Parte 1. Titano

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Titano, 18 febbraio 2025




Will correva a perdifiato.

Il respiratore, un sondino che collegava il naso alle riserve d'ossigeno installate all'interno della tuta spaziale, iniziò a lampeggiare: pericolo di sovraccarico.
Continuò a correre. Non poteva fermarsi, non in un momento come quello. Le gambe gli bruciavano per lo sforzo e il cuore era sul punto di esplodere, ma doveva raggiungere sua madre.

Il profilo di un grattacielo svanì dalla sua vista; un attimo prima si ergeva maestoso, un attimo dopo non era rimasto più nulla. Un boato gli trafisse i timpani, il loro fischio gli fece perdere l'equilibrio. Il fuoco lo circondò, pennellate di rosso e arancio macchiarono il cielo. Venne scosso da un brivido di terrore, incapace perfino di urlare: là dove ora si trovava un cratere vuoto, c'era la sua casa. La casa in cui aveva vissuto negli ultimi sedici anni della sua vita era sparita così, in un attimo, divorata dalle fiamme e dalla polvere. Rimase a bocca aperta, avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma qualcosa lo costringeva a osservare i suoi ricordi inghiottiti dalle macerie.

Un groppo gli annodò gola, le mani tremavano incontrollate. Aveva senso correre in quel modo? Ormai era tutto finito. Astronavi che non aveva mai visto in precedenza sorvolavano il cielo e, a ogni loro virata, sempre più abitazioni sparivano, i flash delle bombe si erano sovrapposti al punto da non riuscire a distinguere da dove provenissero. Titano stava per scomparire per sempre e lui non poteva fare nulla per evitarlo.

Cacciò via le lacrime e riprese a scappare: sua madre doveva essere nelle vicinanze del centro di ricerca. Doveva raggiungerla e poi... e poi...

Già, e poi? Cosa avrebbero fatto? Sarebbero stati in grado di fuggire da quell'inferno? Combattere era fuori discussione, non avevano abbastanza mezzi per contrastare una forza devastante come quella. Titano non era considerato un punto strategico, non lo era mai stato. Eppure, in quel momento le fiamme avvolgevano il suo campo visivo come un'orda di guerrieri inarrestabile. Non poteva crederci. Faticava a ritenere possibile che tutto quello stesse davvero avvenendo davanti ai suoi occhi: un attacco alieno.

La scia di fumo e distruzione fluiva come la pellicola di un film che non avrebbe mai voluto vedere. Un piede gli si incagliò contro un avvallamento della strada, una buca creata dalla collisione di chissà quale esplosione. Le ginocchia si scontrarono contro il suolo, un bruciore lacerante interruppe ogni altro pensiero. Chiuse gli occhi e strinse i denti, alcune schegge di bitume gli si erano conficcate nella carne. Tuttavia, un solo imperativo si fece largo nella sua mente: doveva rialzarsi, un ultimo, piccolo sforzo e presto avrebbe raggiunto sua madre. Le mani premettero sul terreno e, con una spinta, fu in grado di rimettersi in piedi. La ghiaia e il sangue si erano mischiati tra loro, l'impasto rosso scuro gli ricopriva i palmi. Ma non importava, non in quel momento. Riprese a correre, barcollante, sforzandosi di non badare al liquido viscoso che colava dalle gambe e al respiro sempre più corto.

Gli apparve in mente il volto di quella ragazza, quell'Ascesa: possibile che neppure una come lei fosse riuscita a fare nulla per contrastare quel genere di forza? Si diceva che alcuni Ascesi fossero in grado di radere al suolo un battaglione e perfino un'intera flotta di astronavi: allora perché non era ancora intervenuta per fermare tutto quello?

L'allarme insistente del respiratore in sovraccarico lo costrinse a rallentare. Davanti al suo sguardo si estendeva una fila sconfinata di corpi senza vita, abbandonati lungo tutta la strada martoriata dall'impatto delle bombe. Di alcuni non erano rimasti che brandelli, uno sguardo superficiale avrebbe faticato a definirli esseri umani; erano come frammenti di una vita passata che ormai non esisteva più. Altri, invece, erano riamasti integri. Sembrava dormissero, il pallore innaturale dei loro volti era il segno che la vita li aveva abbandonati. Tra di loro scorse anche il volto di Dakarai: le labbra contratte in un'espressione digrignata di terrore, gli occhi che una volta gli sorridevano vispi, ora erano vitrei.

Il cuore perse un battito. Provò a chiudere gli occhi, si sfregò le palpebre fino a farle bruciare, e poi li riaprì di nuovo. Il corpo di Dakarai giaceva ancora in quel punto, immobile davanti a lui. La testa prese a vorticare, i contorni dei corpi si sfocarono. Qualcosa risalì dallo stomaco e gli corrose l'esofago: doveva ignorarlo, doveva ignorarlo.

Riprese a correre ancora più veloce di prima, noncurante delle prime lacrime che cadevano lungo le sue guance: Dakarai non c'era più... Dakarai...

Pensò ancora all'Ascesa e, al solo pensiero, la paura e l'adrenalina che lo spingevano sempre più avanti si trasformarono in rabbia. Lo stomaco si contrasse ancora, divorato dal reflusso gastrico. Dakarai veniva da Venere proprio come lei. Perché non aveva difeso un suo concittadino? La vita delle persone comuni valeva così poco? Che fosse morta era fuori discussione, gli Ascesi non potevano essere uccisi da una semplice esplosione o da un colpo di arma da fuoco, quindi o era scappata o si trovava ancora su Titano, da qualche parte.

Ancora pochi metri e avrebbe raggiunto il centro di ricerca in cui lavorava sua madre. Gli bastava solo quel pensiero per infondergli quel briciolo di speranza necessaria per proseguire. Doveva solo svoltare a destra, superare la grande serra idroponica di Titano e poi sarebbe giunto a destinazione. Non doveva focalizzarsi su altro.

Un altro fischio lo lacerò fin dentro le orecchie. L'onda d'urto dell'esplosione lo spinse via, la corrente lo colpì allo stomaco con una violenza tale che Will temette, per un attimo, di disintegrarsi nell'aria, lo stesso drammatico destino che era stato riservato alla sua casa. Precipitò a terra, in bocca fu invasa da un forte sapore metallico. La forza incontrastabile lo investì in pieno e lo trascinò lungo la strada.

Non riuscì a opporsi, sentiva l'attrito dell'asfalto abbattersi contro di lui e sfregargli tutti gli arti. Un dolore lancinante lo trafisse ovunque, migliaia di lame infilzate tutte insieme nello stesso momento. D'istinto riuscì a portarsi le braccia davanti al volto: nonostante tutto, un barlume di speranza gli faceva credere che sarebbe potuto sopravvivere. Poi si fermò e il boato assordante parve cessare. Un silenzio inquietante regnò su tutta l'area, solo di tanto in tanto avvertiva deboli rumori di esplosioni lontane. Provò ad alzare di poco la testa, ma gli fu più difficile del previsto; intorno a lui riusciva a vedere solo la cenere e i detriti che si erano sollevati davanti agli occhi.

Riabbassò la testa e si abbandonò a terra: era tutto finito. Sarebbe morto in quel modo orribile, buttato in strada, proprio come tutti gli altri corpi che aveva visto qualche minuto prima.

Mamma...

Non fece neanche in tempo a formulare un pensiero coerente. Si sentì sollevare da terra, percepì una folata di vento che gli schiaffeggiò il volto: qualcuno lo aveva preso di peso e aveva ripreso a correre, verso chissà dove.

"Stai bene?" una voce femminile giunse ovattata alle sue orecchie. Non era la prima volta che la udiva.

"Mia... madre..." riuscì a biascicare appena, le parole facevano fatica a venir fuori. Si sentiva debole perfino per aprire gli occhi.

Dalla voce non giunse alcuna risposta.

"Mia madre, io..." Will emise un gemito strozzato di dolore. "Io devo... raggiungerla", inspirò a fatica. A giudicare dalla mancanza di aria nei suoi polmoni, il respiratore sembrava essersi danneggiato. "Devi... portarmi... da..."

Non fece in tempo a finire la frase. Le forze gli vennero meno, le energie svanivano a poco a poco.

E poi, il buio.

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora