo chiusi qua a non fare nulla, passa relativamente in fretta. Presto inizia a fare buio, immagino sia ora di cena e a me inizia a venire fame. Caiden è tornato da poco dagli spogliatoi, ci è stato parecchio tempo. Non so cosa abbia fatto, all'inizio ho sentito dei rumori, poi è rimasto lì in silenzio per il resto del tempo. Adesso ci troviamo di nuovo nella stessa stanza, ma al contrario di prima, ora si trova di fronte a me a molta distanza. Non ci siamo più parlati, non si è fatto più aiutare. Si è messo lui da solo una benda al braccio ed è tornato ad evitarmi.

Io, invece, sono ancora confusa dal modo in cui si è sottratto da me. Sono ferma qui a pensarci dall'ora e ancora non capisco. Mi chiedo perché non voglia il mio aiuto, perché detesti soltanto l'idea. Ho provato a rispondermi da sola, ma non sono arrivata a nessuna conclusione.

«Perché non vuoi che ti aiuti?», mi sfugge ad alta voce. Ormai mi ha sentito ed è troppo tardi per tornare indietro. Lui, però, non risponde. Alza lo sguardo per guardarmi negli occhi quei pochi secondi e poi si rivolta. Ancora si ostina al volermi evitare e questa cosa è così ridicola che mi sfugge una risata nasale. Lui la sente. Vedo che vorrebbe chiedermi per cosa io stia ridendo, ma non osa. Non osa perché significherebbe parlarmi.

«Quindi è così che sarà tra di noi? Ci eviteremo e fingeremo che quello ci siamo detti finora non sia mai successo?», gli chiedo aspettando una sua risposta. Lui non ribatte, si limita a fissare la porta d'uscita.

«Perché continui a guardare la porta? Lo sai che non usciremo prima di domani, hai urgenza di farlo adesso?» domando visto che nell'ultima mezz'ora ha iniziato a fissarla più spesso.

"Devo uscire"

Mi chiedo cosa abbia di urgente da fare, ma poi improvvisamente mi illumino e unisco i punti.

«Ho capito» dico annuendo sempre più convinta. «Hai un incontro questa sera». Questo spiega la furia di prima del suo tentativo di uscire. Lui si volta velocemente verso di me e dal suo sguardo capisco di aver azzeccato in pieno.

«Non deve interessarti nulla di quello che faccio» sputa rabbioso.

«Invece sì, sai, ho fatto bene a interessarmi, visto quello che ho scoperto. Dimmi, da quanto va avanti questa storia?». In questo momento la paura di parlare con lui è completamente svanita, sostituita dal rancore che mi permette di darmi sfogo. Per un attimo penso sia deciso a non rispondermi, ma poco dopo mi stupisce.

«Da tanto tempo, ancora prima che tu ti trasferissi qua» confessa.

«Non l'hai ancora spiegato, perché lo fai?» chiedo con un groppo in gola.

«È complicato», è l'unica risposta che ricevo. Speravo avesse deciso di parlarmi e rivelare qualcosa di più, ma a quanto pare non accadrà.

«Perché?» insisto, ma lui non cede. A quel punto inizio ad innervosirmi e decido che è il caso di andarmene, non riesco più a reggere il suo silenzio. Mi alzo velocemente e raggiungo la porta, nonostante non si apri. Abbasso la maniglia ed insisto. Continuo per un bel po', fino a quando non sento le sue braccia cingermi da dietro e fermarmi.

«Lasciami» protesto dimenandomi.

«E tu molla la maniglia» ordina.

«No, sto cercando di aprirla, non vedi?! Almeno così puoi andare a fare a pugni».

«Stai buona e lascia perdere. Parliamone».

«E allora parla! Spiegati, non fare il misterioso, ho bisogno di sapere» dico quasi con voce tremante, voltandomi nella sua direzione e guardandolo fisso negli occhi. Lui annuisce a fatica e si stacca da me, allontanandosi di qualche passo.

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