2.10 Pilastri della Creazione

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"Anatolij.

Tu per caso conosci la storia di Oliver Blake?

Sai, in realtà era destinato a restare ai margini del potere. Eppure, il caso ha deciso che fosse proprio lui a ereditare quel pesante fardello. Nessuno credeva che un animo debole come il suo sarebbe stato in grado di sopportare una responsabilità del genere, ma è riuscito ad arrivare ai vertici con le sue sole mani. Certo, a volte ha dovuto commettere crimini orribili, ma è questo il prezzo da pagare per essere venerati al pari di un Dio, soprattutto quando si hanno pochi mezzi. È questo quello che insegna la Congrega."

"Anche io un giorno sarò come lui. Sarò il nuovo Oliver Blake."

Si svegliò di soprassalto, reprimendo un grido strozzato. Si sfilò la coperta di dosso, prestò attenzione a non svegliare la donna che dormiva accanto a lui. Aveva tirato via la trapunta con sé e, nello scostarla, aveva appena scoperto il petto nudo di lei, la pallida luce che fuoriusciva dall'esterno le illuminava la pelle ruvida e coperta di cicatrici. In un primo momento, non ricordava neanche cosa ci facesse là. Forse l'aveva invitata solo per dimenticarsi del peso che incombeva nello stomaco, o forse per ricordarsi che era ancora vivo. Non era servito comunque a nulla. I loro erano ingranaggi che aderivano a stento l'un l'altro, meccanismi che stridevano ogni qual volta che si toccavano; proprio come quando erano solo due ragazzi e provavano a esplorarsi nelle loro prime, impacciate volte, senza badare poi troppo al piacere che sentiva l'altro. Erano trascorsi quasi vent'anni, ma loro non erano cresciuti affatto.

Era stato sempre così il rapporto tra loro due. Eppure, si era illuso che, giunto così in alto, qualcosa sarebbe mutato nella considerazione che gli altri nutrivano verso di lui.

A dire la verità, della gente gli importava poco. Era lei, la persona che avrebbe voluto impressionare più di tutti. Come quando lo aveva guardato negli occhi, sprezzante, e gli aveva rivolto quelle parole al vetriolo: Non potrai mai rivaleggiare contro una Dea. Dal basso del suo fallimento, aveva desiderato con ardore dimostrarle che si sbagliava, che lui ci sarebbe riuscito. Avrebbe raggiunto i vertici. E quell'arena nel nulla della Nuova Frontiera, sommerso dalla polvere, dalla sconfitta e dal ludibrio di quadri corrotti, sarebbe stato il suo punto di partenza.

Era stato il suo sogno, da quel momento in avanti: rivaleggiare con gli Dei. Poter guardare dall'alto in basso quegli Ascesi rivoltanti, convinti di possedere il mondo nelle proprie mani solo perché dotati di insulsi poteri psichici, e far capire loro che, per quanto leggendari essi fossero, avrebbero dovuto comunque sottostare ai suoi ordini. Essere il Dio degli stessi Dei.

E invece, oltre la becera superficie, era tutto rimasto immutato. Voleva ancora compiacerla a ogni costo. Lei, invece, anelava solo ad avere qualcuno da cui tornare e attraverso il quale annegare le proprie responsabilità, anche per soli dieci, squallidi minuti. Volevano riempirsi di un sentimento fasullo, che non apparteneva a nessuno dei due, e far finta che fosse amore. La parità di classe, invece di appianare le differenze tra loro, li aveva resi soltanto più cinici e sprezzanti verso gli altri. Nulla in realtà era cambiato davvero.

Tranne...

Si sedette sul ciglio del letto, la testa raccolta tra le mani, la speranza lontana che i pensieri che lo divoravano si placassero. Non successe nulla. Tutto quello che aveva rivissuto quel giorno gli risalì alla mente e lo pervase fino a schiacciarlo.

Quella persona non era Oliver Blake. L'individuo seduto sul letto in questo momento non è Oliver Blake. E allora, chi è? Chi è Oliver Blake? Chi sono io?

"Oliver," mormorò una voce impastata dal sonno.

Si voltò verso di lei. Il suo seno adesso era del tutto scoperto, una lunga cicatrice le attraversava il petto, uno squarcio scuro e calloso sulla sua pelle bianca. I capelli biondi erano arruffati in un groviglio tiglioso.

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora