6. Mettersi nei guai (parte 2)

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Decido di seguire Zack all'interno del locale, nonostante io non mi senta sicura al cento per cento nel farlo. C'è qualcosa in questo posto che mi rende irrequieta. Una volta dentro, un giovane ragazzo che sembra conoscere bene il mio compagno di classe, ci fa accomodare a un tavolo un po' appartato. Mi siedo con le spalle rivolte alla finestra e il volto puntato verso la direzione dell'ingresso. Sia mai che debba escogitare all'improvviso un piano per fuggire, almeno così ho due vie di fuga assicurate, o almeno in parte. «Dici che non è un appuntamento, ma a me sembra proprio tutto il contrario, il ragazzo di prima sembrava conoscerti e ha anche fatto in modo di metterci a sedere in uno degli angoli meno affollati della sala, come se sapesse che questo è il tuo solito posto.» gli confesso sussurrando tutto ciò che ho notato nella frazione di pochi minuti. I suoi occhi si incastrano nei miei, in un'espressione piuttosto sorpresa, non si aspettava di certo che io notassi tanti particolari. «Il ragazzo mi conosce perché lavoro qui.» Fa un sospiro prima di proseguire il discorso e io, non ho nessuna intensione d'interromperlo. «La mia famiglia non è molto agiata e spesso fatichiamo ad arrivare a fine mese e, quando questo accade, mi capita di fare qualche turno extra la notte dato che questo ristorante è aperto fino alle cinque di mattina, si può dire che sia praticamente a orario continuato ventiquattro ore su ventiquattro. Quando quella mattina mi hai trovato in centrale, è perché stavo facendo un turno extra ed è successo un imprevisto con una cliente; praticamente per tutta la sua permanenza ho gestito io il servizio del suo tavolo, tutte le comande eccetera, ma quando è arrivato il turno di pagare la signora ha affermato che nella borsa non ci fosse più il suo portafoglio e io sono stato accusato di tale furto. Ovviamente non era la verità, ma la donna ha insistito a chiamare la polizia e così mi hanno mandato in centrale. Ho passato l'intera notte al fresco, nonostante il portafoglio fosse stato ritrovato dopo mezz'ora, per terra, accanto alla sedia del tavolo in cui lei aveva cenato. Purtroppo quando non hai i soldi non puoi permetterti chissà quali privilegi, quindi se ti devi fare una notte al fresco, ti fai una notte al fresco.» Conclude di parlare e la mia espressione si è addolcita notevolmente. Mi porto una mano al cuore realmente dispiaciuta. «Ti chiedo scusa per averti giudicato tanto in fretta e senza nessun valido motivo, avrei dovuto aspettarmelo che alla fine tu sei solo il classico bravo ragazzo.» Quando mi rendo conto delle ultime cose che ho pronunciato ad alta voce, le mie guance si tingono di un rosso intenso che è facilmente notabile da chiunque nell'arco di pochi metri di distanza. «"Il classico bravo ragazzo", eh? Non credevo che inizialmente mi avessi etichettato in questo modo.» ammette ridendo e prendendo la questione in generale sul ridere. Bevo un sorso d'acqua piuttosto lungo per non sentirmi immediatamente costretta a rispondergli. Io mi devo sempre andare a mettere in qualche situazione imbarazzante; prima gli ho detto che pensavo volesse farmi fuori, poi che questo fosse un appuntamento, ora che lo vedo più come un bravo ragazzo...perché quest'ultima affermazione mi sembra quasi una brutta cosa da dire? Sembra quasi che io lo stia friendzonando. Bevo altri sorsi d'acqua per non dovergli ancora rivolgere la parola. «Ti ho messa così tanto in imbarazzo?» domanda avendo osservato tutti i miei gesti; mi limito ad annuire, come se il gatto mi avesse improvvisamente mangiato la lingua. Per tirarmi ulteriormente fuori dalla situazione imbarazzante, "accidentalmente" lascio che un po' di acqua si rovesci sulla mia maglietta, ma senza che Zack riesca ad accorgersi che la mia mossa è stata fatta di proposito. Mi allontano di scatto dal tavolo con la sedia. «Oddio...» Mi guardo la maglietta con una grossa macchia di acqua al centro e poi sollevo lo sguardo sul ragazzo di fronte a me. «C'è un bagno? Vorrei almeno un po' provare ad asciugare il disastro che ho combinato.» asserisco con timidezza, la quale non appartiene tanto al mio reale carattere. Non sopporto mentire, eppure è già la seconda volta che lo faccio in una singola giornata. «Certo Kalea, è infondo alla sala a destra.» Mi sorride comprensivo mentre io mi affretto a sgusciare via seguendo le sue indicazioni. Vi prego, che qualcuno mi salvi da questa situazione al più presto. Penso senza sapere in realtà a chi io mi stia riferendo. Quando arrivo davanti la porta del bagno, mi rendo conto che in realtà è un corridoio con diverse porte. Presumo che come prima il bagno si trovi in fondo a destra, d'altronde quale bagno non è collocato in fondo a destra? Mi domando ironicamente, dato che pressoché in ogni luogo pubblico o privato in cui io sia stata, il bagno era sempre in fondo a destra. Inizio a percorrere il corridoio tranquillamente, non sentendo più addosso tutta la pressione di prima. Quando arrivo davanti alla porta da me desiderata, mi rendo conto che quella nel alto opposto del corridoio è leggermente appannata e da essa provengono diversi rumori. Una parte di me suggerisce di far finta di nulla e di andare semplicemente ad asciugarmi la maglietta ma, come al solito, la mia curiosità ha la meglio e mi porta ad accostarmi alla porta. Sbircio dentro e tutto ciò che vedo è solo un paio di scale nere, qualche volta illuminate da delle luci colorate. Corrugo la fronte e presa da ulteriore curiosità mi infiltro dentro, assicurandomi di appannare la porta alle mie spalle nello stesso modo che era posizionata prima. Inizio a scendere qualche gradino prima di notare una rientranza che mi permette di vedere cosa succede, senza però essere vista a mia volta. Trattengo il respiro per non fare rumore quando mi accorgo di ciò che c'è davanti ai miei occhi. Sembrerebbe uno strip club qualunque se solo non fosse per i grandi tavoli dei giochi d'azzardo e di alcuni uomini con diverse buste e valigette misteriose. I miei occhi si spalancano quando una mano mi afferra il braccio da dietro e un'altra mi tappa la bocca per non farmi urlare. Cerco di dimenarmi, ma la voce di Zack mi giunge tranquilla al mio orecchio. «Sh, non voglio farti del male, cerco solo di non farti scoprire.» sussurra conducendomi su per le scale. Quando arriviamo in corridoio continua a sorridermi. «Direi che è arrivato il momento di andare via.» Ridacchia come se nulla fosse successo. Lo guardo stralunata. «Cos'è quel posto?» domando pur essendomi già fatta una mia idea. «Assolutamente nulla.» continua a rispondermi come se fossi un'emerita stupida. «Zack, cosa c'è li sotto?» domando nuovamente tentando di cambiare la domanda. La sua espressione si indurisce e con forza mi afferra il polso trascinandomi verso una delle porte del corridoio. «Mi stai facendo male! Lasciami andare!» esclamo avvertendo già la pelle del polso iniziare a tirare e bruciare. Resta in silenzio continuando a tirarmi oltre la porta, conducendomi verso quella che si direbbe essere l'uscita sul retro del ristorante, uscita che si affaccia sul parcheggio dove abbiamo messo la macchina. «Zack, mi spieghi cosa diavolo è quel posto?!» Inizio a innervosirmi. «Non sono affari tuoi!» pronuncia con tono duro, praticamente urlandomi in faccia. Ammutolisco per la sua aggressività, ma non mi lascio scoraggiare, difatti dopo pochi secondi ritorno alla carica. «Potresti almeno lasciarmi andare il polso?» domando ora con stizza. «A patto che rimani qui seduta senza più fiatare.» Mi fissa intensamente negli occhi in attesa di una mia risposta. Mi vedo costretta ad accettare dato che il dolore al polso inizia a farsi insopportabile dunque mi limito ad annuire con il capo. Tiro un sospiro di sollievo quando mi lascia andare e, come d'accordo, mi siedo a terra senza fiatare ma continuando comunque a osservare tutto ciò che mi circonda. Il ragazzo si allontana leggermente da me per fare una chiamata, non abbastanza per evitare che io possa sentire la sua conversazione. «Aiden, sì, sono io, Zack. Abbiamo un problema. Sì, esatto, abbiamo un codice porpora.» Una volta che la chiamata finisce, mette via il telefono voltandosi nella mia direzione. «Hai combinato un gran casino.» afferma limitandosi poi a guardarmi mentre si passa con rabbia una mano nei capelli. 

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