3.2 (pt. 1/2) Anomalia

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Sullo specchio davanti a lui era riflessa l'immagine dello stesso uomo che aveva visto crescere nel corso di trentasei, lunghi anni. I capelli biondi erano stati fissati all'indietro, per evitare che gli ricadessero sugli occhi ambrati. Lo studiavano a loro volta, così come stava guardando loro; erano ancorati sulla superfice del vetro, vuoti, inespressivi. Non appartenevano a Oliver Blake. Quando Oliver Blake ammirava la sua immagine, brillava con una certa fierezza, indugiava sui tratti del viso e tendeva a soffermarsi su ogni lineamento. Fremeva, non senza una dose di morboso narcisismo, mentre si posava sui bicipiti allenati, sorrideva mentre ammirava le stellette sulla sua uniforme che luccicavano attraverso il riverbero della luce. Era consapevole di quale effetto scatenasse sugli altri e se ne compiaceva. Lo aveva perfino utilizzato per ottenere ciò che voleva: l'intelligenza e la forza non avevano importanza, quando si poteva fare colpo con il proprio carisma. Esserne consci e sfruttare l'avvenenza a proprio vantaggio non era allo stesso modo un sintomo di furbizia e di capacità?

Era un uomo venuto dal nulla, l'aspetto fisico era l'unico vantaggio che poteva imporre sugli altri. Non era mai stato brillante, né tantomeno valoroso. La carriera militare nella Nuova Frontiera non era andata troppo lontano e nella Congrega aveva raggiunto posizioni prestigiose solo perché era riuscito ad attrarre a sé una Signora della Guerra troppo ambiziosa e un Generale che presumeva di rivivere in lui il sé stesso da giovane.

Ma ora, se lo osservava meglio attraverso quel riflesso opaco, di Oliver Blake non vedeva che un corpo. Un involucro bellissimo e nient'altro. Non era altro che quello: pura apparenza. Moralmente, rimaneva ancora il ragazzino buttato nella polvere che sperava un giorno di poter essere rispettato al pari di un monarca illuminato.

La barba scorreva ispida e gli graffiava il palmo. Da quando si trovava sull'astronave dei Kerek aveva preferito accorciarla. La barba lunga stava meglio a Oliver Blake; su di lui, invece, era trasandata e sciatta.

Gli ultimi mesi per Oliver Blake erano stati penosi. C'era qualcosa che non andava, lo aveva sempre sospettato, fin dall'infanzia. Gli sembrava di essere nato a otto anni, come se tutto ciò che c'era stato in precedenza non fosse mai esistito. Gli avevano raccontato che era stato trovato da una domestica della famiglia Van Leeuw, che aveva deciso di prendersi cura di lui. Di suo non gli era rimasto che il nome: Oliver Blake. Era omonimo di un vecchio eroe di guerra, pratica comune di molti istituti e case famiglie: ai bambini abbandonati, si dava il nome di Ascesi illustri. Per buon auspicio, dicevano.

Ma anche quel dettaglio non apparteneva a lui. Non era Oliver Blake. Non era mai stato Oliver Blake.

Fece uscire un getto d'acqua fredda e se la passò sul viso.

Anatolij Kerek. Il mio vero nome è Anatolij Kerek.

Guardò un'altra volta l'immagine allo specchio. C'era ancora quell'uomo che lo fissava oltre la barriera. L'aspetto era quello di Oliver Blake; i pensieri di rabbia appartenevano ad Anatolij Kerek.

E lui chi era davvero?

Per ventotto anni, aveva vissuto la vita di Oliver Blake. Ma fino a otto anni, era stato Anatolij Kerek.

La vita che stava scorrendo in quel momento, a chi apparteneva?

*

Una forza inaspettata lo afferrò per il colletto dell'uniforme scolastica per giovani Candidati Ascesi e lo spinse verso terra. L'impatto della sua schiena con la brecciolina gli tolse il respiro. La spina dorsale lanciò pulsazioni doloranti. Emise un lamento soffocato, così smorzato nel respiro da non riuscire neppure a urlare.

Il viso di una bambina della sua età, i capelli neri raccolti in due trecce ordinate, lo sbirciò ridacchiando dall'alto. "Ti ho battuto, perfido Van Leeuw!"

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora