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Quando quel momento magico finisce, a Michael scappa un sorriso, talmente contagioso che finisco per sorridere anch’io, e mi solleva piano da terra cingendomi la vita con le braccia. E’ così assurdo! E’ successo. Si volta definitivamente per andare; i nostri corpi si separano dal tutt’uno e tornano ad avere dei lineamenti distinti, ma non gli lascio la mano. Lo guardo supplichevole, non so veramente più che cosa fare per impedire che la distanza ci porti a vivere due nuove vite completamente diverse. Whatever happens, don’t let go of my hand. E alla fine accetto la realtà, che vince sempre su tutto, e sono costretta a lasciarlo andare.
-Andrà tutto bene, te lo prometto. Ricorda che i cancelli di Neverland saranno sempre aperti per te. Ciao mia piccola Applehead.
Sale sulla macchina, mi lancia un ultimo sguardo fugace e chiude la portiera. Lo vedo fare un cenno a Frank con la mano e l’auto parte lentamente. Se ne sta andando… c’è riuscito. E’ scappato via, sta tornando alla sua vita surreale esattamente dall’altra parte del mondo.

Ho affrontato diversi concerti e l’ansia che essi portano con loro, tutti estenuanti ma emozionanti al tempo stesso. Eppure, nonostante le esperienze vissute, non c’è modo di prepararsi ad un concerto come questo, il più grande e spettacolare: l’addio.
Rimango lì, con lo scatolone stretto al petto e il suo profumo che aleggia nell’aria (ciò che mi rimane di lui) e la macchina intanto si allontana. E’ tremendo sentirsi così maledettamente impotenti, non poter impedire che tutto questo accada.
–Ciao Michael. Ricorda che una parte del mio cuore sarà per sempre tua…- riesco a dire in un sussurro impercettibile.
Sento gli occhi offuscarsi, velati dalle lacrime. Non può finire in questo modo! Corro in casa spalancando la porta. Tutti mi aspettano con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra, forse per cercare di rallegrarmi. Apprezzo i loro sforzi, ma sanno meglio di me che ora non c’è nient’altro che possano fare per consolarmi. Papà cerca di fare qualche altra domanda, ma mamma lo blocca.
-Scusate, i-io vado a svuotare il trolley. Stasera vi racconterò tutto.
-Ma certo, vai tesoro, sarai sicuramente stanca.
Annuisco cercando il più possibile di non guardarli in faccia. Entro in camera e chiudo la porta alle mie spalle, lasciandomi cadere sul letto. Intorno a me regna il silenzio; cerco di mettere a fuoco, nonostante le lacrime che mi offuscano la vista, tutte le foto attaccate alle pareti. E’ in queste situazioni che ti accorgi di quanto quegli sguardi e quei sorrisi ti lascino senza fiato, ma che siano troppo finti rispetto alla realtà. Abbiamo più foto di lui che nostre dall’inizio alla fine della nostra esistenza, e solo ora mi rendo conto che tentiamo di ricostruire invano una vita che non ci appartiene affatto, della quale ci sfugge dalle mani proprio la semplicità. Creiamo fantasie, giochi di illusione, situazioni inventate e storie attorno ad una persona che non sa della nostra esistenza e che chiede solo di essere amata per quello che dimostra di essere ogni giorno, su ma soprattutto giù dal palco.
Mi rendo conto anche che appena starò meglio dovrò scendere e chiedere scusa ai miei genitori. Gli ho mentito, li ho fatti aspettare a casa in pensiero senza che avessero la minima idea di dove fossi, sono salita in camera mia senza dire una parola o dare una spiegazione… So che adesso staranno pensando “Ti senti triste, lo capiamo, ma non tutto dura per sempre”; so che stasera o quando uscirò dalla camera me lo diranno, apprezzerò i loro sforzi, ma la realtà è che non potranno mai capire a fondo cosa vuol dire.
Prendo un paio di forbici dall’astuccio della scuola e comincio a fare dei buchi nel pacco di cartone lungo la linea d’imballaggio dello scotch. Che cosa potrà mai esserci? “C’è qualcosa di veramente speciale” così aveva detto Michael. Libero il contenuto abbastanza pesante dal cartone, che scivola in piccoli pezzi sul pavimento. Quante cose! Mi salta subito all’occhio un grande quadro bianco, una tela, e subito la riconosco… E’ proprio quella che avevo visto in aereo! E’ lei. Il disegno mi lascia senza fiato e soffoco un piccolo singhiozzo con una risata di gioia. Ritratti a matita, su quel quadro, ci siamo noi, uno accanto all’altro, mano nella mano e alle spalle il cancello di Neverland. Così ben fatto, così ben disegnato, da sembrare reale. In basso a destra la sua firma. Voglio morire, non ci credo! Chissà quando ha cominciato a farlo… Oh, Michael!
Ma non è l’unico oggetto del pacco. Ci sono anche un pacchetto di caramelle, le sue preferite e… il suo cappello Fedora! Oddio! Lo afferro e lo stringo al petto come un piccolo grande tesoro. Mi arriva un inconfondibile profumo, il suo profumo. Sarà un altro modo per pensare di averlo sempre vicino a me. Trovo una cassetta con una costoletta sulla quale c’è un’unica frase “I momenti migliori di sempre”. Sorrido alla sola vista e pregusto già di trascorrere una serata a guardarla e riguardarla rievocando con nostalgia i ricordi di qualche giorno fa. Solo qualche giorno fa. Cosa c’è di più prezioso dei ricordi? Infine, sul fondo dello scatolone, una lettera. Strofino il viso con le mani per cercare di liberare la vista da quel velo di lacrime, con il risultato di diventare ancora più rossa di prima. La calligrafia è proprio la sua, un po’ disordinata, ma sono le parole ciò che contano. Trattengo il fiato per tutto il tempo che impiego a leggere la lettera e mi scappa un sorriso immaginandolo seduto alla sua scrivania, con la penna in mano, tutto intento a scrivere ciò che ora rimarrà per sempre impresso sulla carta.

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