KENNETH
Sono tornato a casa da poco, sono appoggiato con tutte e due le braccia sul bancone, con un bicchiere di succo ad ace in mano, il mio preferito. Vorrei poter dire che la giornata di oggi sia stata come le altre, ormai nonostante la mia miriade di problemi sono riuscito a trovare una sorta di equilibrio, ma non è così. Quella ragazzina è tornata e mi duole ammetterlo ma vederla nel cortile del college ha provocato in me un certo effetto. Non saprei spiegarlo, è una sensazione che non provavo da tanto tempo, non ne ho memoria.
Vederla giocare con mio fratello in cortile poi, ha risvegliato in me quel pizzico di impulsività, che forse non è solo un pizzico, visto che agisco per mano di essa la maggior parte delle volte, e mi ha spinto a fermarli, a farle sentire le mie solite osservazioni provocanti, quasi dette come ordini, per capire se il suo sguardo, se il suo modo di aggrottare le sopracciglia e schiudere le labbra in un'espressione che sembrava minacciosa solo a lei quando le davo fastidio, fossero cambiate. E non lo sono. Ha 19 anni, ma è la stessa bambina di 7 anni che avevo conosciuto io a 10.
E di me invece, non si può dire lo stesso. Io mi sento cambiato, dissociato da me stesso, anche se in fondo non lo sono realmente. Gli incubi notturni riguardanti quel bastardo di Max non mi permettono di dormire in modo corretto, provocandomi un'ossessione per il caffè. Il formicolio, il prurito alle mani ogni qualvolta ci sia qualcosa che mi rende estremamente nervoso è rimasto, così come l'annebbiamento totale della mente. Gli sbalzi d'umore la stessa cosa. Così come il fatto che quando sono stressato, o incazzato, l'occhio destro prende a sbattere e bruciare. E le volte che tutti questi sintomi vengono a galla, non sono poche. Io cerco di controllarmi non riuscendoci e questo mi provoca vergogna verso me stesso, perché è come mostrare debolezza. Sento ancora la voce di Max rimbombarmi in testa. Mio padre, che non poteva essere chiamato tale e quindi lo chiamo Max. Anzi, non lo nomino neanche ad alta voce, ma nella mia testa il suo nome e gli orrendi ricordi che mi legano a lui girano e rigirano continuamente.
"Devi imparare a mostrarti forte, Kenny. Nessuno ti amerà se mostri la tua debolezza. Ti avevo detto che non sopportavo i bambinetti stupidi che piangono, o no? Bene, visto che non hai ancora imparato a comportarti come un uomo, ora dovrai rendermi fiero di te." mi disse mio padre.
Mi ero tagliato il sopracciglio per sbaglio in modo abbastanza profondo quando lui mi aveva obbligato a cercare su uno scaffale alto un arnese per aggiustare il lavandino, glielo aveva chiesto la mamma perché era venuta a trovarmi qualche giorno prima e aveva notato che era rotto, ma a soli 6 anni lui voleva che io diventassi un 'uomo' e quindi stava lasciando fare tutto a me, dandomi delle direttive.
Max e mia mamma Nancy si erano lasciati quando io ero appena nato, ma mi toccava stare più spesso con mio padre, perché la mamma abitava a New York con il suo nuovo marito, Cole, e col mio fratellino Alec, nato dalla loro unione, ma che io consideravo comunque a tutti gli effetti mio fratello, la cosa più bella che la vita mi avesse potuto dare.
La scuola era qui nella mia città, Stamford, e quindi ero obbligato a stare 5 giorni su 7 con Max. Mentre cercavo uno strumento adatto, una chiave inglese scivolò colpendomi dritta sul sopracciglio e così mi ero procurato quella cicatrice. Dal dolore mi scese qualche lacrima e lui reagì così.
Mamma non si accorgeva mai di quello che mi faceva Max. Eppure, i lividi e molti altri campanelli d'allarme nel mio comportamento avrebbero dovuto almeno provocarle qualche dubbio. Io non le dicevo nulla perché papà aveva sempre detto 'Un vero uomo non getta i problemi sulle donne. Vai avanti da solo Kenny, perché rimarrai solo per sempre.'
Max mi strattonò violentemente trascinandomi dal mio braccino esile e nel pieno di gennaio mi sbattè fuori la porta, con i vestiti che avevo indossato il giorno stesso a scuola: una misera t-shirt e i jeans. La felpa che avevo indossato l'avevo tolta e lasciata sull'attaccapanni, perché in casa Max accendeva i riscaldamenti. Maledii me stesso per averla tolta...
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Maybe one day
Teen Fiction"Riusciremo mai a trovare pace, noi due?" "Forse un giorno.."