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Sto di nuovo rimettendo tutto nel mio trolley rosso. Non so quante volte dovrò farlo ancora quest'estate. Sono le sette di sera. Nonostante l'ora sembro letteralmente uno zombie, questa notte non ho dormito per l'agitazione e l'emozione. Alessandra invece, nonostante si sia svegliata addirittura prima di me, è del tutto riposata ed è da ieri che fa le cose in maniera frenetica, come se la fine del mondo stesse per abbattersi sulla Terra tra esattamente dieci minuti.
-Ale, vado a farmi una doccia.
-Va bene. Ti aspetto giù, vado ad aiutare la nonna a preparare la cena.
-Okay. Ah, e non dimenticare di prepararmi una tazza di caffè! Sto dormendo in piedi.
La sento scendere le scale, allora prendo i vestiti, scelti dopo un interminabile periodo di indecisione, e un accappatoio e mi chiudo la porta alle spalle. E' faticoso farsi la doccia in questo bagno, l'acqua calda a volte arriva e a volte no. Quando ho finito, infilo l'accappatoio e mi asciugo i capelli. Mi osservo allo specchio e vedo il riflesso di una persona che non ho mai visto prima. Un sorriso stupendo, occhi sognanti e una nuova avventura da affrontare. Da una parte non vedo l'ora di rivedere Michael, incrociare il suo profondo sguardo e stare accanto a lui, dall'altra ho molta paura per tutto quello a cui sto andando incontro. E' assurdo che l'abbia visto pochi giorni fa e già mi manca! Io, che vado sempre a caccia di nuove avventure da vivere per evadere dalla vita comune, sono decisamente alle stelle perché non solo questa avventura sarà completamente diversa dalle altre, ma la vivrò insieme a Michael.
Mi vesto e scendo di corsa le scale. Sembra che il tempo si sia fermato. O sono io che ho fatto così tante cose alla velocità della luce per l'emozione, oppure il tempo si è fermato veramente.
-Hai già fatto?- mi chiede Alessandra divertita. -Io qui sto ancora apparecchiando.
-Allora aspetta che ti dò una mano.
Prendo tre piatti e delle posate dalla credenza. La caffettiera gorgoglia, preparandosi a far uscire il caffè che mi risveglierà da questo torpore.
-Ma dov'è tua nonna? Pensavo la stessi aiutando... Non l'ho proprio vista oggi pomeriggio.
-E' in giardino. Sta annaffiando i fiori nell'aiuola.
-Vado a salutarla.
-Hey! Non mi dovevi dare una mano?- esclama puntando le mani sui fianchi, ma ormai sono già fuori.
Come ha detto Alessandra, la nonna ha la testa china sull'aiuola. Sussurra qualche parola tra sé e sé. L'erba ricoperta di brina la sera è stupenda, è la cosa che adoro di più di questo posto.
-Nonna!- la chiamo chinandomi sull'aiuola accanto a lei.
-Oh, scusami, non ti ho sentita arrivare. Allora, come stai? Sei emozionata?- mentre parla non alza lo sguardo e affonda le mani nella terra umida, sorridente.
-Abbastanza, ma ancora sembra tutto un sogno. Il mio desiderio principale era quello di andare ad un suo concerto e ora guarda qua! Sto per diventare una sua ballerina.
-A volte si presentano certe occasioni nella vita che è bene cogliere al volo perché sicuramente non ti ricapiteranno- sentenzia.
- Spero solo di essere all'altezza...
-Lo sarai di sicuro. Sei una ragazza in gamba e se non sbaglio te l'ha detto Michael Jackson in persona.
Ha la grande capacità di far notare le cose positive tanto quanto le cose negative. Diciamo che distribuisce uniformemente il tutto sui due piatti della bilancia. Ma, a parte il fatto che sto per attraversare tutto il mondo e che dovrò lasciare per un po' le persone che amo, non c'è nulla di negativo nell'avventura che sto per vivere e questo mi fa essere ancora più eccitata.
-Claudia!
Ale è sulla porta e urla a squarciagola.
-La cena è pronta! Grazie a me... altrimenti rimanevi a digiuno stasera.
-Ahahah, scusami...
-Non fa niente, dai, vieni.

Dopo cena chiamo i miei genitori per raccontare loro della telefonata con Michael e della partenza che avverrà a breve. Come al solito tante domande, tante preoccupazioni e soprattutto raccomandazioni. Alla fine chiedono di farsi passare la nonna per sapere se ci siamo comportate bene, se le abbiamo creato disturbo... le solite cose. Tra telefonate, chiacchiere e buoni consigli, arrivano le 7.40. Alessandra mi mette fretta, è più agitata di me. Incita la nonna ad abbandonare il giardinaggio perché non vuole che arrivi la limousine e la trovi con le mani sporche di terra, ma a me non sembra poi un grande problema. Cerco di spiegarle che non dovranno comportarsi in maniera diversa dal solito, che rimarrà comunque tutto uguale, ma sembra non essere convinta. Dopo circa un quarto d'ora di folle attesa, in cui ad ogni colpo di clacson, all'attrito di ruote sull'asfalto o al rombo di un motore la testa scatta in su come un campanello d'allarme, arriva una limousine nera con delle rifiniture argentate che si ferma proprio davanti ai cancelli bassi della villetta. Il gioiellino che ho davanti è veramente stupendo, continuo a non credere a quello che vedo. Sgraniamo tutte e tre gli occhi, una dopo l'altra, notando con stupore che l'enorme auto è lunga quasi quanto un lato del perimetro del giardino.
-Bene, ci siamo cara!- esordisce per prima la nonna, sbloccandoci dallo stupore.
Nonna Hilary si volta, mi afferra per le braccia e mi stampa un candido bacio sulla guancia.
-In bocca al lupo! Mi raccomando, facci sapere come va. Chiamaci quando puoi, anche se immagino che sarai molto impegnata.
-Certo nonna! Grazie di tutto. Mi mancherai.
Poi mi volto verso Alessandra.
-Con chi mangerò il gelato quando tornerò a casa?- dice cercando di non metterla troppo sul tragico, ma so che sta trattenendo le lacrime. Io e lei, sin dal primo momento in cui ci siamo incontrate in libreria, non ci siamo mai separate per così tanto tempo.
-Oh... Vieni qui.-
La abbraccio forte.
-Un mesetto passa in fretta, ma giuro che mi mancherai tantissimo!
-Anche tu... ma ora va. Il "Signor Jackson" ti sta aspettando.
Deglutisco arrossendo e, con un ultimo saluto, entro in macchina, il cui sportello è già stato prontamente aperto dall'autista.
Poco prima di sedermi sento la voce di Alessandra che mi grida: -Ricordati di questa!- e si tasta la collana sul collo.
Faccio lo stesso.
-Come potrei dimenticarmene! Ti penserò sempre.
L'autista carica il trolley nel bagagliaio e parte spedito. Mi sembra di viaggiare in un pullman o qualcosa di simile, con l'unica differenza che ci sono solo io e che tutto ciò che mi circonda è di lusso, dai morbidissimi sedili in pelle beige, alla tendina che separa il guidatore dal resto dell'auto e il telefono attraverso il quale passeggero e autista possono comunicare; tuttavia, sento che questo sarà il primo di una lunga serie di dettagli da cui rimarrò stupita. In men che non si dica sorpassiamo lo stadio di Wembley, che non sembra più così tanto grande se vuoto, percorriamo tutta la strada e svoltiamo a destra, fino a quando non sorpassiamo i cancelli d'entrata dell'albergo e attraversiamo tutti i giardini.
Eccolo lì! L'hotel non è più illuminato, ma le luci si accenderanno a breve. Legata alle vecchie abitudini, afferro la maniglia per aprire lo sportello senza farci caso, ma mi raggiunge trafelato l'uomo che mi ammonisce dicendo: -Lasci lasci, faccio io!- e mi aiuta a scendere. Cerco di coprire una smorfia di imbarazzo con un sorriso di gratitudine, prendo il trolley che sosta già ai miei piedi e imbocco la stradina che porta all'hotel. Chiudo per un attimo gli occhi con il cuore in gola e apro le porte. Ancora ho in mente tutti i flash impazziti dei giornalisti e la stretta determinata della guardia del corpo.

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