Capitolo 43

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Sara sbuffò sapendo che erano passato ore e lei era ancora rinchiusa in quella cella sotterranea con una schiera di furie davanti a lei che la scrutavano, peecependola come un nemico, da quando erano arrivate non si erano mosse nemmeno di un millimetro e la cosa la infastidiva, sembrationo eteree, ma erano perfettamente tangibili, sapeva che il loro tocco era letale. Aveva provato a dormire, ma per sua sfortuna dormicchiava per poco e poi si svegliava e poi quei esseri che la scrutavano ogni istante non conciliavano affatto il sonno. Per tale ragione sbuffò sonoramente si alzò da terra e iniziò a muoversi nella cella, mentre le suole delle scarpe stridevano con il pavimento in roccia della cella in cui si trovava.
Non riusciva a percepire nessuno se non la presenza delle furie: odori, suoni, vibrazioni più si concentrava e meno sentiva non sapeva che fare se non sentirsi come un essere umano normale e ciò, la turbava. Per l'esasperazione che provava tirò un calcio alle sbarre in metallo ricevendo un sonoro tonfo e un dolore le si sparse sulla zona colpita dai rettangoli in metallo. Mosse la caviglia, compiendo dei cerchi concentrici e poi poggiò la schiena alla parete opposta alle furie che la osservavano scrupolosamente, attendendo che uscisse e poi scivolò si essa fino a quando di poggiò a terra. Si portò le ginocchia al petto, il dolore alla gamba era sparito completamente e lei era dannatamente stufa di aspettare e quindi si stiracchiò la schiena e, non sapendo che fare decise che avrebbe dormito fino a quando non sarebbero venuti a prelevarla. 

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