ALEC

Ormai è passato qualche giorno ma le cose, dal mio canto, non sono per niente cambiate.

Manca relativamente poco a Natale. E non mi piace.

Non sento la tipica magia natalizia per nulla. È sempre stata la mia festività preferita da quando ne ho memoria, ma in questo momento non mi piace.

Il solo pensarci mi fa venire il voltastomaco.

È questo quello a cui pensavo prima di addormentarmi profondamente, nonostante fosse presto, circa le 10 di sera, sperando quasi di svegliarmi tardi per saltare la giornata di college che mi aspetta domani.

Salvo poi svegliarmi di soprassalto 1 oretta dopo a causa di un tonfo, un rumore sordo di vetro che proviene dall'unica camera occupata sul mio stesso piano della casa, quella di mio fratello.

Mi alzo e nonostante sia ancora stordito dal sonno mi avvio velocemente in camera sua. Appena spalanco la porta però, l'aria pungente di dicembre mi fa rabbrividire e il freddo mi entra nelle ossa, nonostante io indossi un pigiama pesante.

Le porte-finestre del grande balcone della camera di Kenneth sono spalancate, e riesco a vedere la sua testa dall'altra parte del letto, probabilmente è seduto a terra, mi dà le spalle.

Noto anche la lampada che era sulla sua scrivania, rotta in mille pezzi sul pavimento, e una bottiglia di scotch a metà sul comodino.

"Kent?" mi avvicino facendo il giro del letto e lo vedo dove avevo previsto, seduto per terra, con un bicchiere di scotch nella mano tremante, la fronte imperlata di sudore, le guance arrossate, e guarda un punto fisso fuori dalla finestra.

Indossa solo un pantalone di tuta. È a petto nudo. Non so come cazzo sta riuscendo a non morire di ipotermia, seduto lì di fronte alle porte-finestre.
Sta pure per piovere.

Non è ancora completamente ubriaco, ma ci è vicino.

È da sempre che ha momenti del genere. Solo che ultimamente sono diventati più frequenti.

Mio fratello ha passato l'inferno fino ai 10 anni di vita. Ha conosciuto violenza e nient'altro da quando è nato, da una persona che avrebbe dovuto insegnargli come vivere. Da quello che doveva essere suo padre, ma era solo un mostro.

Kenneth non è capace di sfogarsi lucidamente. Solo in questi momenti sono riuscito a farmi dire qualcosa. So molte cose sul suo passato e su di lui per il fatto che dopo che ne è stato tirato fuori, dopo quell'importante giornata che gli ha cambiato la vita, in casa mia si è parlato spesso di questo.

Doveva dare testimonianze e raccontare tutto ai poliziotti, a nostra madre, a chiunque affinché potessero aiutarlo a mandare suo padre in carcere una volta per tutte.

Ricordo che spesso la mamma lo forzava, perché Kenneth non riusciva a parlarne così facilmente. Nessuno lo ha mai preso nel modo in cui doveva essere effettivamente preso, nessuno lo ha mai capito.

Ci ho provato io, e ci sto ancora provando. Ma ormai è tardi. Nonostante ciò, provo sempre a farlo sfogare, ed è successo soprattutto nei momenti in cui è purtroppo ubriaco o in cui ne ha un bisogno disperato. Ma l'importante per me è esserci per lui.

E tutte le volte che mi ha raccontato, ho dovuto lottare col mio inconscio per non crollare e scoppiare a piangere davanti a lui, perché lui doveva essere consolato in quei momenti, non io.

Ma non riesco a concepire come sia stato possibile fargli cose del genere per quell'animale di suo padre. Perché era un'animale e basta. Non c'era un motivo per cui agiva così, era semplicemente deviato.

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