1.19 Caspar

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Il tenente Mikhajlov lo spinse all'interno di un corridoio la cui illuminazione lasciava a desiderare, qualche piano più sotto all'edificio in cui si trovavano. Camminava dietro di lui, una presenza silenziosa che controllava ogni suo singolo movimento, sempre sull'attenti. A Will, tuttavia, non trasmetteva poi così tanto terrore, o perlomeno, non dello stesso tipo che provava ogni volta che il suo sguardo incrociava quello di Blake. Poco prima di aprire il portone che teneva bloccato qualsiasi tipo di accesso al corridoio, lo vide armeggiare con un quadro di controllo affisso al muro. Abbassò una levetta rossa e, non appena lo fece, sentì qualcosa scattare, come un meccanismo che si era spento in maniera brusca. Era probabile che il tenente avesse disattivato qualche congegno che teneva blindata la porta d'ingresso e adesso, con Will sottobraccio, iniziava ad attraversare il buio della stanza, guardingo, come se avesse paura che da un momento all'altro si azionasse un sistema difensivo.

"Ho spento tutto, ma non si sa mai." gli confessò in un modo che a Will infuse un senso di umanità e cameratismo, entrambi inaspettati.

Il corridoio, proprio come l'area dedicata ai dormitori delle reclute, era disseminato di porte ma, a differenza delle altre, queste consistevano in una lastra spessa e trasparente, di un materiale che non aveva mai visto in vita sua. "E' a impulsi elettromagnetici," gli spiegò Mikhajlov mentre camminavano, a fianco al loro cammino scorrevano decine di placche, tutte fatte dello stesso materiale. "E' una misura un po' estrema, ma funziona. Lì dentro ci teniamo i prigionieri, è il deterrente perfetto nel caso in cui venisse in mente loro di scappare di qui. E' impossibile uscire da quelle stanze da vivi"

Will deglutì. Quindi in quel momento, Caspar si trovava dentro a una delle gabbie. Non aveva saputo trovare altro termine per definire quel metodo di prigionia crudele se non quello. Gabbie che, se solo qualcuno avesse provato a superare, avrebbero tranciato di netto il corpo di chiunque.

Si fermarono davanti a una di esse e, non appena vide chi c'era al suo interno e -soprattutto- com'era conciato, non riuscì neanche a trattenere un urlo di sorpresa. La ritorsione della luce che si rifletteva attraverso le lastre trasparenti alterava le immagini al punto da farle apparire un po' distorte, ma quel viso avrebbe potuto riconoscerlo tra mille. Caspar era buttato a terra in una delle celle, Will riusciva a intravederne solo il profilo, ma questo gli bastò per comprendere che non era stato trattato con lo stesso riguardo che era stato riservato a lui. Il naso sembrava rotto, era rimasto un po' di sangue pesto sull'unica narice che era visibile alla luce, e aveva un occhio nero e rigonfio, tanto che non riusciva a tenere la palpebra del tutto aperta. Nonostante si fosse accorto che c'era qualcun altro oltre a lui, non si mosse di un muscolo: era come se non rispondesse più agli stimoli esterni.

"Caspar! Stai bene? Sono io, Will!" lo chiamò con tutta la voce che aveva. Avrebbe voluto precipitarsi davanti a lui, ma Mikhajlov lo trattenne per una spalla. Rimase con il piede bloccato a mezz'aria e la schiena protratta in avanti.

Finalmente, l'uomo si girò. Ora che lo vedeva a volto intero, si era reso conto che era messo molto peggio di quanto aveva valutato all'inizio: l'altro occhio non era pestato, ma la sclera aveva assunto uno strano colore rossastro e la metà del labbro ora visibile era del tutto spaccata. Non appena si accorse che davanti a lui c'era Will, il suo sguardo assente si indurì, increspò le sopracciglia e si tenne ancora di più sulle sue. Ma non aprì bocca.

"Caspar, io..." sentì le parole svanire e l'unica cosa sensata che gli venne in mente di fare fu rimanere in silenzio. La severità con cui lo guardava rendeva chiaro quanto fosse furioso nei suoi confronti, e non poteva certo biasimarlo. D'un tratto, si sentì la gola secca e le api che lo tormentavano da quando aveva discusso con lui ritornarono a perseguitarlo, ma questa volta non le sentiva solo nella sua testa: erano ovunque. Sulle braccia, sulla pancia, nel petto. E il loro pungiglione faceva male, malissimo.

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora