capitolo trenta

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Le 03:30.
L'orario che segnava la mia sveglia posizionata sul comodino.
Ero ai piedi del letto, con gli occhi ancora rossi, il respiro che quasi mi mancava: quella sensazione orribile, quando credi di non riuscire a respirare e credi di star per esalare il tuo ultimo respiro, pensando a troppe cose contemporaneamente.
Non mi capivava da un pò.
Da piccola, ci soffrivo spesso, e quando non c'era mia madre o mio fratello calmarmi, era un incubo. Trovavo altre soluzioni per calmarmi, sbagliate. Avevo solo dieci anni quando ho iniziato a rifugiarmi in quel mondo errato, che mi faveva solo del male, ma mi dava l'illusione di un momentaneo sollievo. Pensavo che se riuscivo a sopportare quel piccolo dolore, allora sarei stata capace di sopportare tutto il resto.

Dieci anni.

Stessa identica sensazione.
Da piccola, la causa scatenante era mio padre: alzava la voce a mia madre, era violento, sia con lei che con noi. Avevo paura di lui. Una paura fottuta che un giorno non si sarebbe limitato solo agli schiaffi e in quel momento sembrava molto vicino alla realtà, quel mio pensiero.

La verità era che io avevo ancora paura di lui, nonostante fossero passati sei benedettissimi anni, io avevo paura di lui come se ne avessi di nuovo dieci. E quella tentazione cresceva, cresceva sempre di più: quella di accendere la piastra, e porre fine a quella momentanea sofferenza, anche se ero ben consapevole che sarebbe ritornata più forte di prima.

Non ne ho mai parlato con nessuno, nemmeno ad Astoria.
Non mi considero una persona forte, anzi, forse sono la più debole di tutti, ma odio farmi vedere per quella che sono davvero. Odio dover condividere questa parte di me.
Odio questa parte di me.
Odio colui che ha fatto risvegliare quella parte.

E se in quel periodo ero più serena, felice, senza attacchi di panico, senza dovermi infliggere del male per stare meglio, ora tutto questo era appena crollato, sotto ai miei occhi.
Mi sentivo debole, vulnerabile.

Proprio come allora

Era uno di quei momenti in cui avrei voluto essere abbracciata, e che mi dicessero "Va tutto bene Flavia" , ma invece mi ritrovavo a dover affrontare quell'agonia da sola.

Lanciai un occhiata al bagno.

No, Flavia

Portai una mano tra I miei capelli biondi, cercando di resistere a quella sensazione, mentre lacrime calde rigavano il mio viso.

Ero felice per una cazzo di volta

Lui era capace di rovinare sempre tutto, era il suo sport preferito. Avevo dieci anni, quando mi picchiò per la prima volta, quando ebbi il mio primo attacco di panico perche credevo fosse colpa mia: i miei genitori stavano litigando, mia madre diceva a mio padre di non sparire per giorni, mio padre dava a mia madre della "puttana impicciona che ha sposato". Intervenni per difendere mia madre, e lui mi sferrò uno schiaffo in pieno viso. Poi un'altro. E un'altro ancora.

Fù mio fratello portarmi via, e a curare le mie ferite. Ma io avevo il respiro bloccato, gli occhi pieni di lacrime. Dieci anni.
Mi rinchiusi nella mia stanza, dove avevo lasciato la piastra per capelli accesa.

Non avrei voluto altre persone violente nella mia vita, ma poi è arrivato Terence e ha solo peggiorato tutto, facendomi sprofondare nei sensi di colpa, che mi faceva sentire ogni giorno.

E durante quei mesi di agonia, l'unica cosa che faceva si che io fossi di nuovo me stessa, erano proprio quei battibecchi, quelle battutine, che avevo solo con lui.

È di nuovo colpa mia?

Avrei potuto mentire al ragazzo di cui ero innamorata, dirgli di starmi lontana, ignorarlo, andare avanti.

𝐑𝖾𝗐𝗋𝗂𝗍𝖾 𝐓𝗁𝖾 𝐒𝗍𝖺𝗋𝗌 || 𝐆𝖾𝗈𝗋𝗀𝖾 𝐖𝖾𝖺𝗌𝗅𝖾𝗒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora