2.12 Tramonto su Marte

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Dedicò un'ultima panoramica al dormitorio che lo aveva ospitato per più di una settimana. Aveva odiato quel posto fin da quando vi aveva messo piede e non avrebbe smesso di farlo solo perché lo stava lasciando; tuttavia, ammetteva che un po' ne avrebbe sentito la mancanza. La vita militare su Marte era diventata sinonimo di famiglia, un sostituto neanche lontanamente paragonabile all'originale, ma a suo modo di vedere accettabile.

"Hai preso tutto, Berthold?"

Rise. Se il pianeta fosse stato un'allegoria del nucleo familiare, allora Donnel sarebbe calzato a pennello nel ruolo di fratello minore. All'inizio gli aveva fatto pena, quel ragazzino balbuziente dallo sguardo smarrito. Con il tempo, invece, la commiserazione nei suoi confronti si era trasformata in affetto sincero. Ammirava il suo non cadere mai nel baratro; Donnel camminava sempre sul limite del precipizio, in perfetto equilibrio, senza mai superare la soglia fatale, malgrado tutto quello che aveva subito durante quella maledetta guerra. Quel marmocchio gli aveva insegnato il valore della compassione meglio di chiunque altro. Aveva finito, così, per assumere davvero i connotati di un fratellino, quello che non aveva mai avuto. Tra quelli rimasti su Marte, era colui che abbandonava più a malincuore.

Il giorno prima aveva dovuto dire addio ad Akash, e quel giorno sarebbe stato a lui salutare a sua volta tutti gli altri. Sorrise al ragazzo e gli assestò una pacca sulla spalla. Frugò tra le tasche della sua uniforme e ne estrasse una catenina; al centro, era incastonata una monetina argentata con un buco al centro.

"Un portafortuna," gli spiegò mentre glielo porgeva, "era di mio padre, ma te lo regalo volentieri. A me non serve più."

Le guance di Donnel s'imporporarono. "No, aspetta, Berthold, non posso accettare," si affrettò a balbettare. "Perché me la stai regalando?"

Gli strizzò l'occhio. "Perché per me è un oggetto importante. Vorrei che tu lo tramandassi a uno dei tuoi figli."

Arrossì ancora di più. "Non capisco. E... tu? Non vuoi regalarlo ai tuoi figli, un giorno?"

Scosse la testa divertito. "Facciamo così, allora. Se sopravviveremo alla guerra, mi restituirai quel ciondolo. E, se non ci sarò più io, lo ridarai ad Akash."

Gli tese la mano. "Fatta!" esclamò mentre gliela stringeva. Poi, indossò la catenina al collo.

Berthold sorrise. Avrebbe voluto che anche Will e Naoko fossero là per salutarlo, ma per qualche ragione non si erano presentati. Non voleva essere così presuntuoso da credere che non fossero lì perché lo disprezzavano, quindi aveva immaginato che ci fossero di mezzo questioni militari. Non che gli importasse granché, in fin dei conti: era amico di Gascon solo perché stava simpatico ad Akash, altrimenti di norma si sarebbe limitato a ignorarlo.

Il suo zaino era appoggiato nell'angolo vicino a quello che una volta era stato il suo letto. Si chinò per raccoglierlo ma, quando si rialzò da terra, un rumore improvviso e acuto, continuo e perentorio come una cantilena, lo fece sobbalzare. Era come se un allarme fosse scattato all'improvviso da qualche parte nella base di Camp Perseverance.

Lui e Donnel si guardarono con gli occhi sbarrati.

"I... I nemici sono qui?" fu la prima ipotesi che saltò in testa a Donnel, gli occhi attraversati da una patina di terrore. I suoi pensieri erano volati a quel giorno.

Berthold scosse la testa. No, quello era una sirena il cui suono differiva dagli anti aeronave, meno intenso. Non risquillava in ogni angolo del dormitorio, ma gli giungeva da un posto lontano, come se fosse circoscritto a una sola area della Fortezza.

Corsero fuori dalla stanza, i primi soldati si erano già radunati fuori. Intravide il comandante della sua unità urlare a gran voce. "I prigionieri sono evasi. Dobbiamo impedire che lascino questo pianeta."

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora