57. Discorsi fra amiche

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Tiro il cappuccio sopra la testa per non permettere a nessuno di notare il mio volto stanco e solcato da occhiaie enormi. Io e la mia incapacità di truccarmi, non so nemmeno come usare uno stupido correttore senza far sembrare che la mia pelle sia di due tonalità diverse. Mi stropiccio gli occhi con il pugno chiuso, tentando di far svanire la pesantezza che porta le mie palpebre a chiudersi da sole a causa del sonno. Da quando Aiden ha lasciato camera mia, non sono più stata in grado di chiudere occhio.

Una spalla si scontra violentemente con la mia, portandomi a sollevare lo sguardo sulla persona di fronte a me. «Sta attenta a dove metti i piedi, Diaz.» Il ragazzo di fronte a me pronuncia il mio cognome con aria sprezzante. Lascio che lo zaino scivoli verso il pavimento da sopra la mia spalla, per poi riportare a lui la mia attenzione. «Altrimenti? Che mi fai?» Il biondo sussulta, sorpreso dalla mia improvvisa aggressività. «Ma che ti prende?» Mi scruta con le sopracciglia accigliate, facendo alcuni passi indietro.

«Brandon!» Lo richiama dal fondo del corridoio un ragazzo dai capelli tinti di blu. «Jay, adesso arrivo.» Gli risponde il biondo, senza però muovere nemmeno un passo nella sua direzione. Accorgendosi del suo restare immobile, l'amico si muove nella nostra direzione. «Brandon perché non ti muovi?» I suoi occhi si posano su di me prima di vederlo accigliarsi e deglutire rumorosamente. «Kalea...» sussurra il mio nome con un filo di voce. Mi limito a sollevare un sopracciglio rimanendo in silenzio.

Jay da una pacca sulla spalla a Brandon, incitandolo ad andare in classe. Il biondo fa ciò che gli viene suggerito, mentre il ragazzo dai capelli blu muove alcuni passi nella mia direzione. Vedendolo avvicinarsi, il mio sguardo inizia a indurirsi, diventando ancora più serio. «Non voglio dirti nulla di male, anzi. La sera delle corse clandestine, c'ero anche io e ho assistito a tutto ciò che è accaduto.» Sento il mio cuore perdere alcuni battiti. Spero per lui che abbia intenzione di tenere la bocca chiusa, non ho la minima voglia di sporcarmi le mani per cercare un po' di silenzio. «Da quella sera non sono più stato in grado di guardarti con gli stessi occhi. Prima, per me, eri una semplice ragazza proveniente da un altro stato che si era trasferita nella nostra scuola, ora sei la persona che ammiro e allo stesso tempo stimo di più.» Nonostante i suoi complimenti, non posso fare a meno di osservarlo con espressione diffidente. «Perché mi stai dicendo tutto ciò? Dove vuoi arrivare? Chi ti ha detto di dirmelo?» Pone le mani in avanti, scuotendo energicamente la testa. «No, no. Assolutamente nessuno. Non sono qui per conto di qualcuno.» «Allora perché?» La mia espressione si fa ancora più accigliata.

La sua mano si posa sul mio polso, nella speranza d'incitarmi a seguirlo. Mi libero dalla sua presa, afferro lo zaino da terra e poi gli faccio segno di farmi strada. Mi conduce fino al retro della scuola, dove c'è un piccolo giardino curato con giusto al centro una panchina di legno, attualmente vuota. Mi lascio ricadere sulla seduta per poi riportare i miei occhi verdi su di lui. Il ragazzo prende a osservarmi con i suoi occhi azzurri, mentre con aria agitata tortura le sue stesse mani. «Allora?» Sollevo un sopracciglio, tentando d'incitarlo a parlare. Dallo zaino che non avevo notato avesse in spalla, estrae una busta bianca che mi porge in tutta fretta. L'afferro, alternando con circospezione lo sguardo fra lui e l'oggetto fra le mie mani.

«Chi la manda?» domando d'istinto, non avendo notato nessuna scritta all'esterno. «MC.» pronuncia il ragazzo con voce tremante. I miei occhi si spalancano per lo stupore per poi assumere un'aria amareggiata. «Prima mi hai mentito allora.» Lo vedo mandare giù con difficoltà la saliva. «Quelle cose le penso davvero, avevo solo bisogno di trovare il pretesto giusto per rivolgerti la parola e consegnarti la lettera.» Mi mordo il labbro inferiore con fastidio, scuotendo leggermente la testa in segno di negazione con me stessa. «Non ho intenzione di crederti, quindi vedi di andartene.» Spaventato dal tono della mia voce, si volta di spalle e raggiunge in fretta l'ingresso posteriore dell'edificio.

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