20. Lingue di vipera

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Mi passo le mani sul viso guardando la città appoggiata al parapetto del balcone. Alcuni raggi solari si infrangono sul mio viso facendomi socchiudere più volte gli occhi. Avverto dei passi alle mie spalle ma non mi volto, so già chi è. Il suo profumo è una delle poche costanti in tutta questa storia. Mi godo per qualche secondo l'odore del suo dopobarba mischiato a una fragranza che mi ricorda quella delle orchidee. Ho la certezza che sia lui quando un braccio tatuato compare nel campo periferico dei miei occhi. Mi volto leggermente verso di lui e lo osservo portarsi alle labbra una sigaretta che si affretta ad accendere. «Sei stata brava.» Aiden prende parola per primo e non posso che ringraziarlo, non avrei davvero saputo che dire se avesse lasciato che fossi stata io a iniziare la conversazione. «Nulla che non abbia già fatto.» Fisso il cielo con il capo all'indietro mentre appoggio la schiena al muretto. «Cosa intendi?» Il modo curioso in cui mi guarda mi fa maledire di aver parlato troppo ancora una volta. «Nulla, fa finta che io non abbia detto proprio niente.» La mia voce è seria e dura. Non ho intenzione di parlarne con lui, né ora e né mai. «Facevi già parte di un clan in Colombia?» domanda lasciandomi senza parole. Mi volto di scatto nella sua direzione. «Come fai a sapere da dove vengo?» Nascondo i miei timori con un'espressione infastidita. «Nulla, fa finta che io non abbia detto proprio niente.» Mi risponde nello stesso identico modo in cui io ho fatto poco prima. Mi mordo un labbro con forza per evitare di maledirlo in qualunque lingua io conosca. «Com'era la vita lì?» Il fumo si disperde immediatamente nell'aria ogni volta che lo soffia fuori. Mi metto a braccia conserte guardandolo malissimo. «Cosa te ne importa, Aiden? Eh? Dimmi cosa te ne frega perché io davvero non riesco a capirlo.» sbotto sulla difensiva. «Non c'è bisogno che ti scaldi tanto riccioli d'oro. Sei nata e cresciuta lì, perché sei tanto astiosa nel parlarne?» Il suo modo insistente d'imporsi mi fa saltare ancor di più i nervi. Gli punto un dito sul petto con rabbia. «Aiden stanne fuori. Stai rovinando il mio presente e probabilmente farai lo stesso con il mio futuro, non osare mettere mano anche nel mio passato.» Il suo sguardo rimane impassibile ma, per una frazione di secondo, giurerei di averlo visto tentennare. Sarà stata solo un'allucinazione dovuta al caldo e all'adrenalina di prima. Illogicamente tento di darmi una risposta per evitare che il mio cervello inizi a formulare tesi che non sarei in grado di sostenere. «Pensi che mi freghi qualcosa del futuro di una stupida ragazzina che sa solo ficcare il naso dove non deve?! Credi davvero che io abbia piacere ad averti qui davanti a me in questo momento? Kalea tu per me vali meno di zero, non crederti speciale e scordati di continuare a rispondermi male come fai, Ora fai parte del clan come tutti gli altri, inizia a rispettare le regole come fanno tutti, compresa quella di obbedire sempre ai tuoi superiori.» Ogni sua parola è una lama che mi trafigge il petto. Non piango, non lo faccio mai, ma il dolore mi porta a indurire i tratti del mio viso. «Altrimenti cosa? Permetterai a Eris di giocare con un coltello sulla mia schiena? Mi umilierai davanti a tutti? Mi ucciderai? Fai pure, non mi importa, tanto che senso ha? Hai già rovinato la mia vita all'inverosimile, contro la mia volontà, non credo tu possa fare più danni di quanti tu ne abbia già fatti.» Dalle mie labbra è come se trasudasse veleno puro, mentre i miei occhi sono infuocati di rabbia e sono fissi nei suoi. «Ecco!» Mi indica con rabbia. «Mi riferisco a questo! Al tuo continuo sfidare la mia autorità! Devi porre fine a tutto questo, o non finirà bene per te. Posso renderti la vita un inferno e questo lo sai anche tu.» Eccola, ecco la cattiveria che tanto pensavo mi avesse risparmiato. Serro gli occhi con forza passandomi le mani nei capelli, finendo così per tirare alcune ciocche. I miei occhi si incastrano nuovamente nei suoi e quasi non so cosa dirgli vista tutta la rabbia che mi scorre nelle vene in questo momento. «Se credi» Poso le mie mani sul suo petto spintonandolo all'indietro. «che starò zitta» Lo spingo con più forza. « solo perché» Continuo a premere i palmi delle mie mani su di lui con veemenza. «uno stronzo» Lo spingo. «sbruffone» Ancora. «presuntuoso» Un'altra volta. «arrogante» Continuo con ancora più insistenza visto che a malapena lo smuovo a ogni colpo. «con manie di protagonismo» A questo punto gli rifilo anche un pugno sul petto. «me lo dice» Lo guardo negli occhi dopo essermi fermata di colpo. «ti sbagli di grosso.» La cosa che più mi fa arrabbiare è la sua indifferenza e impassibilità in tutto questo, non reagisce nemmeno, non risponde alle mie provocazioni e questo mi fa impazzire. Quando sono pronta a ritornare alla carica mi afferra entrambi i polsi con una sola mano bloccandomi dal colpirlo ancora una volta. «Calmati.» Sollevo entrambe le sopracciglia per fargli intendere l'enorme errore che ha appena fatto. «Hai seriamente il coraggio di dirmi di calmarmi?!» domando con una furia che non pensavo nemmeno potesse appartenermi. «Sì.» Boccheggio al limite della rabbia. In mente innumerevoli scenari iniziano a formarsi, l'immagine principale è la mai figura che picchia quella di Aiden. Mi lascia andare le mani quando nota che mi sono calmata. Mossa sbagliata. Riverso tutta la rabbia che ho in corpo in un singolo schiaffo che assesto sul suo viso senza nemmeno pensarci due volte. La sua espressione sorpresa mi lascia intendere che non se l'aspettava affatto. «Cabron! Hijo de puta!» Lo insulto in spagnolo, segno che sono veramente incazzata con lui. «Pensi davvero che dirmi di calmarmi mi faccia davvero calmare?! Ti sbagli. Hai intenzione di rovinarmi la vita? Bene, fallo. Io mi assicurerò di rendere la tua esistenza il più insopportabile possibile, vero o no che sono una Diaz.» Un piccolo campanello sembra accendersi nel suo cervello quando sente pronunciare il mio cognome e riesco a dedurlo dalla piega che assume il suo sguardo. «Cosa hai appena detto?» domanda avvicinandosi pericolosamente a me. «Mi hai sentita bene.» pronuncio tra i denti. «Il tuo cognome è Diaz?» Il mio sguardo da "secondo te?" gli permette d'intuire che la risposta è sì. «Allora forse avrai sentito nominare un certo Alejandro Diaz.» Alle sue parole una risata amara lascia le mie labbra. «Puoi giurarci.» rispondo, questa volta attenta a non parlare più del dovuto. 

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