3.13 Kepler 442-B

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"Will? Mi fai entrare per favore? Avrei bisogno di parlare con te."

"Certo, mamma. La porta è aperta, entra se vuoi."

Jeanne buttò giù un sospiro, il cuore iniziò a batterle più forte, saliva e scendeva attraverso la gabbia toracica, sbattendo contro le ossa. Uno strano formicolio aveva preso a stuzzicarle lo stomaco. Una reazione inspiegabile, eppure intensa, vera.

Fece scorrere la porta ed entrò.

Will era sdraiato sul letto. La finestra congelava la stanza con un bagliore freddo, la Luna crescente occupava la visuale, a un passo dal diventare piena. Saturno era stato sostituito da una miriade di stelle poco luminose, nessun'altra fonte di luce, se non la lampada attaccata alla testiera del letto. La pelle di Will riluceva sotto il calore della luce bluastra, rendendo la carnagione quasi alabastrina. Leggeva un libro di un autore che non aveva mai sentito prima. Il mondo come Volontà e Rappresentazione. Arthur Schopenhauer.

"Lettura interessante?"

Richiuse il volume senza neppure contrassegnare la pagina. La fronte si distese e accennò un timido sorriso che, per un attimo, le riportò indietro il Will che aveva sempre conosciuto. Agitò la testa, su e giù. "Illuminante, per certi versi."

Si sedette sul ciglio del letto e aspettò che si mettesse vicino a lei.

La sensazione di formicolio che le rivoltava addome e petto al tempo stesso si trasformò in un vortice. Deglutì, gli occhi riversi sui suoi, che sembravano invitarli, docili, a procedere. "Mamma Cassandra mi ha detto che fai dei sogni strani, ultimamente."

"Non credevo che te lo avrebbe detto, a essere sinceri."

"L'ho costretta alla mia maniera." Ridacchiò e Will la imitò. Allungò le braccia verso di lui. Avrebbe voluto abbracciarlo, quel figlio che adesso sembrava distaccato da tutto. Non apparteneva a quel mondo, proprio come lei. Lo osservava e comprese che già sapeva tutto. Le fece ricadere sul materasso. "Ti va di parlarne anche con me?"

Will strinse la coperta fra le dita e il letto ben tirato si sgualcì sotto la sua presa. "La verità è che non sono sogni. Ma forse questo lo sapevi già, mamma."

La lampada posta sul comodino del letto si accese e si spense. Nella penombra, a Jeanne parve essere tornata nella landa desolata che aveva scorto prima di perdere i sensi, quando era appena precipitata su Kepler 442-B. Aggrottò le sopracciglia. Will rimase impassibile.

"Mi ha accennato questa cosa, sì."

"E tu mi credi."

"Sì. Io ti credo."

Sorrise, come avrebbe sorriso il Will di una volta. Sembrava essere tornato indietro di una decina d'anni, quando esibiva le coccarde primo posto alla gara di scienza e gioco. "Dove sei stata, mamma? Dov'eri per tutto questo tempo?"

"Sono stata nel Sistema Solare. Lì c'è un mondo uguale al nostro, con le stesse persone che ci sono qui, lo sviluppo tecnologico è simile, ma esistono comunque alcune differenze."

"Ti riferisci all'Ascensione?"

Lo guardò di sbieco. "Te lo ha raccontato la mamma?"

Scosse il capo. "Ero uno di loro, nel mio sogno. Ho ereditato i poteri da Cassandra e Caspar."

Di nuovo, le parve che il materasso sotto di lei fosse più duro, simile a un terreno deserto e scuro.

"Hai ereditato l'Ascensione? Quindi nel tuo sogno, loro erano..."

"Morti, sì. C'è stata una guerra, Titano è stato il primo avamposto a essere colpito. La mamma è morta durante i primi bombardamenti. Caspar..." Gli occhi s'impiantarono sul pavimento. "Lui è morto per colpa mia, molto tempo dopo."

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