66. Confronti mancati

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Osservo l'orizzonte di fronte a me per alcuni secondi. Resto in silenzio, cerco addirittura di non fare rumore con il respiro per potermi godere la pace e la solitudine che mi circonda. Di colpo tutta la stanchezza delle ultime ventiquattro ore mi piomba addosso, mi toglie il fiato, mi riempie la testa di vertigini a causa della confusione, e il mio cuore si trasforma in un macigno insostenibile. Un groppo di dolore mi si forma in gola a sentire la voragine che si è riaperta nel mio petto, più dolorosa della prima volta che si aprì. Mi sento come un bimbo che è caduto e si è fatto male e, nel momento esatto in cui la ferita stava iniziando a cicatrizzarsi, è caduto nuovamente, sempre su quello stesso maledetto punto della prima volta; un bambino con addosso la consapevolezza che ogni volta che cadrà, si farà sempre male lì. L'unica differenza è che questa volta il bambino non può restare seduto e aspettare che il dolore passi prima di poter tornare nuovamente a giocare, deve rialzarsi e dimostrare che è forte. Ed è con il cuore che piange le sue lacrime più amare, che mi alzo dalla sabbia e inizio a correre in direzione della strada. Alcune volte inciampo nei miei stessi piedi, ma questo non mi impedisce di continuare a correre, a scappare. Perché ormai è questo quello che faccio: scappare dalla vita e dai problemi che mi presenta davanti ogni volta che devo fare una scelta. Il rombo di una moto in lontananza fa sì che i miei piedi si incollino di colpo sull'asfalto. Paura o orgoglio? A quale delle due dare retta? Non ho il tempo di darmi una risposta concreta, ma non appena la moto inconfondibile di Aiden fa il suo ingresso nel mio campo visivo lungo l'orizzonte, le mie gambe prendono a muoversi da sole, a tornare a correre, portandomi sempre più lontano, e sempre più nascosta fra le ombre notturne ancora presenti nei vicoli della città.


Aiden's P.O.V.


Fermo la moto al ciglio della strada e, prima di poggiare a terra il cavalletto per sostenerla, mi godo ancora per qualche secondo il suo dolce borbottare e vibrare. La tentazione di muovere il polso destro verso il basso e dare un'ultima accelerata è molto forte, però mi trattengo, in rispetto alla quiete regalata dal dolce sciabordare delle onde del mare che si infrangono con calma sulla spiaggia. Giro la chiave nel quadro e lascio che la moto si spenga sotto di me. Scendo dalla sella di pelle e mi tolgo il casco poggiandolo dove prima ero seduto. Infilo le chiavi nella tasca del giubbotto di pelle e, nel mentre che tiro fuori la mano, afferro il pacchetto di sigarette, aprendolo e portandone immediatamente una alle labbra. Con la mano libera afferro dalla tasca dei jeans l'accendino, do fuoco alla cima di ciò che darà immediatamente sollievo alla mia esigenza di nicotina. Nonostante il fumo che mi riempie i polmoni e mi esce dalle narici, non riesco a ritenermi completamente appagato, come se mancasse qualcosa. Mi lecco le labbra nella speranza di trovare sollievo nell' amarognolo sapore lasciato dietro di sé dal tabacco. Con lo sguardo perlustro la spiaggia vuota. Resto quasi stupito di non trovare nessuna testa riccioluta all'orizzonte. Avverto alcuni passi provenire dalla mia destra, ma non mi scomodo a volgere lo sguardo in quella direzione. «Lei dov'è?» Un volto noto entra prepotentemente nel mio campo visivo. Continuo a fumare con estrema calma, soffermandomi solo per qualche secondo ad osservare gli occhi chiari e inquisitori di Eris. «C'eri tu con lei, non dovrei dirtelo io.» La ragazza mi punta l'indice al petto in una velata minaccia. «Io sono andata via per lasciarvi da soli, eppure mi pare che qui ci sia solo tu.» «Perspicace.» pronuncio senza nemmeno scompormi. «Aiden.» Il suo sguardo ancora più serio mi fa sbuffare l'ennesima nuvoletta di fumo nell'aria. «Perché sei tornata Eris?» Lei in risposta incrocia le braccia sotto al seno. «Volevo assicurarmi che Kalea non ti avesse ucciso.» Sogghigno leggermente alla sua affermazione. «Aveva talmente tanta voglia di uccidermi che non ha nemmeno avuto il coraggio di farsi viva.» Cammino in direzione della spiaggia dopo aver superato la sua figura. Eris torna a posizionarsi nuovamente di fronte a me, interrompendo così la mia breve passeggiata. «Cosa vuol dire che non si è fatta viva?!» Lo stupore nei suoi occhi riesce quasi a far vacillare la mia sicurezza. «Vuol dire che quando sono arrivato la spiaggia era deserta così come la vedi ora.» Il suo sguardo corre velocemente all'orizzonte. In un gesto rassegnato si lascia ricadere sul muretto alle sue spalle, sporgendo poi il busto in avanti per non sbilanciarsi all'indietro e cadere nella sabbia. «Forse è solo colpa mia.» mormora a bassa voce la ragazza dai capelli bianchi. Sospiro gettando nell'apposito cestino il mozzicone della sigaretta ormai finita. «Quale sarebbe la tua colpa? Avermi detto che eravate qui?» Eris annuisce e io di conseguenza roteo gli occhi al cielo. «Non è colpa tua se lei non ha voluto parlare con me.» Sollevo le spalle con tranquillità. «Non capisci Aiden!» La ragazza si alza di impeto da dove era seduta, costringendomi a fare un passo indietro per evitare che mi finisca contro. Corrugo la fronte non comprendendo realmente dove lei voglia andare a parare. «Come potresti mai capire?!» Eris inizia a passarsi le mani nei capelli in maniera sempre più agitata e preoccupata, iniziando allo stesso tempo a girare in tondo. La piccola vocina all'interno della mia mente inizia a inquietarsi a sua volta. Poggio le mie mani sulle sue spalle per tentare di placare il movimento frenetico del suo corpo. «Che cosa non posso capire?» domando con tono serio scrutandola intensamente negli occhi. La ragazza dai capelli bianchi fa un lungo respiro per calmarsi. «Kalea non ha un posto dove andare. Non può tornare a casa sua.» Si allontana da me tornando a passarsi convulsamente le mani fra i capelli. «Diamine se non può tornarci!» Per quanto mi sforzi, non riesco ad essere in grado di seguire il suo discorso. Afferro nuovamente Eris per le spalle e riporto le sue iridi nelle mie. «Ho bisogno che mi spieghi che cazzo sta succedendo. Quindi, concentrati.» Mi pietrifico di colpo quando noto i suoi occhi farsi sempre più lucidi nel mentre che i secondi scorrono. Mi si mozza il fiato a vedere nuovamente in lei la sofferenza dopo anni in cui avrei potuto giurare di non averne più vista nemmeno un briciolo. Alleggerisco la pressione delle mie dita sulla sua pelle, spaventato di poter ferire la sua fragilità. Deglutisce rumorosamente, asciugandosi in maniera frettolosa una lacrima sfuggita al suo imperturbabile controllo. «C'è un motivo se io e Kalea ci siamo ritrovate da Ross...ecco, io la stavo aiutando a scappare da casa sua.» Corrugo la fronte per la confusione ma le lascio proseguire il suo discorso. «Sta notte ero venuta alla tua porta per chiederti come fosse andato il ballo, se fosse successo qualcosa di particolare come ogni anno, e vi ho sentiti. Ho evitato di bussare, così come sono andata via per non farmi i fatti vostri. Ero sul tetto quando ho visto Kalea uscire di corsa dal Quartier Generale. Credevo che la cosa migliore fosse lasciarle il suo tempo, senza intromettermi tra di voi, rischiando unicamente di peggiorare le cose. Dopo circa una mezz'ora non ho più resistito, il mio istinto urlava a gran voce che c'era qualcosa che non andava, così ho preso la moto e sono andata a casa sua. Ho rischiato tanto, a metà strada ho anche incrociato la polizia notturna ma sono riuscita a seminarla in fretta, più o meno.» Un piccolo sorriso divertito le sfugge durante tutto il suo racconto. «Ti sto ascoltando.» la incito a continuare senza metterle troppa pressione. «Da fuori la luce era accesa solo in due stanze: la cucina e il salotto. Sai che non mi impressiono facilmente, mi conosci, ma posso giurarti che mi sono venuti i brividi quando ho visto il modo in cui si muovevano le ombre all'interno della sala. Sono entrata dentro di corsa, pensavo che la mafia russa avesse scoperto dove abitasse Kalea e che stessero cercando di estorcerle informazioni o peggio, di ucciderla. Quello che ho visto era ben peggio. Lei era un insieme di rabbia, dolore e disperazione; ogni cosa che le passava tra le mani poi volava per aria. Sua sorella non faceva altro che darle della pazza, mentre quella che ho dedotto essere sua madre non smetteva di istigarla e ferirla sempre più.» Il mio volto si incupisce notevolmente, ancor di più quando decide di proseguire il discorso con voce tremante. «L'aspetto più preoccupante è che Kalea aveva preso di mira la credenza con tutte le ceramiche, le bottiglie e gli oggetti di cristallo. Sul pavimento c'erano frammenti e schegge appuntite di ogni tipo. Ad un certo punto sono stata costretta ad intervenire...» La voce le si affievolisce di colpo. Eris abbassa lo sguardo con dolore, non potendo fare a meno di lasciar cadere sul cemento del marciapiede una lacrima solitaria. «Eris...» Mi si spezza il cuore a vederla in quelle condizioni, ma ancor di più perché la storia non è ancora finita e solo dio sa cosa sta per aggiungere. Le sue pupille arrossate mettono in risalto i suoi occhi tanto chiari e a tratti simili ai miei. «Sono stata costretta ad intervenire quando la sorella, Sophia, le ha detto che se lei avesse continuato a lanciare cose, avrebbe rischiato di farle male! Ti rendi conto?! La sua preoccupazione era che lei non si facesse male, non di certo Kalea che aveva avuto per tutto il tempo fra le mani quegli oggetti affilati! Vorrei poter dire che la cosa sia finita qui, ma il peggio è arrivato quando Kalea ha reagito all'affermazione della sorella rompendo un fiore di cristallo e puntandosi lo stelo appuntito alla gola! Cazzo! Alla gola Aiden, alla gola!» Eris si passa le mani fra i capelli con disperazione e io mi sento sempre più senza fiato. Di colpo la ragazza dai capelli bianchi scoppia in quella che sembrerebbe essere una risata isterica. «Eppure, questo non è il peggio! Perché poi è arrivata sua madre, quella grandissima figlia di puttana! Credi che abbia fatto qualcosa per fermarla? No! Certo che no! Anzi! Sai cosa ha fatto la sua dolce mammina? L'ha istigata dicendole che non ne sarebbe stata in grado! Quale madre inciterebbe la propria figlia ad uccidersi per una mera dimostrazione di cosa? Orgoglio? Codardia?» Improvvisamente tutta la rabbia che provavo per Kalea e per essersi fatta toccare da Ross svanisce, di colpo, come se non fosse mai nemmeno esistita. Stringo i denti e serro le mani in due pugni per la rabbia che avverto montarmi dentro nei confronti di quella famiglia. Prima il padre assente, poi il fratello che inscena la sua morte per non si sa quale motivo e ora questo. «Non la passeranno liscia.» Eris mi afferra con forza l'avambraccio facendomi poi segno di no con la testa. «Non puoi permetterti di torcere un singolo capello a nessuno di loro. Qualsiasi cosa sia accaduta, rimane comunque la sua famiglia, e noi non sappiamo se questa per loro sia la normalità e se siano abituati a riappacificarsi dopo questo genere di liti. Non possiamo intrometterci, soprattutto dal momento in cui per portare via Kalea ho dovuto minacciare Sophia puntandole un coltello alla gola. Era l'unico modo per riuscire a fare leva sulla furia irremovibile della madre.» Stringo nuovamente i denti per poi afferrare bruscamente dalla tasca il pacchetto di sigarette; ne offro una alla ragazza di fronte a me che prontamente accetta e accende la cima di entrambe con una singola fiamma. Inspiro rapidamente il fumo all'interno del corpo necessitando della calma che mi ha sempre infuso la nicotina, ma esattamente come prima ho la sensazione che manchi qualcosa. «A cosa stai pensando?» domanda la ragazza di fronte a me esalando il fumo nell'aria. «Che per lei sarà stato proprio un compleanno di merda.» Eris sgrana gli occhi di colpo. «Oggi è il suo compleanno?!» Annuisco espirando l'ennesima nuvola di fumo degli ultimi due minuti. «Non mi aveva detto nulla a riguardo, mi chiedo il perché.» Il volto della giovane donna si imbroncia lentamente. «Non le ho nemmeno fatto un regalo.» afferma incrociando le braccia al petto con aria indispettita. Le sue parole fanno scattare una lampadina nella mia mente. Dalla tasca posteriore dei jeans afferro il portafoglio di pelle scura e da esso ne estraggo una carta di credito nera che porgo ad Eris. «Voglio che le compri il regalo più bello che tu sia in grado di trovare, e mi raccomando: non badare a spese.» La ragazza mi osserva sorpresa. «Davvero?! Tu invece? Non hai intenzione di farle nessun regalo?» Un piccolo ghigno nasce sul mio volto nel esatto istante in cui getto il mozzicone nel cestino apposito. «Non preoccuparti per me, ho già le idee molto chiare. Ci rivediamo al Quartier Generale, sono certo che la troveremo lì, d'altronde da qualche parte dovrà pur riposarsi dopo una nottata del genere.»


Angolo Autrice

Buona sera a tutte fanciulle! Come state? 
Sono convinta che questo capitolo non è esattamente ciò che vi aspettavate, so che siete abituate al carattere impulsivo di Kalea, che vi sareste aspettate che urlasse in faccia ad Aiden tante cose, ma per quanto possa essere "finzione", i miei personaggi sono esseri umani, sono mutevoli e penso possiate comprendere quanto la sua reazione sia stata umana dopo tutto ciò che ha vissuto in una lunga notte che è sembrata infinita (oltre che durare capitoli e capitoli).
Vi preannuncio che questo è solo l'inizio, dal prossimo capitolo preparatevi ad urlare tantissimi "oh mio dio" uno dietro l'altro, sono pronta a stupirvi. 
Ci rivediamo fra due lunedì, 

Buonanotte,
Chiara.

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