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-Mi dispiace tantissimo Michael, non ti meriti tutto questo!
-Non ti preoccupare, tutto si sistemerà, vedrai. Grazie per essere qui- La sua voce mi sussurra piano nell'orecchio e mi attraversa la testa, facendomi provare piccoli brividi di piacere. "Un MIO problema, diventa un NOSTRO problema. Una MIA gioia, diventa una NOSTRA gioia" è questa la mentalità che hanno le persone di cui sono circondata e ne sono veramente contenta. Sento che piano piano Michael sta acquistando più forza. So che il mio idolo è invincibile, indistruttibile, intoccabile, riuscirà a superare anche questo.
Quando finalmente riesce a tranquillizzarsi sento di essere uscita fuori da un oceano e, anche se sono ancora scombussolata per quello che è appena successo, sto molto meglio anche io. Non ho più quel senso di oppressione in petto e posso di nuovo vedere un Michael sereno.
-Va meglio?- chiedo passandogli una mano all'altezza delle spalle.
-Sto bene, non ti preoccupare- risponde annuendo, come per darsi forza, ma gli si legge ancora la rabbia e la delusione negli occhi.
-Inizio a comprendere quanto sia difficile il tuo mondo e mi dispiace se...
-E' vero- mi interrompe. -E' difficile. Ma oggi, anche se solo per un attimo, è stato meno difficile del solito perchè c'eri tu qui con me, Claudia.
-Dobbiamo fare qualcos'altro. Devi distrarti da tutta questa situazione- dico alzando un po' la voce per costringerlo a guardarmi negli occhi e fargli capire che non sto scherzando, che è un ordine, perché altrimenti non ne sarebbe mai uscito fuori.
-Hai ragione!
Mi guarda con la coda dell'occhio, uno strano sorriso sulle labbra. -Apri il freezer- e indica un piccolo mobile bianco sotto la scrivania.
Mi alzo dal letto con aria interrogativa e appena apro l'anta... C'era da aspettarselo: una vaschetta di gelato! Non riesco a trattenermi e scoppio a ridere. Ci sdraiamo tutti e due sul letto, in mano un cucchiaio e davanti un piccolo televisore acceso sui cartoni animati. Il notiziario è finito da un pezzo. Mi è proprio passato di mente che ero venuta qui per dire a Michael che stavano parlando di noi alla tv, ma ormai non conta più nulla. Sono sdraiata accanto a lui così vicino, la sua dolce voce, il suo profilo perfetto, tutto come avevo sempre sognato. E all'improvviso, proprio mentre spegne la tv, gli balena uno strano sorriso in volto.
-A cosa stai pensando?
Anche se nel senso buono della parola, sono preoccupata. Gli ho visto quell'espressione abbastanza volte da capire che sta tramando qualcosa e che questa cosa succederà a breve. Non riesco a smettere di ridere per la sua faccia.
-Allora?
Attraversa la stanza con un risolino compiaciuto e apre un cassetto, da cui tira fuori una bustina di plastica trasparente con dentro dei piccoli palloncini colorati.
-Penso che ritornerò a fare i giochi di quando ero piccolo e mi annoiavo in albergo insieme ai miei fratelli.
Bubbles, come se avesse percepito quale strano gioco sta tramando Michael, balza a sedere sul letto e comincia ad agitare le manine e a fare strani versi con la bocca.
-Hai intenzione di fare a gavettoni dentro una stanza d'albergo?
Il caos intorno a noi suggerisce che non è una buona idea e che, anzi, sarebbe meglio rimettere tutto a posto prima che qualcun altro se ne accorga.
-No, non è esattamente quello che stavo pensando
Ormai il sorriso sulle sue labbra è rimasto stampato.
-Hai detto che dobbiamo distrarci un po' o sbaglio?
Inclina la testa da un lato e corre in bagno, con Bubbles al seguito. -Sì, ma non era questo che...
Troppo tardi. L'acqua aperta mi dice che ha già cominciato a riempire i palloncini. Lo raggiungo anche io e gli dò una mano, anche se non ho ancora ben capito quali sono le sue intenzioni. Nel giro di un minuto nella vasca da bagno ci sono circa una decina di bombe d'acqua colorate. E adesso? Cosa ne dovremmo fare? Tirarcele addosso? Michael ne prende cinque tutti in una volta, io quattro e uno lo afferra Bubbles divertito, dopodiché lo seguiamo... fuori al balcone. Fuori al balcone? Con tutta la gente che potrebbe vederci? Ma lui è più furbo e si siede subito dietro la spessa parete con le sbarre di ferro, accovacciato.
-Quante persone ci sono in strada?
Afferro una sbarra della ringhiera e mi sporgo appena oltre il bordo. -Tanta. Solo qui sotto ci saranno una ventina di persone.
Si sfrega le mani eccitato.
-Okay, questo è il piano. Al mio tre lanciamo un gavettone dietro l'altro e vediamo quante persone riusciamo a colpire.
Crede ancora che siamo a Neverland? Possibile. Semplicemente perché so quanto possono essere innocenti questi giochi visti dal suo punto di vista, scoppio a ridere. Nessuno saprà mai chi è stato... e gli ricordano molto l'infanzia perduta. Che male c'è?
Chiedo solo, con ironia: -E' legale?
-Il divertimento e i giochi dei bambini sono sempre legali. Se lo facessero a me non mi arrabbierei, anzi.
Dall'espressione sulla sua faccia capisco che è veramente serio.
-Okay, al mio tre. One, two... THREE!- Sporgiamo le mani al di sopra del muro e della ringhiera e lanciamo giù le prime tre bombe d'acqua contemporaneamente. Senza fermarci un attimo, afferriamo e lanciamo anche le altre, e l'ultima, la più grande e spettacolare, la buttiamo giù con il cappello di Michael. Ci rintaniamo appena prima di essere visti. Due passanti, un uomo e una donna, sono zuppi dalla testa ai piedi, senza capire cosa sia successo e imprecando verso l'alto, finché non vedono i brandelli colorati e non gridano "Ragazzini!"; altri sono stati bagnati solo per metà, ma non sanno con quale balcone prendersela; alcuni palloncini giacciono sfracellati sull'asfalto rovente attorno a delle piccole pozze d'acqua: i "tentativi falliti". Ci ripariamo immediatamente dietro al muretto e scoppiamo a ridere come matti e non smettiamo neanche un volta rientrati. Ci buttiamo a pancia in su sul letto e continuiamo a ridere, commentando sulla faccia inorridita delle donne, quella arrabbiata dell'uomo e i vestiti ormai zuppi che indossavano. Quando riusciamo a riprenderci e non troviamo più nulla su cui commentare, dico solamente: -Non mi ero mai divertita così tanto! E' vero che, a volte, ragionare e vivere come i bambini può migliorarti le giornate.
-Non sai quanto. Bisogna prendere esempio da loro. In loro vedo la mano di Dio. Era proprio Gesù a dire di prendere esempio dai bambini, di circondarcene, e io seguo semplicemente questi insegnamenti- e con queste parole capisco che non si riferisce solamente ai divertimenti, come ad esempio quello dei gavettoni, ma proprio lo stile di vita, la spensieratezza, il modo di vedere le cose... tutto. -Anche con questo rivivo la mia infanzia. Ricordo quando facevo lo stesso tipo di scherzi, ma anche peggio. Ad esempio, sistemavamo dei secchi d'acqua sopra le porte, chiamavamo i nostri collaboratori e pum! - con un gesto improvviso delle mani mima il secchio che cade - finivano dritti sulle loro teste e ne uscivano sempre tutti inzuppati. Ogni volta che li chiamavamo per mettere in atto questi scherzi stavano in guardia, preoccupati, ma li fregavamo sempre- e scoppiamo a ridere di nuovo tutti e due.
-A proposito di vestiti, volevo chiederti... Cosa indosserai per il concerto?
-Più o meno le stesse cose che hai visto a Londra... Ti va di darci un'occhiata?- C'è molta serietà nella sua voce, ma nonostante tutto ho paura che mi stia prendendo in giro. Si alza, faccio lo stesso, e comincia a girovagare per la stanza stando attento a non inciampare nelle cose che sono ancora rovesciate sul pavimento.
-Ho fatto proprio un disastro! Beh, più tardi dovrò rimettere tutto a posto. Sta attenta!
Infine si ferma davanti ad un armadio bianco, infila la chiave nella toppa delle ante e gira un paio di volte. Davanti a me si staglia il paradiso. Ogni giacca vista da lontano al concerto ora è proprio davanti a me, accuratamente sistemata in una busta di plastica e attaccata alla rispettiva stampella con estrema cura. Hanno l'aria di essere molto pesanti. Da un altro lato i pantaloni, qualche camicia, le cinte dalla fibbia massiccia sistemate in orizzontale in un cassetto. In basso, sul fondo dell'armadio, tre paia di mocassini di pelle Florsheim, uno un po' consumato e due nuovi. So che non li pulisce mai e se i suoi assistenti provano a farlo o a cambiargli scarpe è la fine. Questo penso sia l'unico modo per riuscire a mandare in bestia un animo sempre tranquillo e dolce come quello di Michael. Dice sempre che è nato in un ambiente povero dove ha tanto desiderato un paio di scarpe del genere ma non c'erano del suo numero fino a quando non è cresciuto. Continuerà ad usare queste per tutta la vita. Si è creato dei capi di abbigliamento ideali, che non appena li vedi ti ricollegano alla sua figura: cappello Fedora, guanti e giacche di paillettes, camicie CTE, pantaloni di 5 cm più corti, e tra questi accessori ci sono anche i suoi familiari mocassini. Guai a chi li tocca!
Michael si accorge che sono rimasta lì davanti all'armadio senza parole e non muovo neanche un muscolo, ma mi limito ad esprimere tutte le mie emozioni attraverso gli occhi. Si mette a ridere, spalanca le braccia e mi incita dicendo semplicemente: -Prendi quello che vuoi, prova quello che ti piace! E' tutto tuo- e mi fa l'occhiolino.
Vorrei dirgli "Stai scherzando?", ma non me lo faccio ripetere due volte e comincio a sistemare sul letto tutte le cose che ho sempre voluto indossare, ovvero le giacche. Quella paillettata di Billie Jean, quella di pelle di Thriller, quella rossa di Beat It, la tuta di Workin' Day and Night che per il colore bianco lo fa sembrare ancora più alto e... stupendo! Il bianco gli sta d'incanto! Prendo la più bella (e anche la più pesante) piena di stemmi con sopra l'aquila, proprio la giacca di pelle nera che usa in apertura del concerto con Wanna Be Startin' Somethin'. E' veramente pesantissima, mi chiedo come faccia a ballare con quella indosso. La prendo con due dita per non toccare troppo gli stemmi, sembrano molto delicati, e Michael mi aiuta ad indossarla. Mi metto a ridere guardandomi nello specchio: non è molto grande, ma mi arriva alle cosce e questo perché Michael è altissimo! Provo anche tutte le altre giacche e lascio per ultima quella che ho sempre adorato di più: il giacchetto rosso e giallo di Thriller con la "M" stampata in grande su un lato e le maniche in pelle.
-Questa è da sempre stata la mia giacca preferita!- dico guardandomi ancora una volta nello specchio.
Mi sta meglio rispetto alle altre ed è semplice ma nell'insieme stupenda.
-Anche a me piace molto. E' stato tutto fatto dal mio stilista Michael Bush. Non so come farei senza di lui... Comunque lo terrò in considerazione- conclude ridendo e calcandomi sulla testa il suo bellissimo Fedora. -Così sei perfetta!
-Che cosa terrai in considerazione?
Ma lui non risponde limitandosi ad un gesto con la mano e così, per l'eccitazione, lascio perdere. Sto indossando le SUE giacche, quelle che ha sempre usato nei concerti, quelle viste solo dal lontano schermo di un televisore o mezza volta in concerto. Non posso crederci. In questo momento sembra la cosa più normale di questo mondo, come se l'avessi sempre fatto. Spogliandomi di tutte le sue cose, noto che nell'interno della falda del Fedora c'è una scritta in bianco, che contrasta il colore del feltro nero.
-L'hai autografato?
-Esatto. Così quando lancio il cappello ai fans durante Billie Jean, chi lo riuscirà a prendere avrà il mio autografo.
Annuisco leggermente e lo aiuto a sistemare di nuovo tutto dentro l'armadio. Provo un senso di nostalgia verso questi vestiti... chissà quando avrò di nuovo l'occasione di indossarli, di toccarne la stoffa o la pelle e sentirne il buon profumo impregnato nel tessuto. Chiuso l'armadio ritorno a vedere la stanza esattamente come l'avevamo lasciata: caduta in un profondo stato confusionale.
-Se qualcuno entra qui dentro gli prende un colpo- commento con voce flebile un attimo prima di rendermi conto di non averlo solo pensato ma anche detto.
-Sì... l'ho vista la tua espressione quando sei entrata. Non te l'aspettavi, vero?
Scuoto la testa in silenzio.
-Va bene, non ci pensiamo. Rimettiamo tutto a posto- concludo con un sorriso.
-Non è giusto che rimedi a quello che ho causato io. Davvero vorresti...?
-Certo. Perché siamo una squadra. Insieme.
Gli tendo la mano ridendo per stemperare un frammento di tristezza che si coglie ancora nei suoi occhi. Non ha mai meritato tutto questo. Non sarebbe mai dovuto succedere. Sorride anche lui e mi stringe la mano. Il calore di quella stretta, il leggero tocco delle sue dita, mi dà una sensazione piacevole che mi invade tutto il corpo dalla testa fino ai piedi, come una scintilla di tepore che si diffonde lentamente.

Ci rimbocchiamo subito le maniche e in meno di un quarto d'ora la stanza è tornata come nuova, pulita, ordinata e senza neanche un oggetto fuori posto. Infine ci fermiamo tutti e due di fronte ai brandelli di giornale, con le mani in mano. Lo guardo per un attimo. Le insulse parole e le accuse sono lì, riversate sul pavimento; persino a brandelli sembra che abbiano ancora il loro potere intimidatorio. Guardo per un attimo Michael.
-E ora? Che cosa hai intenzione di farci?
-Adesso decido.
Pronuncia quelle parole con una nota di disprezzo. Raccoglie a fatica i brandelli e se li infila in tasca. Sembra passato tanto tempo dai pianti e le paure di qualche ora fa, questa sembra addirittura una giornata diversa, un'altra mattina, ma non è così purtroppo.

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