1.5 Giove

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Un mese dopo

Era stato tutto così confuso.

Com'era iniziato? Cos'era successo?

Non lo ricordava. Vedeva solo immagini fugaci, tanti piccoli sprazzi di memoria strappati dalla mente.

Ricordava di aver udito il suono delle sirene. Stava studiando nella sala computer e quella nenia improvvisa piombò facendo tremare i vetri delle finestre. Will balzò dalla sedia. Il datapad di Theodore cadde a terra emettendo un suono secco, attutito dagli squilli intermittenti. Un secondo fermo nell'aria, in cui gli studenti si guardarono tra loro, gli occhi sbarrati. Tutto taceva, in una quiete sospesa, colma di tensione. Fu solo quando scorsero i primi fumi e avvertirono i suoni delle esplosioni che le prime urla si sollevarono come un boato infernale.

La sedia precipitò sotto ai suoi piedi. Will corse verso l'uscita, ma si ritrovò compresso tra l'uscio e un fiume straripante di persone. Qualcuno lo colpì alla tempia con una gomitata, la schiena venne schiacciata da una pressione che lo spingeva verso l'esterno ma, al tempo stesso, lo tirava indietro. I rumori delle esplosioni rimbombava nella stanza, sentiva attorno a sé il tremolio delle pareti contro le quali era pressato. Pensava solo a spingere, spingere, spingere, il respiro mozzo e la vista annebbiata.

Le urla terrorizzate degli altri ragazzi suonavano come un monito a non smettere di lottare. Si ritrovò catapultato fuori, come se qualcuno avesse stappato la bottiglia dentro il quale erano stati rinchiusi. I polmoni si riempirono di ossigeno nuovo, prima che un suo compagno di corso lo travolgesse sotto i suoi piedi. L'aria che aveva preso a respirare portava con sé un odore ferroso, che gli bruciava le narici, avvertiva ovunque impronte di scarpe che lo calpestavano. Cercò Theodore con lo sguardo, si soffermava in maniera sommaria sul via vai di studenti, ma del suo amico non era rimasta alcuna traccia.

Pensò al peggio. A Theodore che era inciampato da qualche parte e alla folla che, occupata soltanto a mettersi in salvo, lo aveva travolto sotto la sua furia. 

Ma non c'era tempo per pensare ad altro, non gli importava neanche sapere da chi provenisse quell'attacco. Doveva solo correre. Correre più veloce che poteva e cercare sua madre. Lungo la strada erano rimaste solo tracce di devastazione e nient'altro: laddove erano passate quelle astronavi, non era rimasto più nulla di vivo.

Ci fu l'esplosione, venne travolto da migliaia di detriti. Era sul punto di morire, lo sapeva, sentiva il respiro diventare sempre più fioco.

Invece avvertì quella voce, le braccia di qualcuno che lo sollevava da terra per portarlo via di lì.

"Stai bene?" Safiya fu l'ultima immagine che vide prima di perdere i sensi.

Sogni confusi si sovrapposero alle esplosioni e alle strade distrutte di Terrarium 1: il volto di Dakarai senza vita, dilaniato da una bomba, un'astronave, persone che piangevano tutt'intorno a lui. Soldati. Tanti soldati in uniforme blu, squadroni interi che marciavano inesorabili.

E poi vide altro.

Sua madre Jeanne. Era girata di schiena, davanti a lei l'ologramma di uno strano pianeta simile alla Terra. Malgrado gli desse le spalle, quella sfumatura rossa dei capelli non lasciava spazio ad alcun dubbio: era lei. Ebbe un sussulto. Gli occhi gli si inumidirono, il groppo alla gola gli comprimeva la trachea: sembravano passati anni dall'ultima volta che l'aveva vista. Provò a chiamarla ad alta voce, ma dalla bocca non proveniva alcun suono.

"Kepler 442-B." mormorò un soldato, in piedi davanti a lei. "È il pianeta gemello della Terra, giusto?"

Fu solo in quel momento che si voltò verso di lui. Sorrideva, come se quella constatazione l'avesse riempita d'orgoglio. "Esatto, tenente".

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora