Mi lascio cadere sul letto come morta, accanto alla valigia, e copro gli occhi con tutte e due le mani. Li sento bruciare per le lacrime che sto cercando di trattenere da ieri notte e che mi hanno impedito di prendere sonno. Non voglio vedere, non voglio sentire, non voglio capire cosa succederà tra poco. Le ore scorrono alla velocità del pensiero e non faccio in tempo a fermarmi un attimo che mi accorgo che già è passato più del dovuto. Infilo le cuffiette nelle orecchie per isolarmi dal mondo e sentire solo le dolci note di Michael che fanno da sfondo ad un posto magico come Neverland. Affacciata alla finestra posso vedere il tramonto che tinge il cielo di arancione e un elefante che gioca nell’acqua, mentre in lontananza si staglia il cupo profilo delle giostre spente. Tra qualche ora verranno accese e con i giochi di luce sarà tutto più bello. Ho deciso, però, che oggi ripercorrerò tutti i posti di questo luogo, dal primo all’ultimo, per ricordare. So perfettamente che è una cosa un po’ stupida perché un’estate del genere non riuscirò mai a dimenticarla, ma ho come una strana paura addosso che mi fa credere che una volta a casa la normalità delle giornate assorbirà tutto ciò che ho vissuto di speciale. Abbandono la valigia in un angolo ed esco dalla camera, con il libro di Peter Pan stretto al petto. E’ stato talmente avvincente che l’ho letto già due volte! E’ un ottimo compagno la sera, quando sono a letto ma non ho sonno, e inoltre ogni volta che leggo i nomi di Peter e Wendy mi viene in mente la notte in cui Michael mi ha chiesto di essere la sua Wendy: inevitabilmente penso a noi due.
Comincerò proprio da qui, dalla casa. In silenzio scendo la mia rampa di scale e prendo l’altra che mi porta al corridoio pieno di porte, ognuna pronta a raccontare una storia diversa. Bambole, giocattoli, sagome di cartone, manichini… Mi fermo di fronte a quelle strette scalette che portano al piano di sopra, alla stanza della pista dei trenini. Salgo la rampa di scale e rimango per un attimo ferma sulla sommità, contemplando la camera da letto di Michael dove gli ho lasciato il mio regalo di compleanno. Il letto è perfettamente in ordine, intatto, neanche un oggetto fuori posto e alle pareti i quadri. Ho un sussulto quando ne vedo uno che mi colpisce particolarmente: il mio quadro, quello che gli ho regalato per il compleanno. E’ proprio lì, accanto agli altri, attaccato alla parete con un chiodo. Gli è piaciuto veramente tanto! Spero che quando lo guarderà si ricorderà di me… Ed ecco il primo ricordo: quella sera, durante la premiazione agli American Music Awards nel teatro, insieme ad Eddie Murphy, e quella torta enorme… Mi scappa un sorriso. Scendendo le scale dò di nuovo un’occhiata al piccolo studio di Michael; lo scatolone è ancora lì, a portata di mano, e questa sarebbe l’ultima occasione che ho per riprendermi quella lettera che non verrà mai letta. Mi fermo a fissarlo, ma alla fine tiro dritta e lascio tutto com’è sempre stato. Anche la cucina è vuota. Tra poco il personale comincerà a preparare la cena, ma al solo pensiero mi viene la nausea. Ho lo stomaco chiuso, come se si nutrisse già a sufficienza con i pensieri e la tristezza. La testa fa brutti scherzi e nell’aria sento di nuovo il profumo della torta di patate dolci. Ricordi di quel momento in cui abbiamo giocato facendo cadere farina dappertutto, di quell’attimo in cui mi ha fatto scorrere un dito sul naso sporcandomi, di quel lungo e intenso sguardo che per me è durato un’eternità.In giardino soffia un leggero venticello che fa agitare tutte le voluminose chiome degli alberi. Sorpasso i cespugli con la scritta NEVERLAND e cammino lungo le rotaie del piccolo trenino rosso, costeggiando lo zoo. Dalla parte opposta, in lontananza, posso vedere le fasce di fiori colorati, sistemati accuratamente uno accanto all’altro. Di tanto in tanto incontro lungo il cammino le statue sorridenti di bambini e in questo modo non mi sento completamente sola. Dopo aver rivisto tutte le gabbie, costeggio il Lake Neverland, lo stesso posto in cui Michael mi ha chiesto di diventare la sua ragazza da sedurre per The way you make me feel al concerto. Alla sponda sono attraccate le tre curiose barchette, che ondeggiano silenziose a pelo d’acqua, e in lontanaza c’è un ponticello inanimato che va da sponda a sponda. Percorro il sentiero lastricato, tutto attorno ampie distese di verde prato e fiori, e arrivo al Luna Park, con le imponenti giostre che proiettano le ombre sulla strada. Rimango per qualche minuto ferma, immersa nel silenzio, e volgendo lo sguardo verso il punto più alto della ruota panoramica rievoco l’ennesimo ricordo: la sua stretta di mano mentre salivamo in quella notte stellata che sarebbe stata solo la prima di una lunga serie, le fiammelle che tremolavano nel vento per darmi il benvenuto e il suo magico sorriso che rischiarava il buio.
Poco più avanti c’è il teatro, luogo in cui abbiamo trascorso la maggior parte delle nostre serate a vedere film, con quella palestra e i suoi passi di danza mozzafiato. Alcuni dei bozzetti per i vestiti sono ancora lì, sulla panca. Le luci della palestra sono spente e tutto è silenzioso. Nella mia testa risuona ancora la musica di Billie Jean e lo rivedo esibirsi davanti a me per le prove di quei passi spettacolari. Senza accorgermene trattengo il fiato e quando torno a vedere di nuovo la palestra come una semplice stanza buia piena di specchi il cuore accelera di colpo.
Proseguo dritta verso un posto specifico, la mia meta, la tappa finale più importante. Tutto questo giro mi ha portato via tanto tempo. Gli ultimi raggi di sole stanno scomparendo dietro una collina e la luna già fa capolino. Cammino osservandomi incessantemente i piedi fino a quando nella mia visuale non entrano anche delle massicce radici. E’ solo allora che alzo lo sguardo verso l’alto, verso il Giving Tree, e spalanco le braccia per abbracciarlo, senza tuttavia riuscire ad allacciare tutta la circonferenza del tronco nodoso. Ci metto un attimo ad arrampicarmi, ormai è diventata una cosa normale, l’ho fatto praticamente tutti i giorni durante questa estate. Arrivata in cima, alla “piattaforma”, chiudo gli occhi, portando le gambe al petto e rimango lì, a fissare Neverland dall’alto. Nonostante tutto, mi sento impotente di fronte a quello che sta per accadere senza che io possa fare niente per impedirlo, e soprattutto non mi sento pronta. “Non proprio ora. Non oggi” mi dico, ma quando sarà mai il momento giusto? Non si è mai abbastanza preparati, come il mio incontro con Michael. Quante volte, in camera, avevo immaginato di incontrarlo e di formulare dei dialoghi di ringraziamento per tutto quello che aveva fatto, eppure non è andata come avevo previsto. Impensabile… Io, seduta qui a pensare, mentre potrei passare gli ultimi momenti che mi rimangono con lui. Ma non ne ho la forza. E’ terribile. Ho paura di guardarlo negli occhi e scoppiare a piangere e sinceramente, dopo tutto ciò che ha fatto per me, non sarebbe il modo più adatto per ringraziarlo. Una stella, come uno scorcio di luce, viene proiettata attraverso la chioma dell’albero. Dimmi cosa devo fare. Voglio restare accanto al mio angelo per l’eternità. Ora starà cenando. Non l’ho neanche avvertito che non sarei andata. Che cosa avrà pensato? Trascorro circa un’ora a pensare e rivedere, come tanti flashback, degli spezzoni di ciò che è successo quest’estate, poi mi accoccolo in una nicchia del tronco. E’ indescrivibile la bellissima sensazione che si prova. Apro il libro di Peter Pan sulle gambe e comincio a sfogliarlo, leggendo qualche pagina e osservandone le figure. Spero che questa sensazione duri per sempre.E alla fine lo devo ammettere, stavo morendo dalla voglia di rivedere Michael. Cosa credevo di risolvere rimanendo sola? Di cambiare le cose? La verità è che lui, per me, significa il mondo e la mia vita non sarebbe la stessa senza di lui. Afferro la sua mano e la stringo forte nella mia. E’ seduto qui, proprio accanto a me, con le gambe distese e i piedi incrociati l’uno sull’altro, con il suo solito fare disinvolto ma nell’insieme dolcissimo. Poggio la testa sul suo petto. Sento il suo respiro e il battito del suo cuore, che accelera sempre di più, non capisco se per la timidezza o per il gesto improvviso, ma ho aspettato troppo tempo e ora sento che ne ho veramente bisogno.
-Michael…- sussurro.
-Ero sicuro che fossi qui.
Sorrido.
–Ho perso così tanto tempo da sola… Ora che sei con me mi rendo conto di quanto sia difficile accettare che questo non durerà per sempre.
Mi circonda le spalle con un braccio. Il cuore di Michael non cessa di battere così velocemente. E’ come una delle sue canzoni e potrei rimanere ad ascoltarlo per ore.
-Ti è piaciuto il libro su Peter Pan?– mi chiede volgendo lo sguardo al libro posato sulle mie gambe.
-Bellissimo! Quando lo leggo immagino di poter volare come lui. L’ho ricominciato da capo già due volte.
Rimaniamo ad osservare il cielo stellato per un po’, con il suono delle cicale di sottofondo, fino a quando Michael mi chiede, senza distogliere gli occhi da un punto fisso del cielo: -Secondo te esiste l’Isola Che Non C’è?
Rimango per un attimo spiazzata dalla domanda. In quel momento lo vedo con occhi diversi, come se fosse un bambino a cui devi stare attento a non spezzare le ali dell’immaginazione. O forse, semplicemente, anche io credo in questo genere di cose.
-Non lo so– rispondo infine. –Ma pensare che esiste è molto più bello che pensare il contrario, perciò… perché no?
Un brivido di freddo mi attraversa il corpo ed io tento di scacciarlo con una scrollata di spalle. Michael, sorridente, distoglie lo sguardo dal suo pezzo di cielo e mi avvolge nel tepore di un caldo abbraccio che mi fa dimenticare tutto. E’ speciale! Inspiegabilmente mi sento completa, felice e non voglio più lasciarlo, ciò che voglio veramente è rimanere con lui per sempre. E’ così difficile da capire?
-Va meglio adesso?– sussurra con voce dolcissima.
-Benissimo. Non potrei chiedere altro.
Proprio in quello stesso istante, il cielo è falciato da un guizzo luminoso che sprigiona le ultime energie rimaste prima di scomparire nel buio della notte: una stella cadente.
Mi chino leggermente in avanti, con un improvviso sorriso dipinto sul volto e gli occhi ancora pieni di emozione.
–L’hai vista?– esclamo puntando il cielo con un dito.
Lui annuisce piano.
–Non ne avevi mai vista una prima d’ora?
-No, mai. Sono bellissime.
-Mi ricordi tanto me quando ero bambino– sospira, abbracciando con lo sguardo prima me e poi quel cielo che un attimo fa ha perso un pezzo di luce.
-Perché?
-I bambini (anche io, quando ero piccolo, lo facevo) cercano una stella tutta per loro, di solito la stella polare perché è la più facile da individuare, e la fanno diventare uno speciale amico immaginario, a cui rivelano segreti, raccontano storie, chiedono consigli… semplicemente perché hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. E... ti posso rivelare un segreto? Nonostante gli anni passati, lo faccio ancora. Il cosmo è affascinante. Ci sovrasta da millenni, ma solo poche persone hanno avuto veramente la possibilità di ammirarlo in tutte le sfumature che ci offre. Hai idea di quanti misteri cela che ancora non siamo riusciti a scoprire?
-Tantissimi– replico, e intanto penso “Ma mai quanto i misteri che avvolgono la tua immagine, Michael. C’è qualcosa in te che ancora mi sfugge. Qualcosa che un semplice uomo non riuscirebbe a trasmettere. Un’influenza troppo potente da poter essere colta da tutti.”
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We are Forever
Fanfiction《E poi sei arrivato tu, con un semplice cappello Fedora, un paio di mocassini e un guanto di paillettes...》 Claudia ha da sempre avuto una passione sconfinata per Michael Jackson e un sogno nel cassetto. Così, quando le si presenta l'opportunità di...