BRANDON

Avevo mantenuto la calma.

Io, Brandon Teller, ero rimasto calmo e non avevo ribaltato mari e monti nel vedere cosa avevano fatto al mio amico.

E se c'era qualcosa che mi faceva annebbiare la ragione, era quando facevano del male alle poche persone a cui volevo veramente bene.

Brittany, Kenneth, Tyler ed Harry erano tutto ciò che avevo di più caro al mondo. Se avessi perso anche solo uno di loro avrei dato di matto.
La loro vita valeva più della mia. E per loro avrei sacrificato di tutto.

Però, togliendo mia sorella, che era letteralmente colei che mi teneva in vita, Kent era quello con cui avevo legato di più. Anzi, il primo con cui io abbia mai legato in vita mia.

Ci conoscemmo a scuola a 15 anni, eravamo nella stessa classe. Entrambi eravamo i ragazzi che non parlavano con nessuno, entrambi stavamo per le nostre sempre.

Io non mi ero mai avvicinato a lui e viceversa, perché se una persona non ha voglia di parlare con nessuno, un motivo c'è sicuramente e deve essere rispettato. Io lo rispettavo e lui faceva lo stesso con me.

In realtà, tutti lo facevano con noi perché avevano imparato a loro spese cosa sarebbe successo se ci avessero infastidito.

Io ad esempio non parlavo con nessuno perché mi sentivo in colpa, non volevo avere amici e non mi sentivo degno di avere qualcosa di bello nella mia vita, sapendo a cosa andava in contro mia mamma ogni giorno. Non era giusto che io mi godevo la vita mentre lei era lì a prendersi le botte. Mi sentivo impotente.

Ed è proprio perché nella mia vita mi ero sempre sentito impotente, che non permettevo che nessuno facesse del male a chi mi stava affianco.
L'avevo già permesso per fin troppo tempo.

La prima volta che io e Kenneth parlammo fu piuttosto insolita, soprattutto per uno con il mio carattere. Non me ne fregava mai un cazzo di nessuno che non fosse mia sorella, ma quel giorno qualcosa fu diverso. Mi rivedevo in lui.

Ero arrivato a scuola, avevo appena mangiato un pacchetto di patatine (sì, a prima mattina) e preso una bottiglietta dalle macchinette, e mi recai in bagno a sciacquarmi le mani.

Però, sentii come dei singhiozzi provenire dall'ultimo bagno chiuso.
"Chiuso" poi è un parolone, perché la nostra scuola faceva così schifo che le porte neanche si chiudevano a chiave.

Solitamente non me ne sarebbe fregato nulla, sarei uscito e avrei fatto le mie cose, ma proprio quella mattina quando avevo cacciato in malomodo un ragazzino che chiedeva una firma per una petizione su uno stupido giornalino scolastico, mia sorella mi aveva detto che ero un 'burbero' e che dovevo cambiare atteggiamento.

Quindi decisi di avvicinarmi alla porta di quel bagno e fare una buona azione, nonostante avessi paura di pentirmene.

Non me ne sono mai pentito. Anzi, quella è stata forse una delle cose migliori che io abbia mai fatto.

"Tutto apposto lì dentro?" chiesi bussando sulla porta di quel bagno, era meglio chiedere prima di entrare e basta.

Però non ricevetti risposta, se non il continuo di quegli strani rumori, respiri strozzati. Fui quindi costretto ad aprire la porta, perché qualunque cosa stesse succedendo, se fosse stato grave non volevo un morto sulla coscienza sinceramente.

Vidi Kenneth seduto che si abbracciava alle ginocchia, boccheggiava in cerca di aria e tremava, tremava tantissimo.
Stava avendo un attacco panico.
E lo capii perché era ciò che succedeva anche a me più spesso del previsto.

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