Epilogo- Titano

281 21 139
                                    

Cinque anni dopo

I palmi grondavano sudore. Se li era sfregati sull'uniforme, una scia bagnata s'impresse nel tessuto in polimero elasticizzato. Le mani, tuttavia, restavano imperlate. Saturno le irrorava con la sua luce opaca, una semisfera giallastra che vigilava sul panorama nero. Le lasciò ricadere sui fianchi. Spie rosse intermittenti la scrutavano impazienti come occhi famelici, volteggiavano su di lei, analizzavano il suo sorriso cristallizzato, ma sfuggente. Lo teneva in posa da così tanto tempo che gli angoli si erano ritorti in un ghigno di circostanza. Uno degli occhi rossi si soffermò su di lei e catturò tutta la sua assenza. La telecamera che la riprendeva parve accorgersi delle mani sudate, dell'impronta stampata sui pantaloni che a poco a poco svaniva, dei suoi occhi che guardavano altrove, oltre l'obelisco commemorativo, un monolite nero che si confondeva con la terra ghiacciata e il cielo buio di Titano.

"... Questa commemorazione non rappresenta solo un'occasione per piangere i caduti; è anche un omaggio alla loro vita preziosa. Perché non sono martiri, né soldati, ma prima di tutto esseri umani. Che sia un monito. Un monito per noi che siamo sopravvissuti. Ogni volta che volgiamo gli occhi su questo blocco di pietra, ricordiamoci di loro e ricordiamo cosa siamo stati noi stessi..."

Safiya seguì il labiale di Madeleine, il fuoco le animava gli occhi, la passione che scoccava tramite le parole bucava il filtro dei teledroni. Si era fatta crescere i capelli. Le stavano bene, malgrado se ne lamentasse sempre - mi vanno davanti agli occhi, sono una cazzo di tortura -. Aveva provato a suggerirle di tagliarli, ma l'altra era stata irremovibile: non se ne parlava neanche. Sotto quella matassa di ricci che le circondavano il viso come una criniera leonina, si nascondeva una vecchia cicatrice.

Un ricordo della Grande Guerra. Ma Madeleine non amava rammentare le ferite che la guerra le aveva lasciato.

Gliel'aveva suggerito Blanche Van Leeuw. Poteva vederla, tra i pochi, eletti spettatori umani presenti per celebrare l'anniversario della Grande Guerra. Seduta sulla sedia a rotelle, le mani giunte sulle ginocchia, ciò che era rimasto delle sue gambe: nient'altro che protesi, che l'affaticavano e le concedevano un'autonomia limitata. Il volto severo e spigoloso reagiva in modo impercettibile ogni volta che Madeleine enfatizzava alcune parole del suo discorso. "Morte... gloria... libertà..."

Più andava avanti, più gli occhi di quella che una volta era stata soprannominata Arma Bianca apparivano lustri. Gli anni che avanzavano l'avevano addolcita, oppure Madeleine era una retore più appassionata e carismatica di quanto pensasse. Forse, la memoria di quella vecchia gloria era ancora ferma là, a quando era la Tiranna di un pianeta lontano e non esistevano ancora concetti come "autonomia tra pianeti" o "Assemblea interplanetaria". Blanche Van Leeuw rappresentava un mondo in declino che era stato spazzato via. Non aveva saputo mantenere il passo, e allora era costretta a guardare da lontano l'avanguardia dell'avvenire: Madeleine e Safiya, promotrici di un nuovo mondo. Poteva darsi che in quelle parole, morte, gloria, libertà, non riusciva a figurarsi nessuno dei Consiglieri che componevano le file dell'Assemblea, eletti tramite voto popolare. L'unica cosa che la sua mente concepiva era il volto di un Ambasciatore nominato dall'alto, fiero nell'uniforme blu della Congrega.

Congrega. Quella parola, nel nuovo ordine costituito, aveva perso valore.

Safiya prese un respiro, si concentrò sul ticchettio delle lancette di un orologio immaginario che scandivano lo scorrere del tempo, immaginò che rallentassero sempre di più, fino a fermarsi.

Non successe nulla. Il tempo continuava a fluire davanti a lei.

Dopo aver trascorso la vita a vivere fuori dal tempo, non aveva ancora imparato a percepirlo come una persona normale. Perfino dopo cinque privi di Ascensione.

Kepler 442-BDove le storie prendono vita. Scoprilo ora