53. Inaspettato

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Bacio il foglio non appena ho finito di scrivere la risposta dell'ultima domanda. In quel esatto istante, la professoressa fa il suo rientro in classe e la campanella trilla nell'aria, determinando la fine dell'ora di lezione. Mi alzo dal banco e mantenendo perfettamente l'equilibrio sui tacchi, mi avvicino alla cattedra. Consegno il foglio alla professoressa guardandola negli occhi con un sorriso smagliante impresso sulle labbra. «Non si preoccupi Miss. Harris, non mi ero dimenticata della sua verifica.» Non appena la porta dell'aula si richiude alle mie spalle, mi volto nell'intento di fare un gestaccio nella sua direzione. Alla faccia tua! Miss. Stronza.

Nel mentre che percorro il corridoio, l'attenzione di tutti è rivolta a me. L'ho già detto che odio i guardoni? Fulmino chiunque con lo sguardo, non avendo la minima intenzione di socializzare. Arrivo ben presto al mio armadietto e lo apro per prendere i libri dell'ora dopo. Spero vivamente di non aver dimenticato altre verifiche. Sospiro osservando la copertina del libro di letteratura. Cos'è per me l'amore? Non mi scorderò tanto facilmente quella lezione, per qualche strana ragione è riuscita a colpire dritta nel segno. Appoggio la testa all'anta metallica e, guardando verso il basso, mi rendo conto di un piccolo pezzo di carta a cui prima non avevo fatto caso. Cos'è? Con curiosità mi piego sulle ginocchia per raccoglierlo. Una volta che è tra le mie mani, mi tirò su e comprendo che si tratta di un bigliettino. Avvertendo una strana sensazione dentro di me, mi affretto a guardarmi intorno, assicurandomi che nessuno mi abbia vista. Continuando a prestare attenzione attorno a me, mi muovo in fretta per aprirlo. Questa non è decisamente la mia calligrafia. Corrugo la fronte iniziando a leggere cosa c'è scritto: "Kalea, Kalea, Kalea. L'ho capito, sai? Sei una piccola curiosona ficcanaso. Ma io sono qui proprio per questo e penso di avere delle informazioni che possano interessarti. Incontriamoci alle nove di sta sera al molo. Ti aspetto." Giro e rigiro il foglietto in cerca di una qualsiasi firma, ma non ce n'è nemmeno una. Sbatto nuovamente la testa contro l'armadietto. Non posso andare lì. Non so nemmeno chi mi abbia mandato questo messaggio. Se fosse uno scherzo? Se fosse una trappola? Ora faccio parte di una gang, non posso ragionare con la convinzione che nessuno voglia farmi del male, soprattutto dopo quello che ho fatto questa mattina. Mi passo le mani sul viso per la frustrazione. Ho agito così d'impulso che non mi sono nemmeno fermata a pensare alle probabili conseguenze. Faccio tanto la dura e poi mi perdo in queste sciocchezze.

Serro con forza l'anta metallica, importandomi ben poco del rumore che ho finito per causare. La bidella seduta alla fine del corridoio mi fissa con aria scorbutica. «Ti sembra questo il modo di porti, ragazzina?!» Noto come il suo sguardo si soffermi sul colore della mia pelle. Faccio un respiro profondo e poi le rivolgo un sorriso falsissimo. Per andare in aula sono costretta a passarle accanto e, indispettita dal suo commento e dal suo sguardo ancora fisso su di me, faccio rovesciare di proposito il secchio dell'acqua che avrebbe dovuto utilizzare per pulire i pavimenti. La bidella mi guarda spalancando le braccia. «Ma cosa fai?!» La mia faccia fintamente dispiaciuta sembra infastidirla ancora di più. «Ops, è stato un incidente.» Non appena le do le spalle non posso fare a meno di roteare gli occhi al cielo. Magari la prossima volta farà il suo lavoro al posto di rimanere lì a fissarmi.

Mi mordo l'interno guancia quando comprendo di essere arrivata tardi anche a questa lezione. Busso leggermente alla porta e faccio il mio ingresso non appena la professoressa mi dà il permesso di entrare. Senza disturbare ulteriormente cammino a passo svelto verso il mio banco. Mi siedo e sistemo i libri e i quaderni sulla superficie legnosa. Apro una pagina bianca e, dopo aver afferrato anche una penna, inizio a prendere appunti.

Quando capisco che la lezione è un ripasso della volta precedente, lascio ai miei pensieri di prendere il sopravvento sulla mia mente. Non so davvero cosa fare. Andarci, per di più da sola, è certamente un rischio, ma se fosse qualcosa d'importante? In fondo non so nemmeno chi sia o cosa voglia dirmi, sarebbe andare alla cieca e sperare di non morire tanto giovane. Allo stesso tempo, c'è quel briciolo di curiosità che mi preme sulla coscienza. Appoggio una guancia sulla mano e inizio a fissare fuori dalla finestra nel mentre che mordicchio il retro della penna. Capisci di avere dei problemi quando la coscienza, quella cosa che dovrebbe impedirti di fare stronzate, ti incita ancor di più a farle. Sospiro ascoltando si e no tre parole di tutto il discorso della professoressa. Scuoto il capo con convinzione. No, basta. Non ci andrò. Chiunque sia, nel caso tenga veramente alla cosa, troverà certamente il modo di ricontattarmi.

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