2.14 Saggittarius A

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Il dolore bruciante alla gamba le toglieva il fiato a ogni passo sospinto tra i corridoi. Faceva aderire piano piano la pianta del piede sul pavimento, ma appena trasferiva il peso sulla gamba ferita, rischiava di perdere l'equilibrio. Si trascinava per i corridoi cercando di muoverla il meno possibile. A ogni minima flessione della giuntura, gli sprizzi di sangue copioso si riversavano in grosse gocce concentriche lungo tutto il pavimento. Si aggrappava a qualsiasi protuberanza riuscisse a intercettare, faceva in modo di scaricare tutto il corpo contro di esse, lasciando loro in pegno tutta la fatica che non riusciva più a sostenere.

Si strinse a una maniglia e buttò fuori un lungo gemito agonizzante, così infreddolita da poter osservare la condensa del suo fiato. Non avrebbe resistito a lungo in quelle condizioni, sentiva le energie confluire lungo i suoi arti, per poi fuoriuscire dalle dita. Lo sguardo di Blanche scese lungo la sua gamba, la tuta sulla quale si era aperto uno squarcio nerastro e abbrustolito si era allargata fino a mettere in mostra il foro, tondo e rosso, carne viva esposta all'aria gelida e pungente. Il sangue non smetteva di sgorgare, la rapidità del suo flusso scorreva lungo il polpaccio e confluiva a terra fino a formare una scia rossa che tradiva il suo percorso.

La pelle sulle braccia era ruvida e smorta, intirizzita per il freddo. Non riusciva a decretare se sarebbe stato peggio morire di ipotermia o dissanguata. Si chinò sulla gamba non ferita, lo sforzo le strappò un altro ansimo di dolore. Piegarsi su sé stessa non aveva placato la sensazione di bruciore, che dal polpaccio si era esteso fino al fianco. Con un rapido movimento della mano stracciò un lembo di tessuto. Avvolse quella striscia dai bordi irregolari lungo la zona ferita, un tentativo disperato di arrestare l'emorragia.

Poi, priva di forze, si accasciò sul ciglio di una porta, ansante. Sentiva la pressione del laccio emostatico improvvisato soffocarle la circolazione, al tempo stesso la sensazione ustionante che partiva della gamba si era irradiata ovunque, fino a non sentire più la presenza dell'arto.

Si spalmò contro la superficie della porta e le diede un'ultima occhiata. Si trovava davanti all'ala tre, sezione e, f, g e h.

Esalò un respiro, questa volta più breve e debole degli altri.

Serrò le palpebre e liberò le ultime energie che aveva immagazzinato per spingersi fino a lì. Il rumore di alcuni passi che si avvicinavano, la fece sbuffare: non le facevano neppure il favore di lasciarla morire in pace.

Li riaprì. Un uomo dai capelli biondi, la barba incolta e sottili occhi ambrati la stava fissando. Rabbrividì: la persona davanti a lei non era Oliver Blake. Era diverso dal bambino timoroso che aveva conosciuto ventotto anni prima. Quel ragazzino servile e disorientato aveva lasciato il posto a un uomo scaltro e assetato di potere.

Le mancavano i tempi in cui era lei a mantenere una posizione di vantaggio su di lui. Solo quando sorprendeva il suo sguardo pieno di timore reverenziale, si rendeva davvero conto di quanto fosse superiore agli altri. Era una Signora della Guerra perché gli occhi di Oliver Blake, fin da quando la intercettava da lontano, si riempivano di una prostrazione che rasentava il cavalleresco. L'adorante soggezione, però, era mutata in invidia. In quel momento, nello sguardo, leggeva solo la pura voglia di rivalsa contro un mondo che lo aveva sempre trattato con troppa sufficienza. Dimenticato da tutti, ma non dalla Vendetta. Era diventato anche lui un Signore della Guerra.

Aveva in mano una pistola, la canna nera la sorvegliava severa dall'alto, a un passo dalla sua fronte. Dietro di lui, la scrutava un altro uomo, più alto, ma dalla medesima sfumatura di capelli; i polsi ancora segnati dalle piaghe provocate dalle catene bloccanti; il viso, era attraversato dalle cicatrici delle percosse. La ragazza accanto l'aveva già vista: era la stessa che aveva interrogato qualche giorno prima.

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora