Capitolo 54

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Cathleen'POV

Dopo l'ammissione al corso triennale di studi infermieristici all'università dell'Hertfordshire iniziai a cercarmi anche un piccolo lavoro che mi permettesse di sostenere le spese, sia dello studio che per la condivisione dell'affitto insieme a Val sebbene lei su questo punto mi disse sempre di non preoccuparmi. Il caso volle che venni assunta come cassiera nel mini market sotto casa nostra, lo stesso in cui lavorava la biondina con cui lei aveva avuto una relazione. Il corso sarebbe iniziato a settembre, lo stesso mese in cui avevamo in programma di sposarci. Mi feci la lista dei testi universitari del primo anno e ne acquistai alcuni, i restanti me li procurai alla biblioteca dell'università. Non diedi spazio ad altro in quei due mesi di mezza estate; il lavoro e lo studio, ero decisa a presentarmi alle prime lezioni con almeno un bagaglio minimo di nozioni riguardanti l'anatomia umana, materia di cui, pur essendo figlia di un medico, ero totalmente ignara. La camera da letto degli ospiti era diventata ormai il mio piccolo studio con alle pareti stampe di corpi umani, organi e sistemi venosi. Sembrava più uno studio medico che quello di una semplice studentessa in scienze infermieristiche, ma più mi immergevo in quei testi e più mi ci appassionavo acquistando consapevolezza sul fatto che quella strada professionale la sentivo mia.

"Tesoro è pronta la cena". La voce appena sussurrata di Val aldilà della porta era l'unica cosa che mi scuoteva da quelle letture.

"Arrivo amore mio". Chiusi i libri e corsi in cucina da lei per darle una mano almeno ad apparecchiare la tavola.

"Cath sono felice che ti stia buttando a capofitto negli studi però dovresti fare qualche pausa bambina mia, siamo solo a luglio e inizierai le lezioni a settembre, non vorrei che ci arrivassi con la testa sovraccarica...e' venerdì e potremmo passare il weekend da qualche parte"

"C'è un posto che mi piacerebbe mi portassi a visitare...la casa dove hai vissuto i tuoi primi anni in Inghilterra".

"La casa di Rosalind...va bene amore mio ma passare un intero weekend a Londra non è il massimo...però si anche a me piacerebbe rivedere la sua casa, seppure dall'esterno perché dubito che gli attuali proprietari siano d'accordo sul farci entrare solo per il fatto che io abbia vissuto lì tre anni". Andai ad abbracciarla da da dietro e le posai le labbra sul collo.

"Magari sono persone gentili e se usi le parole giuste potrebbero farci entrare...mi piacerebbe davvero amore mio...adoro l'idea di vedere ogni luogo che è stato importante nella tua vita".

Mi sorrise e mi prese tra le braccia incollando le sue labbra alle mie, mi promise che ci saremmo andate però ad un patto.

"Faremo un gioco". Quella richiesta me la sussurrò in un orecchio e scoppiai a ridere.

"Amore mio va bene ma sembra una di quelle cose che fanno due persone dopo tanti anni per riaccendere la scintilla...io e te le scintille ce le trasmettiamo solo sfiorandoci..."

"Dio mio quanto sei conformista Cath...dove sta scritto che solo le coppie stanche debbano giocare?"

Quella sera cenammo, e poi andai a finire di leggere un capitolo di anatomia che mi stava appassionando molto, quando terminai la lettura la raggiunsi a letto e già dormiva, le detti un bacio sulla guancia e di lì a poco presi sonno anche io.

La mattina successiva si alzò di buon'ora; avrebbe dovuto essere in facoltà alle otto mentre io avrei iniziato il mio turno alla cassa del mini market solo un'ora dopo. Facemmo colazione e poi dopo avermi dato un bacio prese la sua borsa più un'altra che usava di solito per indumenti di ricambio, ma essendo nella stagione calda ne dedussi che si sarebbe portata un cambio per la lunga giornata da passare in università. Rifeci il letto, andai a farmi una doccia ed infine indossai l'uniforme rossa da cassiera e scesi al mini market. Le giornate li' dentro erano interminabili e nei momenti in cui l'affluenza di clienti rallentava mi soffermavo a chiacchierare con qualche collega tra i quali l'addetto al banco macelleria o quello che faceva la spola tra magazzino e scaffali; quest'ultimo nei confronti della sottoscritta era particolarmente ciarliero, sebbene contrariamente all'idea che mi feci i primi giorni, totalmente privo di interesse nei miei confronti. Si chiamava Andrew, era carino: ventenne, biondo con gli occhi azzurri. Le clienti che se lo trovavano lungo il percorso tra gli scaffali più di una volta si voltavano a guardarlo sorridenti, ma lui anche con le sue coetanee un po' più avvenenti sembrava avere il radar spento. La ragione di questo suo disinteresse la scoprii un giorno quando entrai nell'ufficio del direttore per segnalargli il malfunzionamento di uno dei registratori di cassa e li vidi scambiarsi effusioni che interruppero di colpo non appena sentirono i miei passi. Non so davvero chi tra i tre fosse il più imbarazzato, io lo ero ma loro due erano paonazzi in viso, provai a scusarmi mentre Andrew uscì di corsa per tornare a fare il suo lavoro. Il disagio del dirigente era evidente, mi chiese di cosa avessi bisogno e gli spiegai il motivo, mi guardò assumendo un'espressione severa dicendomi di avere l'accortezza di bussare la prossima volta, non mi resto' che scusarmi assicurandogli che non ne avrei fatto cenno con nessuno e solo in quel momento si lasciò andare ad un timido sorriso.

Non doveva accadereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora