1. L'incontro

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«Diaz! Diaz!» chiama il mio cognome una voce non molto lontana. Serro gli occhi con maggior forza nella speranza di riuscire ad addormentarmi nuovamente e non restare troppo a lungo in questo stato di dormiveglia. «Signorina Diaz!» chiama nuovamente una voce dal tono piuttosto furioso. Ma che ore sono? Penso tra me e me prima di schiudere leggermente le palpebre, mugolando dei versi incomprensibili, dettati principalmente dal sonno che ho in questo momento. Subito li spalanco non appena mi rendo conto dell'enorme cazzata che ho fatto. Sophia mi ucciderà, me lo sento. «Diaz mi fa piacere vedere quanto tu prenda seriamente le mie lezioni, per questo ti sei meritata l'occasione di passare delle ore in punizione, oggi pomeriggio stesso. Ora prendi pure tutte le tue cose e vai in presidenza, ho intenzione di farti anche un richiamo.» Non appena la professoressa si volta dandomi le spalle, sollevo gli occhi al cielo maledicendomi mentalmente. Ci credo che vado male in matematica, ogni lezione finisco sempre per appisolarmi, dovrei seriamente iniziare a pensare di prendere un caffè prima di ogni lezione con la professoressa Harris. Mi guardo attorno spaesata. Zack non ha mai saltato una lezione di matematica, soprattutto per non perdere mai l'occasione di svegliarmi ogni qualvolta fossi stata a rischio detenzione, non capisco perchè oggi abbia deciso improvvisamente di farlo. Magari ha deciso che è stufo di pararmi costantemente il sedere. «Diaz sei ancora nella mia aula? Mi sembrava di averti detto di recarti immediatamente nell'ufficio del preside.» continua a rimproverarmi la professoressa. «Sì, ora vado.» le rispondo non troppo garbatamente mentre mi alzo dalla sedia e sollevo lo zaino così pesante da farmi quasi sbilanciare all'indietro.

In poco tempo raggiungo l'ufficio del preside e busso delicatamente alla porta prima di entrare al suo interno con passo incerto. Il preside solleva lo sguardo su di me, guardandomi attraverso gli occhiali che gli cadono distrattamente sul naso. «Kalea Diaz, cosa ti porta nel mio ufficio?» domanda appoggiando sulla scrivania i fogli che stava leggendo, incrociando successivamente le dita fra di loro su cui poi poggia il mento in un'espressione pensierosa. Muovo leggermente le labbra in una piccola smorfia timida mentre gli porgo il foglio contenente il richiamo scritto della professoressa; lo afferra delicatamente e inizia a leggerlo dopo aver sistemato per bene gli occhiali sul naso. Solleva nuovamente lo sguardo su di me con aria compassionevole. «Kalea, non puoi dormire a lezione. Ricordati che sei in questa scuola grazie ad una borsa di studio, puoi permetterti meno errori di tutti gli altri studenti in questo istituto, penso tu sappia cosa tu stia rischiando in questo modo.» Abbasso lo sguardo torturandomi le mani non sapendo bene cosa dire. «Lo so bene, infatti sono molto dispiaciuta per l'accaduto, ultimamente non è un bel periodo e la notte non dormo tanto.» Mi mordo l'interno guancia odiando con tutto il mio cuore mentire. Spero che questo faccia alleggerire la mia punizione. L'uomo di mezz'età sospira consegnandomi un foglio dopo averlo firmato velocemente. «Purtroppo non posso fare molto per lei, signorina Diaz, posso solo augurarmi che io non la debba più rivedere nel mio ufficio fino alla fine dell'anno scolastico.» mi congeda con queste parole e un sorriso di speranza sul volto. Saluto con educazione ed esco dalla porta ancora più frustrata di prima. Devo ricordarmi di chiamare Sophia per avvisarla che resto delle ore in più a scuola. Leggo ciò che c'è scritto sul pezzo di carta lasciatomi dal preside e per poco non sbianco. Tre ore di punizione con la professoressa Harris; più che punizione la definirei tortura. A passo pesante cammino nel corridoio, attendendo che lezioni finiscano per dirigermi nell'aula in cui dovrò scontare la mia pena.

«Bene, vedo che siete tutti presenti.» La professoressa ci squadra uno ad uno, dalla testa ai piedi. «Dato che siete in tanti, oltre che di classi di differenti, per queste tre ore di detenzione ho deciso di organizzare qualcosa di speciale. Innanzitutto lascerete i vostri cellulari nella scatola che metterò sulla scrivania e poi, verrete con me a fare una piccola gita istruttiva nella centrale di polizia del nostro quartiere. Penso che sarà un'esperienza educativa per tutti voi.» prosegue il suo discorso mentre i suoi occhi si posano con asprezza su di me. Tutti si lamentano mentre si alzano e giungono vicino la cattedra per depositare i loro cellulari all'interno della scatola di ferro; inserisco a mia volta il cellulare una volta che giunge il mio turno e, solo dopo che Miss Harris ha chiuso la scatola a chiave, mi ricordo di non aver chiamato mia sorella per avvisarla della mia punizione e del mio ritardo nel tornare a casa. Si preoccuperà da morire, questa è la volta buona che mi mette in punizione.

«Eccoci arrivati in centrale. Ragazzi entrate uno alla volta.» spiega la professoressa con aria antipatica. Ogni secondo la sopporto sempre meno. Mi mordo il labbro per non parlare a sproposito. «Kalea.» Mi volto a sentir pronunciare il mio nome e ben presto capisco che sono in casini ben più grandi. «Ciao Sophia...» sussurro lasciando la frase in sospeso e non avendo il coraggio di guardare mia sorella maggiore negli occhi. «Perchè sei qui?» domanda con aria inquisitoria, cosa che incute ancora più timore vista la sua divisa da poliziotta. «La signorina qui presente ha deciso di addormentarsi durante la mia lezione di matematica e ora, è in punizione. Per questa volta, visto il numero di studenti in detenzione, abbiamo deciso di fare una piccola gita istruttiva.» Si intromette Miss Harris. Sta zitta razza di arpia, tu non sai che pene patisce una povera sorella fuori dal suo habitat naturale. Stringo i denti, innervosita dall'intromissione inopportuna della professoressa. Ora Sophia si arrabbierà il doppio perchè non gliel'ho detto direttamente io, tutto per colpa di un'arpia, occhialuta e antipatica. Immediatamente lo sguardo di mia sorella si fa serio e io inizio a piangere internamente per la mia fine imminente.

Per un attimo mi distraggo e i miei occhi si mettono ad osservare l'ambiente circostante. Infondo alla stanza c'è un agente che spinge bruscamente Zack per invitarlo a camminare verso il bancone, dove un uomo è girato di spalle a firmare dei fogli, anche se dall'abbigliamento, e dalle mani, sembrerebbe essere più un ragazzo non troppo giovane ma neanche troppo vecchio. Il poliziotto che tiene Zack lo spinge nuovamente, questa volta con molta più forza, rischiando di farlo cadere a terra con le ginocchia. «Hey!» la mia bocca si apre d'impulso, lasciando uscire un richiamo a voce piuttosto alta. Tutti si voltano confusi nella mia direzione, tranne l'agente che continua a spintonare il mio compagno di classe. «Sto parlando con lei agente.» pronuncio con tono più duro. Il signore sulla cinquantina, grassottello e pelato si volta nella mia direzione con un'espressione scocciata in volto. «Cosa vuoi ragazzina?» domanda con tono completamente sgarbato. Mi mordo la lingua per non commentare la sua maleducazione e, mi limito ad affermare ciò che volevo dire fin dall'inizio. «Può non spintonarlo in quel modo?» chiedo senza girare troppo attorno alla questione. Il poliziotto scoppia a ridermi in faccia. «Fatti gli affari tuoi, ragazzina insolente.» risponde concisamente a sua volta e in modo totalmente maleducato e irrispettoso. Inarco un sopracciglio pronta a rispondergli d'impulso, ma la voce di mia sorella mi precede. «Fester si più educato con mia sorella e poi, smettila di spintonare quel ragazzo.» «Sì, sceriffo Diaz» La sua faccia contrariata è la mia soddisfazione più grande. Ti brucia che una donna, più giovane di te, abbia il potere di dirti cosa fare, vero? Razzista, maschilista e tante altre parole che è meglio che io non pensi nemmeno. «Kalea.» mi richiama mia sorella, ma il mio sguardo è rimasto incastrato in un paio di occhi azzurri dalle sfumature smeraldinee. 

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