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Rifaccio le valigie. New York è una città un po' caotica, ma fantastica! Ormai il concerto è finito. E' sfumato tutto in due ore e mezza. I miei sogni si sono realizzati, ma troppo in fretta e ora sono pronta ad abbandonare il palco. E' stata un'esperienza unica esibirmi con Michael ed il resto del team! In testa ho solo un pensiero: finalmente ho coronato il sogno di una vita, in tutti i sensi: sono stata ad un suo concerto, gli ho parlato, ho visto Neverland, ho ballato con lui e da lui, il mio Maestro, ho imparato ad affrontare la vita in modo diverso dal normale. Cosa potrei chiedere di più? Beh, forse di poter trascorrere giornate con lui fino a che il sole non smetterà di sorgere e le stelle non brilleranno più in cielo.
Battiti di nocche sulla porta, lenti e distaccati l'uno dall'altro, inconfondibili. Riconoscerei quella calma e quella pace tra mille. Michael. E nell'attimo in cui penso alla sua figura e il suo nome affiora sulle labbra, il cuore mi si riempie di amore e prende a battere forte. Succede ogni volta che percepisco la sua presenza; chiudo velocemente la zip del trolley.
-Sì?! Entra, è aperto.
-Disturbo?- E appare così, come una figura surreale, posato con la spalla allo stipite della porta, nella sua camicia azzurra e i pantaloni neri, sportivo ma elegante allo stesso tempo, sempre con quel tocco di classe che lo rende perfetto. Mi perdo nel suo sorriso e rimango per un attimo a fissarlo con una mano a mezz'aria. La dolce voce risuona ancora come un'insistente eco e si dissolve nello stesso istante in cui arriva l'odore del suo inebriante profumo. Sembra quasi che la sua presenza abbia rischiarato la stanza.
-Michael, è la nostra camera, non solo la mia- mi affretto a balbettare inciampando nelle parole, cercando inutilmente di apparire naturale. Ogni volta che esce, poi bussa per rientrare, quasi avesse bisogno del permesso di qualcun altro. Mi fa sempre un certo effetto dire "la nostra camera", ancora non comprendo a pieno la realtà di questa frase.
Sorride di nuovo, abbassando lo sguardo in segno di scuse. -Fai già la valigia?
-Sì. Avevi detto che partivamo domani mattina presto, quindi ho cominciato subito. Ho paura che domani, nella fretta, dimenticherò qualcosa...
-Non vedo l'ora che sia domani!- esulta, gesticolando con le mani.
-Nostalgia di Neverland?
-Tanta, ma intendevo per l'incontro... Non te l'ho detto?
-No, non mi pare. Dirmi cosa? Quale incontro?- chiedo curiosa.
-Di solito- riprende lui -quando faccio i concerti, prima di andare via, vado a trovare i bambini degli ospedali o degli orfanotrofi. Ci vado per fare qualcosa di bello per loro, per renderli felici una volta nella vita. A volte sono loro stessi a chiedere di me, vogliono parlarmi, e dato che non tutti hanno la possibilità di venire ai miei concerti, sono io ad andarli a trovare.
-Che bello!!!- grido eccitata, sollevata per non dover incontrare gente famosa e felicissima perché passeremo un'intera giornata con i bambini. -Saranno contentissimi!- e in un attimo ripenso a tutti i bambini che trovano rifugio dalla realtà nei libri della mia piccola libreria. Quante storie mi hanno raccontato... Le custodisco tutte come piccoli, ma importantissimi tesori. Gaia, la dolce Gaia... Chissà cosa starà facendo in questo momento.
-Ci fermiamo durante il tragitto fino all'aeroporto, è proprio a metà strada, e poi, dritti a Neverland. Vedrai che bello domani. Un bambino ti sa trasmettere tanta esperienza e saggezza, puoi ritrovare la forza nelle loro storie.
-Passare un po' di tempo con i bambini è sempre bellissimo- aggiungo e decido di parlargli della mia piccola libreria, a Roma, e di ciò che i bambini mi raccontano, seduti a quel piccolo tavolino colorato, con i loro libri preferiti tra le mani. Michael rimane ad ascoltarmi, sorridente, e capisco che è veramente interessato alle mie storie perché la pensiamo tutti e due allo stesso modo. Avevo proprio bisogno di qualcuno con cui condividere ciò che penso senza essere presa in giro. Per me i bambini sono tutto. Un loro sorriso, abbraccio, sguardo, migliora la giornata. Lui ascolta affascinato e fa tantissime domande, per poi raccontare a sua volta le sue numerosissime esperienze. Noto che da quando abbiamo cominciato a parlare dei bambini il suo sorriso è raddoppiato e negli occhi gli risplende una strana luce di entusiasmo. Si vede che darebbe la vita per loro e, cosa più bella, che tratta tutti come suoi figli. Si sente in dovere di dar loro protezione e amore come farebbe un genitore.
Verso le quattro Michael esce, ma prima di andarsene si affaccia alla porta e mi dice: -Non te la prendere se non ti invito, ma dovrò uscire scortato, non sarà una passeggiata. E' meglio essere prudenti.
-Non ti preoccupare. Ti aspetto qui.
Mi fa l'occhiolino e chiude la porta. Mi lascio andare come sempre sul letto, con una strana sensazione. La stanza perde completamente quel bagliore che aveva dato la presenza di Michael, ma la sua voce risuona ancora, come se rimbalzasse da una parete all'altra. Non avrei mai creduto di poter parlare così a lungo di qualcosa con Michael e di averlo reso parte dei miei racconti. Certo che però è assurdo che debba uscire sempre scortato, come può sopportare un peso del genere? Essere privato della libertà. Dove dovrà andare? Forse lo sta facendo per proteggermi dai giornalisti o da eventuali attacchi da parte dei fans... Spero. Come un lampo vedo l'immagine di Alessandra affiorare tra i pensieri e mi metto a ridere pensando a cosa farà quando le racconterò tutte queste conversazioni, tutte queste sensazioni. Mentre penso a queste cose, mi batto una mano sulla fronte con un piccolo scatto, saltando su a sedere. La dovevo chiamare oggi! E poi ho proprio bisogno di qualcuno a cui raccontare tutto quello che sta succedendo in questi giorni.
-Pronto?
-Hey, sono Claudia!
-Claudia!- Alessandra urla al telefono come una pazza. Lo stacco qualche centimetro dall'orecchio per non diventare sorda.
-Allora, racconta. Voglio sapere tutto!
-Sto vivendo così tante emozioni tutte insieme che non so proprio da dove cominciare. Neverland, New York, il concerto, Michael... E' un sogno! Non riesco a crederci. Da dire per telefono è molto difficile, non so riorganizzare le idee, ma quando torno prometto che cercherò di raccontartelo.
-Vuoi dire che devo aspettare ancora così tanto tempo?
-Ho paura di sì. Che stavi facendo?
-Stavo guardando la TV, ho appena staccato dal lavoro. Mi manchi tantissimo! Non sono divertenti i pomeriggi senza di te che scorrazzi nella libreria con i bambini. Mi hai lasciato a Londra, sono dovuta tornare in aereo da sola... Preferivo quando facevi suonare il metal detector.
Ma insomma! Invece di gioire con me aggiunge i rimproveri. Non so neanche come giustificarmi. Dire che il mio idolo è più importante dell'amicizia che ci lega è totalmente sbagliato ed egoista. La prenderebbe a male... e avrebbe anche ragione... forse... Insomma, sono due sentimenti talmente sconfinati e opposti che non possono essere paragonati. Per fortuna mi dà una mano terminando la frase con una risata (un po' finta, devo ammetterlo, ma è pur sempre una risata) e il discorso finisce lì. Lo sa che quello che mi sta accadendo è un'esperienza unica.
-E tu?- chiede ancora. -Raccontami. Che stai facendo di bello? Avete già lasciato New York?- Ora me la immagino che, come sempre, si è appoggiata alla testiera del letto e ha incrociato i piedi di fronte a lei.
-No. Ce ne andiamo domani. Andremo a trovare i bambini di un ospedale o di un orfanotrofio, non so bene.
-Davvero? E' la tua passione stare con i bambini!- esclama, come per ricordarmelo.
-Sì, infatti! Non vedo l'ora, sono così contenta che non so come faccia l'emozione a trattenersi tutta nel corpo.
-E Michael?- chiede interrompendomi improvvisamente. -E' lì con te? Che sta facendo?
-E' appena uscito, ma mi ha chiesto di non andare perché aveva paura dei giornalisti e cose del genere.
Nota il tono di preoccupazione, le vere amiche se ne accorgono anche a distanza, e come sempre cerca di tranquillizzarmi. -Se non vuole che vai con lui lo dice solo per il tuo bene. E' abituato a finire sui giornali, ma non vuole far diventare anche te il centro di notizia dei media. Tutto qui. Ci credi, ancora non riesco ad immaginare che sei lì con lui, che ti sto parlando di quello che secondo me sta facendo... Assurdo! Sei l'amica di un vip americano!
Non mi piace che chiamino Michael "un vip", perché secondo me è un termine snob che non si addice per niente alla sua personalità, e le rivelo inconsciamente: -Lo sai, l'altro giorno è scoppiato a piangere...
-Che cosa??? Perché?
-E' una brutta storia. Sono entrata in camera ed era sul letto che piangeva come un bambino. I giornalisti hanno scritto di nuovo che si è sbiancato la pelle solo per fare notizia.
-E' impossibile!
-Vorrei che lo fosse.
-Povero Michael. Mio Dio quanto li odio!!!
Prima che possa cominciare a sfilare la corona contro i giornalisti, le dico: -Poi ti racconterò tutto per bene, per ora cerco di non pensarci più, è stato devastante anche per me vederlo in quelle condizioni.
-Io devo andare- sbuffa Alessandra. -Si torna a lavoro. Ci sentiamo presto, okay?
-Certo. Ciao! E prenditi cura dei bambini che verranno.
-Lo farò. Ciao Claudia!
Il tempo di scrivere una breve lettera ai miei genitori e dopo una mezz'oretta sento battiti di nocche sulla porta e poi il cigolio mentre si apre e si chiude con un impeto mai visto prima.
-Sono tornato!- mi urla dall'altra parte della parete. Il suo entusiasmo potrebbe essere percepito a chilometri di distanza. -Puoi venire un attimo?
A quella domanda percepisco il mio corpo fluttuare leggiadro nell'aria e istintivamente sorrido. E' incredibile quanto si senta la sua mancanza quando ci si abitua ad averlo affianco ogni giorno. Attraverso in lungo tutta la stanza senza riuscire a nascondere la felicità. Michael, di spalle, sta trafficando con le mani in tre grandi buste, facendo uno strano rumore.
-Vedo che hai comprato un bel po' di roba!- esclamo.
-Eh, sì... Ma non è per me- replica lui, ridendo. Aggrotto la fronte.
-Ah no?
-No. Sono dei regali per i bambini dell'ospedale. Spero gli piacciano.
Riversa sul tavolo macchinine, pupazzi e peluche, piccoli robot meccanizzati, bambole, pacchi di caramelle e cioccolatini, album e pastelli colorati, vestiti... e un sacchetto con delle batterie. Tutto ciò che si può desiderare è in quelle buste. Nota la mia espressione perplessa mentre fisso il sacchetto con le batterie.
-Devo assicurarmi che tutti i giocattoli a batteria funzionino- si affretta a spiegare con innocenza.
-Tutti? Ma sono tantissimi!
-Non importa. Rendi un bambino felice e ti sentirai... completo.
Si siede e inizia a collaudare i giocattoli, cercando le batterie giuste.
-Aspetta, ti do una mano- e mi siedo sulla sedia accanto a lui. Mi rivolge un sorriso e di nuovo china la testa.
E' così tenero! Osserva ogni singolo gioco e poi inizia a cercare di capirne il funzionamento, come un bambino che deve scoprire una cosa nuova. E' dolcissimo. Ci si mette d'impegno, è una cosa che fa con il cuore, si vede lontano un miglio. Per lui i bambini sono la cosa più importante del mondo. Ricordo che in un'intervista ha detto: "Se il mondo, improvvisamente, non fosse più abitato dai bambini io mi butterei giù da un balcone!" e rabbrividisco solo all'idea. Fino a sera tardi rimaniamo ad infilare e sfilare batterie, guardando piccoli giocattoli correre, ballare, cantare e parlare. Verso le undici e mezza, più o meno, gli occhi cominciano a chiudersi; la stanchezza accumulata in questi giorni è tantissima, ma nonostante tutto non mollo, continuo ad infilare e sfilare batterie, finchè Michael non si ferma e comincia a guardarmi con sguardo intenerito.
-Sei stanca, è meglio che vai a dormire- sussurra.
-No, posso ancora farcela... Non ti preoccupare.
-Claudia- la sue dita mi sfiorano la mano e vi sfilano delicatamente il giocattolo -hai lavorato tanto in questi giorni, sei stanca. Vai a riposarti, domani dovremo svegliarci di nuovo presto. Io tra un po' ho finito.
-Sei sicuro Michael?
-Sicuro, stai tranquilla- e così gli auguro la buonanotte.
Vorrei rimanere sveglia con lui ad ogni ora del giorno, anche solo osservarlo mi fa sentire bene, e ho bisogno di un suo abbraccio, ma sono veramente stanca e, a meno che non voglia addormentarmi con la testa sul tavolo, devo riposarmi. Sono felicissima, come mai mi è capitato prima. Penso ai miei genitori e ad Alessandra. Sentono la mia mancanza? Cosa staranno facendo adesso? Immagino Michael che tra poco dormirà con la sua espressione da angelo dipinta sulla faccia e mi si stringe il cuore. Con un miscuglio di pensieri mi giro su un fianco e chiudo gli occhi.
Quando mi sto per addormentare, ancora tra sonno e veglia, sento un calore sprigionarsi al centro esatto della fronte, accompagnato da uno schiocco appena attutito e un profumo buonissimo che ormai ho imparato a distinguere da qualsiasi altro. Vorrei imporre ai miei occhi di aprirsi, vorrei riprendere il pieno controllo del mio corpo, ma rimango semplicemente immobile, senza riuscire a rendermi conto di cosa stia succedendo, persa a metà tra un sogno iniziato da poco e la realtà che si sta svolgendo senza che me ne accorga. Una figura che fino a qualche istante prima era china su di me spegne la fioca luce della lampada che è rimasta accesa e sussurra qualcosa tra sé e sé. Sulle labbra mi compare un lieve sorriso che, sono sicura, mi accompagnerà tutta la notte.

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