ALEC

Non stavo bene.

Ci avevo provato a nasconderlo ma non ero bravo, non lo ero per nulla. E di questo purtroppo se ne erano accorte tutte le persone che mi stavano vicino.

In realtà, non proprio tutte.
Mia mamma ad esempio, abitava con me e Kenneth ma non c'era quasi mai. Lei non si era accorta del mio evidente cambio d'umore repentino.

Quando ero piccolo avevo un bel rapporto con lei: era una mamma presente nei miei confronti, nonostante il lavoro riusciva a trovare del tempo per dimostrarmi la sua vicinanza. Crescendo però, tutto questo ha iniziato a scemare sempre di più, fino a dissolversi.

Lei non era più il mio punto di riferimento.
Non era più il mio posto sicuro.
Le sue braccia non erano più il posto in cui rifugiarmi e piangere.
Lei non era più la persona che chiamavo quando avevo un problema.

Avevo imparato ad accettarlo, in fondo da anni era così.

Mio padre invece abitava lontano, mi chiamava una volta ogni morte di papa e a volte mi mandava dei soldi. Probabilmente lo faceva quando si sentiva in colpa di non essere un vero padre. Ma ormai avevo accettato anche questo.

Fondamentalmente una delle cause del mio malessere portava un nome e un cognome:

Bryan Denmond.

E forse non dovevo addossare le colpe a lui. Forse dovevo semplicemente accettare me stesso e prendermi le mie responsabilità. Ma era difficile per me, se non impossibile.

Non avevo un bel rapporto con me.

Tutto era cominciato a precipitare da quando iniziai a giocare a rugby. Fu qualche mese prima del ritorno di Sara e io ero contentissimo di dare finalmente una svolta alla mia vita. Di fare qualcosa che mi desse soddisfazione.

Ma fu poco dopo che conobbi Bryan, un mio compagno di squadra. E da quando i suoi occhi blu mi scrutarono per la prima volta, non me li tolsi più dalla testa. Un colpo di fulmine. È così che si dice quando senti un qualcosa di così forte da mozzarti completamente il fiato solo guardando una persona negli occhi per la prima volta?

Quando lo conobbi ero fidanzato con Leslie. Lei era la mia ex, e raccontai a tutti che ci eravamo lasciati perché mi aveva messo le corna. In realtà era vero, ma se tutti pensavano che io stessi male per quello, in realtà quella rottura fu ciò che mi fece sentire un po' più libero da catene che forse mi stavo creando da solo.

Io e lui legammo subito. Divenimmo inseparabili fin da subito. E sembravamo grandi amici, ma qualcosa scattava in me ogni volta che mi sfiorava o guardava negli occhi. Mi veniva la pelle d'oca. Provavo in tutti i modi a reprimere queste emozioni, io non potevo cedere, non volevo.

Il mio orientamento sessuale era sempre stato un argomento di cui non ero mai stato sicuro, mi autoconvincevo di essere eterosessuale ma lui fece nascere nella mia testa dubbi più grandi di me. Dubbi che per me erano difficili da affrontare. Da lì cominciò il mio declino.

Sentivo di non conoscermi. Di aver vissuto da sempre una vita che in fondo non era la mia.
Non mi riconoscevo più.

E non riuscivo a dirlo a nessuno, neanche alla mia migliore amica, neanche a mio fratello, perché nonostante io sapessi che mi avrebbero voluto bene a prescindere, avevo comunque paura. Paura dei giudizi, paura che avrebbero pensato che avevo preso in giro Leslie fino a quel momento, paura che pensassero che lo avevo sempre fatto, che avessi preso in giro anche loro.

E in parte tutto ciò era anche vero. Io ero il primo a giudicare me stesso. Mi ero preso in giro da solo. Ma non sapevo come fare a chiedermi scusa.

Quando Leslie venne a casa mia e mi disse che mi aveva tradito, io avevo già in testa l'idea di lasciarla quel giorno stesso, la invitai qui proprio per quello. Perché avevo capito che io e Bryan stavamo diventando di più di semplici amici, ma non riuscivo a fare nulla perché mi sentivo in colpa nei confronti di Leslie. Ciò che era successo prima della mia conversazione con la mia ex, quella stessa giornata, mi diede la spinta per lasciarla, anche se lei poi mi facilitò il tutto.

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