Savannah's P.O.V.
Senza soffermarci troppo sulla situazione che si è appena verificata, ci precipitiamo tutte e tre fuori dalla porta, correndo a tutta velocità verso la sala generale. Ancor prima di varcare la soglia ci accorgiamo del trambusto che si è venuto a creare all'interno della stanza. Delle forti grida si levano nell'aria, si percepisce chiaramente l'aria carica di rabbia e tensione. Nel momento in cui i miei occhi si posano su alcuni esponenti degli Scorpions non posso fare a meno di spalancare le palpebre per lo stupore. Nel momento in cui le mie labbra si schiudono, prontamente porto una mano al volto per coprire al meglio la mia espressione stupefatta e allo stesso tempo inorridita. «Sei stato tu a farmi questo?!» pronuncia con ira uno dei due indicando la ferita da arma da taglio presente sul suo braccio. «Perché mai avrei dovuto?» pronuncia l'altro alimentando la tensione nella stanza e aumentando la confusione di tutti i presenti. «Forse perché so fare il mio lavoro meglio di te!» ribadisce il primo puntandogli un dito contro. «Ne sei sicuro?!» Un urlo stridulo fuoriesce dalla mia gola quando alcuni schizzi di sangue mi bagnano il volto e il dito del primo che aveva parlato rotola fino alla punta delle mie scarpe. La bile mi risale in gola, un senso di nausea inizia a chiudere e riaprire ritmicamente la mia trachea. La mia vista è offuscata da una spessa patina di lacrime che mi rifiuto di lasciar scorrere lungo le guance. All'ennesimo conato di vomito avverto qualcuno afferrarmi per le spalle da dietro e trascinarmi oltre l'uscio della porta. Nel momento in cui mi viene posto davanti il portaombrelli vuoto il mio stomaco non può fare altro che ringraziare e buttare finalmente fuori il disgusto che mi era rimasto bloccato in gola. Vomito fuori tutto con forza nel mentre che qualcuno, molto delicatamente, mi accarezza la schiena per incoraggiarmi e alleviare la mia sofferenza. Quando credo che il peggio sia passato sollevo lo sguardo sulla ragazza che ora si è spostata di fronte a me e che mi sta porgendo gentilmente un fazzoletto. Non faccio però in tempo ad afferrarlo che la mia vista si focalizza sulle macchie di sangue presenti anche sul volto di Eris, cosa che spinge il mio stomaco a contorcersi e a farmi piegare di nuovo sul portaombrelli. La gola mi brucia sempre più, il retrogusto presente nella bocca non fa che aumentare le contrazioni all'interno del mio ventre. Ringrazio mentalmente il cielo nel momento in cui mi rendo conto che la ragazza dai capelli bianchi si è pulita come meglio poteva il volto; accetto volentieri il fazzoletto che torna a porgermi e mi affretto ad utilizzarlo per pulirmi la bocca e il viso sporco di sangue. Ma che diamine sta succedendo qui dentro?
Aiden's P.O.V.
Scendo in maniera frettolosa le scale, nel tentativo di raggiungere il piano inferiore il prima possibile. Voglio proprio capire il perché di tutto questo trambusto. La mia rabbia per Kalea non è ancora svanita, ma non mi permetto di pensarci per potermi concentrare su ciò che sta accadendo in casa mia. Nel momento in cui raggiungo il piano terra mi si para di fronte la scena di Savannah che vomita nel portaombrelli nel mentre che Eris, con il volto imperlato da minuscole goccioline di sangue, le accarezza la schiena in un moto di conforto. La ragazza dai capelli bianchi mi fa cenno con il capo di varcare la soglia alla sua destra il prima possibile. Annuisco e, nell'esatto istante in cui la mia presenza si manifesta all'interno della stanza, il silenzio diventa assordante. Non dico una singola parola, mi limito a rivolgere a tutti un'occhiata fugace e seria. Incrocio le braccia al petto e divarico le gambe assumendo una postura decisa. «Cosa sta succedendo qui dentro?» domando con tono calmo e freddo. «Questo magari diccelo tu, no?» Mi basta incrociare lo sguardo con chi mi ha rivolto la parola per farlo ammutolire. «Io qui dentro vedo qualcosa che non mi piace. Per niente.» commento iniziando a camminare lentamente fra le varie persone che si reggono a fatica in piedi a causa dei residui di veleno che hanno ancora in circolo. «Sembra che vi abbiano reciso la lingua di netto. Nessuno escluso.» La rabbia che provo è celata dalla mia freddezza. «Jax, dimmi un po' - mi avvicino lentamente all'uomo - perché quello che dovrebbe essere il tuo dito indice è invece uno zampillo di sangue incessante?» Non risponde, è consapevole delle conseguenze che seguirebbero la sua risposta, ma i suoi occhi lo tradiscono e, in un gesto fugace, si proiettano sulla persona alla sua destra, mostrando tramite essi il rancore che gli serba. L'essere umano è questo: una creatura che tenta costantemente di mentire, ma che puntualmente viene sempre smentita dal proprio corpo e dalle reali emozioni che esso cela. Il mio volto ruota in quella direzione. «Sei stato tu ad amputargli il dito - faccio una piccola pausa fra le due parole - Vincent?» pronuncio la frase calcando maggiormente sul nome della persona in questione. L'uomo con la benda sull'occhio destro si limita a fare cenno di no con il capo. Faccio schioccare la mandibola serrando di colpo i denti in una stretta dura. Dal retro dei pantaloni afferro la pistola che avevo nascosto sotto la maglietta e lascio scattare la sicura nel mentre che punto il mirino in direzione della fronte di Vincent. «Dimmi un po': mi credi davvero così stupido da lasciare che un codardo come te si prenda anche la libertà di mentirmi?» Mi avvicino di un passo, il braccio teso e il volto serio. Nessuno nella stanza fiata. «Rispondi.» istigo l'uomo che però continua a restare in silenzio. «Ho detto: rispondi.» Il mio tono si alza ed alcune persone nella stanza muovono un passo indietro per la paura, Jax compreso. «No, non la credo così stupido.» Scatto in avanti poggiando la canna della pistola alla sua fronte. «Allora spiegami perché cazzo mi hai mentito!» Avverto il mio collo farsi rigido, sono certo che mi si siano gonfiate anche le vene dalla rabbia. Vincent non ha il coraggio di alzare lo sguardo sui miei occhi. Se dovesse anche solo provarci, morirebbe all'istante. Nessuno mi sfida così. Il mio pensiero viene susseguito da uno da parte del mio inconscio. A parte Kalea. La rabbia che provo aumenta a dismisura. «Le ho mentito perché non volevo morire.» La risposta cruda e sincera dell'uomo di fronte a me mi riporta alla realtà, facendomi anche rendere conto di come le sue gambe stiano tremando dalla paura. Quale dolce poesia se non il tremore dettato dalla paura. Mi avvicino al suo orecchio, ma parlo abbastanza forte da farmi sentire da tutti i presenti nella stanza. «Cosa ti assicura che ora non morirai?» Vincent deglutisce rumorosamente. Aumento la pressione della pistola sulla sua fronte. «Niente.» sussurra con un filo di voce e le ginocchia che ormai gli cedono. «Eris.» pronuncio ad alta voce il nome del mio braccio destro. Non serve aggiungere altro, nella frazione di un millesimo un coltello sfiora il mio braccio, per poi conficcarsi con forza nella mano dell'uomo che continuo a tenere sotto tiro. L'urlo di dolore lo porta ad inginocchiarsi di fronte a me, la mano impalata al tavolo alle sue spalle. Molti sussultano alla vista del sangue che inizia a colargli lungo tutto il braccio. Mi limito a rivolgere un cenno di gratitudine alla ragazza dai capelli bianchi, per poi salire con un gesto atletico sul tavolo. Dopo aver assicurato nuovamente la pistola la rimetto dove era prima e, allo stesso tempo, rivolgo uno sguardo a tutte le persone presenti nel quartier generale. «Voglio che questo sia da lezione a tutti quanti! Non tollero l'auto-sabotaggio, ancor meno tollero i codardi e i bugiardi. Noi Scorpions non siamo conosciuti per avere la coda fra le gambe di fronte alle situazioni difficili. Al contrario, tutti ci temono perché sanno che siamo sempre pronti a colpire, a pungere, soprattutto quando ci sentiamo attaccati.» Alcune urla di incitamento iniziano a farsi vive, riportando alla luce lo spirito che è sempre appartenuto al mio clan. Batto un piede sul tavolo riportando l'attenzione su di me. «Questa sera sono qui per comunicarvi una brutta e una bella notizia. La brutta notizia è che c'è stato qualcuno fra di noi che ha infranto il codice, le nostre leggi sacre e ci ha pugnalati alle spalle. Qualcuno che si è finto amico ma che in realtà è sempre stato nostro nemico. Ci ha traditi alle spalle, usando la nostra stessa arma: il veleno. Ha avvelenato la nostra acqua, il nostro cibo e così ha avvelenato la nostra gente! Voi sapete bene cosa succede quando veniamo pugnalati alle spalle: ci vendichiamo, e tutti sanno che le vendette degli Scorpions sono le più letali. Mi conoscete, non prendo meriti che non sono miei, quindi voglio invitare qui sul tavolo colei che vi ha salvati e ha fatto sì che tutti voi foste ancora in vita.» Allungo la mano in direzione della porta. «Forza Amelie, vieni a prenderti il tuo momento di gloria.» Molte urla d'incitamento si levano nella stanza nel mentre che le persone si spostano per creare un varco alla ragazza dai capelli biondi che inizia a camminare nella mia direzione con passo sicuro e deciso. Un uomo la afferra dai fianchi aiutandola a salire sul tavolo senza il minimo sforzo. Nel momento in cui i suoi piedi si poggiano sul legno le urla e i fischi aumentano di colpo, incitando poi la nascita di un coro in suo onore. La ragazza sorride con gli occhi commossi per l'emozione. Nel momento in cui batto nuovamente il piede sul tavolo, il silenzio torna a calare nella stanza. Faccio cenno ad Amelie di prendere parola. La ragazza si schiarisce leggermente la voce. «Volevo ringraziarvi innanzitutto per questa calorosa accoglienza, non mi sarei mai aspettata che dopo tutti questi anni sarebbe stato ancora così. Chi è qui da molto tempo sicuramente mi conosce e conosceva mia sorella Julia. Chi non mi conosce, sono però certa che conosca la storia della mia amata sorellina. Mi piange ancora il cuore al ricordo di quanto accaduto, è un dolore struggente che non smette di vivere dentro di me, ed è il motivo che mi ha spinta a tirare fuori il coraggio quando tutto sembrava essere perduto, quando ormai si pensava che sareste morti tutti. Non mi sarei mai perdonata di essere sopravvissuta un'altra volta, non potete capire quanto fosse straziante l'idea di restare in vita quando tutti intorno a me stavano morendo. Il modo in cui mia sorella è morta è atroce e opprimente, non augurerei nemmeno al mio peggior nemico una fine simile, è stata una morte crudele ed imperdonabile, e io non ho potuto fare niente per salvarla. Con voi invece, potevo ancora fare qualcosa e, rischiando la mia stessa vita, sono riuscita a rubare l'antidoto al nostro assalitore. Ho subito diverse minacce, ho rischiato la morte, ma non mi importava, sapevo che stavo facendo la cosa giusta ed ero pronta a morire sapendo di fare qualcosa che se possibile avrebbe salvato molte altre vite: e così è stato. Non potete capire il sollievo di vedervi tutti qui, un po' acciaccati ma ancora pieni di vita, di grinta e voglia di vendicarvi. Non possiamo lasciarla vinta a chi ci ha fatto questo, a chi ha provato a metterci in ginocchio. Sapete perché non possiamo? Perché colei che ha provato a distruggerci, a renderci deboli, è la figlia di colui che ha rovinato la mia vita uccidendo e massacrando Julia! Io non perdono! E voi perdonate?!» La voce carica di odio di Amelie non fa che incitare la folla che in pronta risposta dà voce ad un coro di "No! Noi non perdoniamo! Gli Scorpions non perdonano!". Resto impassibile di fronte a tutto ciò, lasciando che lei si viva questo momento a pieno. Kalea pagherà per questo tradimento. Noi ci vendicheremo. Il mio sguardo si sofferma per una manciate di secondi su Eris e ciò che vedo fa scattare qualche strano meccanismo nel retro della mia mente, come se mancasse qualcosa in tutta la situazione, come se non fosse stato detto tutto. Decido di ignorare quella sensazione e di prendere nuovamente parola, zittendo così tutti nella stanza. «Avete sentito Amelie, e io non posso che essere d'accordo con lei. Noi non perdoniamo, non l'abbiamo mai fatto. Noi ci vendichiamo sempre, e ci vendicheremo anche questa volta, è una promessa, vero o no che ci chiamiamo Scorpions!» Il boato che segue le mie parole mi riempie di soddisfazione e alimenta la mia sete di vendetta. Scrutando le persone che mi circondano non posso fare a meno di notare Cage poggiato ad un muro nell'angolo più buio della stanza, l'uomo si limita a lanciarmi un'occhiata furtiva senza accennare a nessuna emozione apparente. Senza farci troppo caso riporto la mia attenzione sulla folla ancora in visibilio per le nostre parole cariche di promesse. «Si dichiara aperta la caccia all'uomo?» domanda qualcuno con un urlo per farsi sentire da tutti. «La caccia alla donna.» lo corregge Amelie nel mentre che sorride con cattiveria. Il sorriso della ragazza non fa che aumentare i rotismi di quei meccanismi innescati dallo sguardo di Eris di prima. «Di chi dobbiamo vendicarci?» domanda uno dei cecchini del clan dal fondo della stanza. Non ho il tempo di rispondere che Amelie mi scavalla e prende velocemente parola. «Kalea Dìaz.» Nel momento in cui il suo nome viene pronunciato mi accorgo dell'occhiata che Eris e Savannah si scambiano fra di loro. Loro sanno qualcosa che io non so. Devo scoprire di cosa si tratta.
Diverso tempo dopo...
Kalea's P.O.V.
Continuo a correre, il cuore che mi martella in gola e i polmoni che mi bruciano per la richiesta incessante di ossigeno di cui il mio corpo ha bisogno. Mi trattengo dall' urlare quando l'ennesimo proiettile mi sfiora la pelle creandomi un'escoriazione superficiale che brucia incessantemente. Madre de Dìos che dolore. Mi rifugio in maniera sbrigativa dietro un albero, nella mera speranza che mi dia qualche secondo per recuperare fiato prima di dover tornare nuovamente a correre. Il dolore che provo al petto per lo sforzo mi fa tremare le gambe. Vivere o morire Kalea, si tratta di vivere o morire. Cerco di incoraggiarmi nella speranza che questo permetta alle mie gambe di non crollare proprio ora. «Cazzo.» mormoro in un filo di voce quando mi rendo conto di un puntino rosso che si posa proprio in quell'istante sulla mia spalla. Senza pensarci due volte mi abbasso e torno a correre, fortunatamente il colpo mi oltrepassa e si conficca nell'albero alle mie spalle. Sono dei cazzo di cecchini; hanno i fucili con i mirini laser e la visione notturna incorporata, in poche parole: sono fottuta.
Angolo Autrice
Buona sera a tutti, vi chiedo scusa per questo mio ritardo nel pubblicare, ma come ho detto a qualcuno nei commenti, in questi giorni sono stata molto carica lavorativamente parlando, questo mi ha resa molto stanca e ho finito per addormentarmi di fronte al computer ogni sera partendo da domenica.
Da questo capitolo in poi vi chiedo di prestare particolarmente attenzione alla linea temporale, potrebbero esserci dei cambiamenti di prospettiva e anche di tempo, cosa che potrebbe creare confusione se non seguita attentamente. Mi auguro vivamente che ciò che ho in mente possa piacervi, a parer mio è un'idea molto bella, seppur non esattamente facile da realizzare, ben presto capirete il perché.
Vi lascio con una domanda: Cosa vi aspettate dalla storia a questo punto?
Buona serata, ci vediamo fra due lunedì.
Chiara :)
STAI LEGGENDO
Need to love
Storie d'amoreESTRATTO DEL CAPITOLO 12: "Diversi brividi percorrono il mio corpo quando il suo respiro caldo si scontra con la pelle sensibile del mio collo. «Ho ucciso per molto meno di un soprannome.» Il tono è caldo, basso ma minaccioso. Perché tutto questo mi...