2.1 Deimos

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Will si sentì precipitare nel vuoto. Il fiato era corto, il cuore alternava momenti di tachicardia ad attimi in cui il battito rimaneva sospeso, il buio che lo aggrovigliava diventava sempre più opprimente. Non appena acquisì velocità e sentì che stava per piombare a terra, riaprì gli occhi e si ritrovò in un letto su cui non aveva mai dormito, le pareti asettiche e bianche lo misero in agitazione. Non aveva idea di dove fosse. La minuscola finestra che illuminava a giorno la stanza gli suggeriva che fosse ancora su Marte, ma non era nell'edificio madre del Quartier Generale, questo era certo. Fuori non riusciva a scorgere altro se non un vento forte che sollevava un polverone denso e opaco di sabbia rossa, alcuni granelli si erano appiccicati al vetro, così da conferirgli un'aria sporca e trasandata. Il resto della camera, invece, era deserto. I letti disposti accanto al suo erano vuoti, se non fosse stato per Akash, che aveva la testa poggiata sul materasso dove in quel momento era sdraiato anche lui; poteva sentire il suo debole russare, simile a un suono di fusa.

Sollevò la schiena, il braccio sinistro bruciava appena. Si voltò a guardarlo e vide che era stato fasciato stretto da una garza. Per un attimo, gli balenò il flash del proiettile misterioso che gli bucava la spalla. Si era dimenticato di quanto dolore avesse provato nel preciso istante in cui il corpo estraneo era penetrato nella carne.

Fu come aprire un rubinetto rimasto chiuso per troppo tempo: tutti gli altri ricordi che emersero piano piano dalla sua mente gli caddero addosso come un getto d'acqua gelida, una pioggia dolorosa gli attraverso l'anima e permeò nei suoi pensieri, nelle sue ossa, nel punto stesso in cui poteva sentire il buco lasciato dal proiettile estratto: l'attacco alieno, la scoperta devastante di quell'essere umano tra le fila nemiche, i corpi senza vita delle altre reclute, sacrificatesi nel tentativo di proteggere i preziosi rifornimenti della Congrega. Erano morti per uno scopo che per lui non aveva alcun senso.

E poi...

Il respirò gli mancò ancora una volta, si aggrappò al ciglio del letto per non perdere conoscenza. Chiuse gli occhi e strozzò sul nascere un gemito di disperazione, ma non poté fare nulla per dare un freno alle sue lacrime.

Caspar. Aveva appena realizzato di avere un padre, che a quel padre – tutto sommato – voleva bene e che era stato il suo unico punto di riferimento negli ultimi mesi. Quel padre, però, gli era appena stato strappato via, senza alcun ritegno. Gli occhi gli si inumidirono mentre ripensava al suo ultimo sorriso etereo impresso sulle labbra, quell'espressione pacifica che non gli aveva mai visto prima. Caspar aveva riso innumerevoli volte in sua presenza, ma si trattavano perlopiù ghigni sarcastici, sorrisi amari, risate acri sputate tra i denti per coprire la sua agonia. Solo in quel momento si era reso conto di quella verità che era sempre stata davanti a lui. Caspar era un uomo tormentato. Una persona che nella vita non aveva concluso nulla. Ma, nella morte, aveva trovato quello che cercava: un figlio, uno scopo, un momento per riposare. Non sapeva esattamente cosa. Ma quel sorriso disteso era la prova che aveva smesso di soffrire.

In ogni caso, ciò non servì a farlo stare meglio, anzi, lo gettò in una disperazione maggiore: la consapevolezza che lui non era mai riuscito a mettersi nei suoi panni in vita e che ora tentava di farlo quando non aveva più importanza, gli fece salire un rigetto di disgusto verso sé stesso.

Era morto. La sua tardiva empatia non avrebbe mai migliorato le cose e di certo non lo avrebbe riportato in vita.

In quello stesso momento, Akash si svegliò e, non appena si rese conto che anche lui aveva aperto gli occhi, balzò dal letto e si allontanò da lui di qualche metro. "Non toccarmi con quelle manacce!"

Will s'irrigidì. Il ragazzo lo guardava permeo di terrore, entrambe le mani poste davanti alla faccia, in una posizione difensiva e spaventata al tempo stesso. Aggrottò le sopracciglia, la bocca dischiusa stava per chiedergli cosa gli prendesse, poi altre immagini tornarono a galla. Prima di perdere i sensi, aveva fatto qualcosa a Donnel. L'ultima cosa che ricordava di lui era che piangeva e si dimenava sul pavimento, come se fosse in preda a un attacco epilettico, urlando frasi sconnesse che non sembravano neanche appartenere alla sfera umana.

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora