2.11 Halley

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Staccarsi da Safiya fu la parte più difficile. Era consapevole che prima o poi sarebbe dovuto succedere, ma in cuor suo sperava che quegli ultimi attimi insieme si dilatassero. Se non fosse rimasto bloccato anche lui, l'avrebbe pregata di fermare il tempo, anche per soli cinque minuti. Un ultimo sguardo ai suoi occhi fatti di carbone, prima di salutarla. Erano le ultime ore che avevano a disposizione per stare insieme, prima che lei andasse via.

Su Titano.

Se ci ripensava, un magone gli risaliva dalla gola verso la bocca. Immaginava Safiya, molto più intensa nella sua immaginazione adesso che aveva avuto modo di trascorrere più tempo in sua compagnia, immersa nello stesso scenario a cui avevano assistito entrambi solo qualche mese prima e gli mancò l'aria.

Scosse la testa. Non doveva pensarci. Doveva essere forte, perché glielo aveva promesso. L'avrebbe vista andare via, ma lui l'avrebbe aspettata pazientemente. Avrebbe continuato a lottare, a svolgere il suo dovere, e a sopravvivere, fino al momento in cui l'astronave dei Venus sarebbe atterrata di nuovo su Marte.

Sarebbe stato quello il suo punto di partenza. Sollevarsi, creare qualcosa di nuovo, per lei. E un giorno, forse, avrebbero vissuto in un mondo migliore.

Insieme.

Le lanciò un ultimo sguardo mentre lei si allontanava dal corridoio. Avrebbe voluto tornare dentro la stanza, sdraiarsi sul letto che odorava ancora di loro due e addormentarsi lì, tra le lenzuola ancora deformate dalla sagoma dei loro corpi. Sorrise, nel ricordare cosa fosse successo solo qualche ora prima. Era un peccato che avrebbe dovuto sporcare quella sensazione di bellezza e pace interiore con la rigidità e la crudeltà degli interrogatori.

"Tu che ci fai davanti alla porta della Venus?"

Trasalì. Aveva riconosciuto quella voce e non ebbe il coraggio di voltarsi. Magari, se avesse fatto finta di nulla, l'altra persona non avrebbe indagato oltre e avrebbe tirato dritto. Fingersi morto per sfuggire ai predatori: era un'abitudine comune a un sacco di animali.

Rimase paralizzato a fissare la porta di metallo, ma anche il suo interlocutore non accennava a battere la ritirata. Avvertiva ancora la sua presenza, che incombeva dietro di lui funesta.

Sospirò, nella sua testa andavano affollandosi le prime scuse da rifilargli, quando la porta accanto a quella di Safiya si aprì di soppiatto.

Dall'uscio affiorò prima un cespuglio di capelli neri, folti e lucenti, poi il profilo di un naso nubiano, lo sguardo lontano rivolto alla figura dietro di lui.

Gemette dentro di sé, maledicendo la sua proverbiale sfortuna. Iniziava a temere che non fosse lui a essere pessimista, ma che tutto il resto si ostinasse a remargli contro ogni volta. Mai avrebbe immaginato che la camera accanto a quella di Safiya confinasse proprio con quella riservata alle reclute del corpo di Elite.

Se si fosse ritrovato davanti una Madeleine o, ancora meglio, un Kresimir, non si sarebbe lamentato più di tanto. Non era così disfattista, in fin dei conti.

Ma il fatto che, tra tutti, si fosse affacciato a curiosare proprio quel pettegolo di Akash, significava solo una cosa: il fato aveva uno strano senso dell'umorismo. O era offeso con lui per qualcosa che aveva fatto in passato.

"Bert!" Bisbigliò quello, il viso parzialmente visibile dalla porta. Non si era accorto che Will si trovava proprio di fianco a lui. "E' un'ora che ti aspetto, avevamo detto che..." Solo allora i suoi occhi si posarono su Will. E sobbalzò.

Rimasero a guardarsi circospetti. Invero, era Akash quello che era arrossito, di tanto in tanto lanciava occhiate oltre il suo raggio visivo, nella speranza che Berthold si affrettasse a esporgli la situazione.

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora