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La sveglia suona alle sette in punto. Dopo essermi fatta una doccia e vestita, mi affretto a truccarmi e per le otto sono già pronta alla reception con le valigie che vengono subito caricate in macchina da Wayne. Michael mi sta aspettando al ristorante per fare colazione. Indossa una carinissima camicetta rossa e sopra una felpa colorata, mezza sbottonata. Ogni volta che lo guardo sento uno strano tremolio attraversarmi tutto il corpo come una scossa elettrica, le guance diventano più calde e si tingono di rosso e il cuore prende a battere impazzito fino a quando non lo sento arrivare in gola. Ogni volta che lo vedo mi fa questo effetto e non cambierà mai; mi rendo conto di quanto sia bello e perfetto e vorrei gettargli le braccia al collo per ringraziarlo di tutto e dirgli quanto lo amo.
Finito di fare colazione salutiamo tutti e ringraziamo ballerini e musicisti. Mi mancheranno molto (soprattutto LaVelle, Sheryl e Dominic), rimarranno per sempre nel mio cuore perché sono le persone con cui ho condiviso passioni, sudore, fatiche, risate, emozioni... tutto! Mi mancheranno gli insistenti colpi di batteria di Ricky, le acute improvvisazioni di Jennifer, la simpatia di Greg. Spero che un giorno ci rincontreremo e condivideremo altre magiche avventure, perché con Michael le sorprese non finiscono mai.
Dopo un'oretta di macchina arriviamo davanti all'ospedale.
Assomiglia molto ad un asilo, anche se fuori è completamente bianco e spoglio, con dei fiori di carta colorati che si vedono attraverso i vetri delle finestre. Sarebbe bello pensare che sia un luogo tutto sorrisi e giochi dove i bambini vanno ogni mattina per imparare divertendosi, ma so bene che non è così perchè rimarrà per sempre un triste ospedale. Facciamo il nostro ingresso scortati da Wayne, un poliziotto e una telecamera che riprende tutto. Sono sempre un po' a disagio davanti all'obiettivo, ma l'idea di andare a trovare dei bambini me lo fa dimenticare completamente. Michael è sorridente e tra le mani stringe le buste colme di regali. Immagino la loro faccia quando li vedranno. Sull'ingresso ci accolgono infermiere e dottori e Michael chiede di poter sapere le malattie da cui sono affetti i ragazzi: hanno tutte nomi impronunciabili, ma capisco in fretta che per la maggior parte si tratta di AIDS, tumori, malattie genetiche... Problemi MOLTO gravi ed incurabili. I medici si prendono cura di loro e particolari strutture investono nelle operazioni. Gli occhi di Michael comunicano con lo sguardo la tristezza che non si può esprimere a parole.
-Abbiamo raccontato ai bambini di una grande sorpresa prevista per stamattina- spiegano i medici a Michael. -Sono molto impazienti e non vedono l'ora!
Un'infermiera si dirige verso di noi a grandi passi. -Ho avvisato i ragazzi. Aspettano eccitati.
-Beh, allora andiamo- risponde Michael. E' più euforico dei bambini stessi. E' da stamattina che ne parla ininterrottamente, raccontandomi di tutte le altre esperienze che ha avuto entrando in ospedali e orfanotrofi.
Ci muoviamo in un corridoio dalle pareti dipinte e ricoperte di disegni fatti dai ragazzi. Se solo non ci fossero state la gioia e i colori di quei disegni, i muri sarebbero stati palesemente bianchi, proprio come tutti gli altri tristi ospedali. -Che belli!- osserva Michael, fermandosi ad ammirarne ognuno, girando la testa a destra e a sinistra con gli occhi affascinati, catturando ogni particolare con estrema attenzione.
-Eh sì- risponde un medico -Sono dei veri e propri artisti. Sono bambini. Cerchiamo di non fargli pesare il fatto che probabilmente trascorreranno il resto dei loro giorni in un lettino d'ospedale. Sono malati, ma capiscono perfettamente la situazione in cui si trovano.
Cala il silenzio fino a quando non sorpassiamo una stanza con la porta chiusa e la figura di un bambino sui sei anni che si intravede dalla vetrata a specchio. -Perché quel bambino è da solo?- chiede Michael preoccupato.
-E' in isolamento- spiega un dottore dalla folta barba brizzolata. -Deve rimanere lì finché non capiamo da quale tipo di malattia è affetto e se è contagiosa.
A quelle parole Michael ha un sussulto e lo percepisco subito; evidentemente non si aspettava una risposta del genere. Con lo sguardo ancora oltre la spessa parete di vetro, muove qualche timido passo in avanti. Negli sguardi dei medici percepisco che vogliono dire: "Non si può entrare, è un divieto. Ci dispiace" e l'espressione abbattuta ma comprensiva di Michael lascerebbe immaginare che proseguiremo come se niente fosse, ma non è esattamente così. Proprio quando la storia sembra essere messa da parte, dei passi veloci sul pavimento lucido e il rumore di una porta che sbatte ci fanno girare di soprassalto. Ecco, lo sapevo! I medici, impietriti, vanno nel panico e farfugliano parole incomprensibili, ma nessuno osa seguirlo o minimamente avvicinarsi alla porta. Michael, noncurante di tutto, è proprio nella stanza di quel bambino, seduto sul bordo del letto e un meraviglioso sorriso sul viso. Sta intrattenendo una breve conversazione con lui e, non contento delle parole, gli dà buffetti sulle guance. Passandogli un'ultima volta la mano sulla testa esce dalla stanza come se fosse la cosa più naturale del mondo. Quando ci sono di mezzo i bambini nulla può ostacolarlo, neanche la più grave malattia della Terra. -Si rende conto di quello che ha appena fatto?- chiede un uomo col viso pallido. Si sente in difficoltà nello sgridare una persona come Michael Jackson, ma d'altronde se fosse una malattia infettiva adesso saremmo tutti contagiati. Lui sfodera un altro sorriso da "E' tutto okay" e con voce risoluta replica: -Un genitore avrebbe fatto lo stesso, non importa quanto sia grave la malattia. Tutti i bambini sono miei figli e io mi comporto come il loro genitore. Quel bambino si sentiva solo!- Questo è Michael Jackson. Qualche minuto dopo ci troviamo davanti ad una stanza con la porta rivestita da fiori e animali di carta. Prima di andare oltre, Michael ordina di spegnere la telecamera. L'infermiera entra per prima e si affaccia alla porta: -Allora bambini, siete pronti?
Arriva un "Sìììì" molto gioioso ed emozionato, simile ad un coro di angeli. -Okay, allora...
Fa un piccolo cenno a Michael, che non se lo fa ripetere due volte ed entra nella stanza, accompagnato da di voci e grida di gioia. A quel punto entriamo tutti, uno dopo l'altro, e lo spettacolo che mi si presenta davanti è un miscuglio tra il più triste e gioioso che abbia mai visto in tutta la mia vita. Ci sono bambini bianchi, neri, olivastri o dai tratti orientali, dai capelli castani, neri, biondo platino o completamente pelati, tutti magri, ma la cosa che più li accomuna è quel piccolo sorriso che affiora sulle labbra, con qualche dentino da latte mancante. La prima impressione è: sono tutti così diversi, ma nell'insieme così uniti. Rimangono a bocca spalancata e battono le mani contenti: molti di quelli sistemati l'uno accanto all'altro sul pavimento ora corrono incontro a Michael, accerchiandolo e ricoprendolo di baci e abbracci; c'è chi invece lo segue con lo sguardo, sdraiato su un lettino bianco con le sbarre di ferro, apparentemente scomodo, e sorride con gli occhi spalancati. Michael ricambia baci e abbracci e agita la mano salutandoli.
Anche questa stanza ha le pareti ricoperte di disegni, immagini e foto di tutte le star e le persone famose che sono venute a trovarli. Tra le immagini ci sono anche quelle di Michael e dei suoi album. Dopo aver salutato i bambini si avvicina ai lettini di quelli paralizzati o con un monitor che regola i battiti cardiaci e gli afferra le mani fredde, chiedendo il loro nome. Alcuni gli lasciano piccoli regali, come disegni o lavoretti fatti a mano. Michael li prende sorridente e ringrazia di cuore. Poi si siede su una sedia; afferra i bambini, uno a uno, come un padre affettuoso, e li fa sedere sulle sue gambe.
-Hi!- sussurra emozionato. -What's your name?
I bambini gli dicono il loro nome, alcuni timidi, altri più coraggiosi e sicuri, e per Michael è come se gli donassero una parte di loro stessi, ancora più speciale di fiori e regali fatti a mano, che rimarranno nel suo cuore per sempre. Quando sulle sue gambe si accomoda un bambino dalla pelle bianco latte, magro, i capelli biondi e un sorriso sdentato non ho più dubbi. Mi guardo intorno e scruto bene la faccia di tutti gli altri. Ma sì, sono loro! Ecco dove li avevo già visti! Alcuni di quei bambini sono quelli che sono saliti sul palco durante il concerto del giorno prima. Evidentemente avevano già ricevuto un invito da Michael ed erano stati scelti quelli in migliori condizioni per poter ballare e divertirsi sul palco con il loro idolo.
Dopo che tutti si sono presentati, è il turno di Michael a donare loro qualcosa oltre al sorriso. Un'infermiera gli passa le buste.
-Ragazzi, anche io ho qualche regalino per voi. Date un'occhiata!
Bambini e bambine, incuriositi, protendono la testa verso avanti, bisbigliando. Michael infila una mano nella busta e, nel più totale stupore, dalla busta esce una piccola bambola di pezza che indossa un vestitino colorato. Sui volti dei bambini si dipinge un bellissimo sorriso e cominciano a saltare su e giù, battendo le mani contenti. Una bambina di circa cinque anni, dalla pelle candida, i capelli biondi ricci raccolti in una treccia, con il viso spruzzato di lentiggini e magrissima gli corre incontro con gli occhi lucidi: -Candy! Candy! E' proprio come la bambola che ho a casa! Posso giocarci un pochino?
-E' tua, piccola- risponde Michael, accarezzandole la testa.
-Vuoi dire che me la regali?
-Sì, certo.
Non crede più ai suoi occhi e lo abbraccia fortissimo, con la bambola stretta in una mano che penzola dalla sua spalla. Michael la stringe a sé e la avvolge tra le sue braccia, dandole un tenero bacio sulla guancia. Avere quella scena così, davanti agli occhi, mi fa emozionare tantissimo, non ci sono parole per descrivere come mi sto sentendo. Gli occhi mi si riempiono di lacrime.
-Forza, ci sono regali per tutti!- incita gli altri bambini Mike, che sono rimasti a guardare la scena a bocca aperta. E così, dalle magiche buste, fanno capolino trenini, macchinine, bambole, videogiochi, cartoni animati, libri, pacchi di caramelle e cioccolatini, vestiti di tutte le misure... In un attimo riaffiora di nuovo l'animo da bambino di Michael: sono tutti lì, intorno a lui, seduti su un tappeto colorato, proprio accanto ai lettini, a giocare con i loro nuovi giocattoli e Michael prende parte alle loro fantasie, mentre una piccola televisione trasmette il cartone animato di Peter Pan, il suo preferito. Rimango ad osservare per un attimo quella scena fuori dal tempo; nei loro occhi si è improvvisamente accesa una scintilla di felicità che brilla incessantemente. La loro curiosità non ha limiti e la loro forza è sovrumana. I sorrisi e il suono delle loro risate mettono a tacere la malattia, cercando di contrastarla e di vincerla, perché non esiste medicina migliore dell'amore e della felicità. Ci sono bambini che non hanno mai potuto donare né tantomeno ricevere affetto e questo mi fa piangere il cuore, perché io non sarei nulla senza la mia famiglia. Con Michael una parte del triste vuoto dei bambini è stato colmato. Chissà da quanto tempo era che non sorridevano così... Solo ora, vivendo certe situazioni, capisco quanto sono fortunata. Michael ha ragione a dire che osservando il sorriso dei bambini puoi scorgere quello di Dio; sembrano tanti piccoli angeli. Non hanno idea della forza che possiedono nel riuscire ad affrontare problemi così grandi grazie alla loro gioia di vivere e alla curiosità. A volte ci lamentiamo perché non ci piace il colore dei nostri occhi, i capelli, come camminiamo, vorremmo essere più magri o avere un giocattolo nuovo. Succede a tutti, è sempre così. Poi ti guardi intorno e ci sarà un giorno in cui aprirai gli occhi su ciò che è veramente un problema: c'è chi non si lamenta del colore dell'iride, eppure è cieco; c'è chi vorrebbe solo poter desiderare una piccola ciocca di capelli perché le chemio gliele hanno portate via tutte, chi vorrebbe solo poter camminare perché costretto su una sedia a rotelle, chi è vittima di un tipo d'amore egoista, che invece di uno stupido giocattolo vorrebbe una carezza e sentirsi dire "Ti voglio bene".
Non se lo meritano! Non meritano così tanto male! Non potranno mai avere una vera vita, una famiglia felice, non potranno avere risposte alle loro curiose domande che tutti i bambini hanno il diritto di porgersi, non potranno mai correre nei prati allegri senza pensieri, non potranno fare battaglie d'acqua o arrampicarsi su un albero... Mi fa rabbia pensare ai bambini viziati, o a quelli che pretendono che gli venga per forza comprato qualcosa quando hanno già tutto ciò che gli serve, ma non riescono ad apprezzarlo. I bambini malati o senza famiglia fanno i salti di gioia per una bambola o delle caramelle o dei vestiti! Non si azzarderebbero mai a dire "Questo non mi piace!" o "Non è quello che volevo!" perché per loro passare un'intera giornata con il sorriso è già tutto. Ricevere un abbraccio, un bacio, un segno d'affetto, sentirsi dire ti voglio bene, è il regalo più bello che tu possa fargli, che va oltre ogni bene materiale. Durante il tragitto in macchina, Michael mi ha raccontato: "Una volta ho invitato a Neverland un bambino malato di cancro. Era piccolo, magro, gli si contavano le ossa, fragile e aveva perso capelli, sopracciglia, ciglia... tutto, a causa delle numerose chemio che gli avevano fatto. L'ho tenuto in braccio perché era talmente debole che non riusciva a camminare per lungo tempo. Gli avevano detto che stava per morire, capisci? Ad un bambino così piccolo... non ci potevo credere... non se lo meritava! L'ho invitato a pranzo con la sua famiglia a Neverland e hanno cominciato a chiedergli cosa volesse portare nella sua tomba. Ci pensi ad un bambino che parla della sua morte? Mi sono alzato da tavola, sono corso in bagno e ho pianto e vomitato. Sono stato malissimo. Ciò che desideravo era solo fargli trascorrere al meglio quei giorni che gli rimanevano da vivere, così gli ho chiesto: -Ti sei mai arrampicato su un albero?- e lui ha scosso la testa con un sorriso. Allora gli ho detto: -Beh, devi proprio farlo, fa parte dell'infanzia. E' bellissimo, il mio passatempo preferito! Oggi ti arrampicherai su un albero- e così l'ho aiutato a salire... dovevi vedere quanto era felice. Alla fine l'ho fatto entrare in un progetto che sostiene moralmente i bambini malati. Ciò che non gli viene sottratto dalla malattia è veramente poco, così faccio in modo che vivano da BAMBINI almeno quel poco che gli rimane."
Improvvisamente mi viene incontro una bambina senza una gamba, spingendosi su una sedia a rotelle, che stringe nella mano un orsacchiotto di peluche e mi distoglie dai pensieri. -Ciao, sono Nisha. Come ti chiami?
-Claudia- rispondo con un grande sorriso, inginocchiandomi alla sua altezza in modo da poterla fissare negli occhi. -E lui come si chiama?- chiedo indicando l'orsacchiotto. -E' veramente bello!
-Teddy... Ti va di venire a giocare con me?
-Se posso... certo!
Michael intrattiene il suo piccolo pubblico con una marionetta a forma di animale; quando ci vede distoglie per un attimo lo sguardo dalla cerchia di bambini e ci fa un piccolo gesto con la mano.
-Su, andiamo!- la incito. Fa cenno di sì con il capo, mi stringe forte la mano e non me la lascia per tutto il tempo. E' incredibile come da questo semplice gesto si possa percepire la richiesta d'affetto da parte di una bambina, un appiglio nel vuoto più totale. Mi trasforma in una specie di mamma, di sorella maggiore, e se non fosse che ho solo diciotto anni l'avrei già adottata. La mattinata trascorre così, tra la cosa che amo di più al mondo: i bambini. Di tanto in tanto osservo Michael che conversa in modo dolcissimo con loro, gli carezza la testa o passa il dorso della mano sulle loro morbide guance. Attraverso i suoi occhi puoi percepire la tenerezza di quei gesti e di quelle semplici parole.
Quando è il momento di andarsene, provo una terribile fitta allo stomaco. Vorrei rimanere per sempre lì, tra loro, perché sento di non essere mai stata così felice in tutta la mia vita. Anche a Michael, per un po'di tempo, non compare più quel bellissimo sorriso sulle labbra. Facciamo una foto di gruppo e poi abbracciamo tutti i bambini. Abbracci morbidi e amorevoli, è impossibile non affezionarcisi. Dovremmo prendere esempio da loro, tutti e in tutti i sensi. Imitare i bambini non è mai sbagliato e se qualche volta abbiamo la possibilità di trasformare il nostro noioso animo di adulto in uno sorridente e spensierato, libero dalle preoccupazioni, ci sentiremo subito meglio.
L'ultima sorpresa del giorno, quella che mi lascia veramente sicura che quei bambini avranno una maggiore cura da parte di quei bravi dottori, è che Michael versa un assegno di ben un milione e mezzo di dollari per l'ospedale. E' una cifra esorbitante per le mie orecchie, ma lui può permetterselo. Vive veramente per loro, li ama dal profondo del cuore. Altri artisti preferiscono arricchirsi per comprare ville lussuose, piscine, macchine sportive e altro... Lui usa i soldi accumulati dai concerti per le persone malate.

La macchina ci porta all'aeroporto. Io e Michael parliamo per tutto il viaggio di quell'incontro a dir poco magico e speciale. Stringo tra le mani l'istantanea fatta con i bambini. I nostri sorrisi sono così veri... La mano di Nisha stringe la mia, il calore di una stretta che non dimenticherò per nulla al mondo. Un neonato è tra le braccia di Michael. Avrei voluto condividere tutta la vita con loro per il solo motivo di non fargli mai perdere la speranza e per continuare a veder risplendere quei bellissimi sorrisi, ma tornerò a Neverland con un bagaglio di esperienza in più e una nuova, emozionante avventura vissuta, che ha stravolto completamente la mia vita.

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