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Qui a Neverland la domenica equivale ad un giorno festivo. Forse è per questo che è da stamattina che sono particolarmente felice ed eccitata all’idea di ciò che faremo oggi: niente concerti, prove, sala di registrazione o MJJ Studios, solo un’intera giornata all’insegna del divertimento e del piacere personale. Faccio una breve ma dettagliata telefonata ai miei genitori per raccontargli quanto siano stati emozionanti anche questi concerti in Spagna, tralasciando i dettagli su The Way You Make Me Feel, soffermandomi molto anche sugli American Music Awards con la festa a sorpresa per Michael.
In realtà quello di The way you make me feel è uno dei pensieri fissi che mi tormenta ogni sera da quando ci sono stati i concerti in Spagna. Mi viene a trovare ogni notte e poi rimane a galleggiare indisturbato a mezzo centimetro dal mio naso. Con gli occhi chiusi, nella speranza di riuscire ad addormentarmi, la mia mente rievoca quel momento in cui la sua mano mi ha sfiorato e mi ha trasmesso un calore familiare, ma del tutto sconosciuto al tempo stesso. In quel momento, carica d’adrenalina ma oppressa da un senso soffocante di nervosismo, non mi sono goduta a fondo il momento come avrei dovuto e nell’attimo in cui ho girato i tacchi mi è sembrato di essermi lasciata alle spalle un sogno lontano e irraggiungibile.
E quante volte mi è capitato di girarmi su un fianco tirando un sospiro, rimboccarmi le coperte fino ad altezza mento e iniziare il ricordo da dove è terminato… A volte mi consolo pensando a quanto la mia mente sia brava a riprendere le situazioni in pugno e modificarle a modo suo con un po’ di fantasia. Nel mio immaginario il suo tocco non mi provoca affatto nervosismo, come se ci fossi abituata, e così mi concentro sulle emozioni e mi lascio andare al solo piacere; faccio scorrere la mia mano sulla sua, che intanto si fa strada sui miei fianchi, sorrido e mi volto lentamente. I nostri sguardi si incontrano e poco prima di sentire il suo respiro sulla mia pelle e il tepore delle sue labbra, una fitta allo stomaco mi sovrasta come se avessi ricevuto un pugno, una specie di campanello d’allarme che mi travolge con violenza riportandomi nella realtà. Avevo deciso fin da subito di mantenere delle distanze di sicurezza, perché è difficile convivere con un tale concentrato di bellezza e dolcezza, cercando di essere completamente indifferente alla sua presenza, ma non appena i miei occhi lo inquadrano è come se la parte razionale del mio cervello venisse soggiogata, mentre la parte irrazionale sgretola lentamente la barriera di sicurezza che mi separa da lui con un martello.
In questi giorni, riflettendoci bene, ho capito che in realtà dò meno peso al fatto accaduto piuttosto che alla motivazione. Mi premono molte domande, che piano piano fanno breccia nella mente e cominciano a sovrastare i pensieri. La prima, più scontata: Perché l’ha fatto? E poi, a seguire: Era una semplice interpretazione del pezzo? O forse c’è una motivazione più specifica? Se fosse stato un passo studiato probabilmente lo avremmo provato prima e, almeno un po’, sarei riuscita a tenere a freno le emozioni. Invece no, è stata una frazione di secondo tanto breve quanto inaspettata e forse per questo così piacevole,  ma l’avrei gradita anche se fosse stato tutto pianificato. Probabilmente il suo scopo era questo, non provare per rendere la sorpresa più realistica. Spesso mi soffermo sulle parole di Michael quando dice che ogni suo movimento in concerto è involontario, semplicemente involontario, perchè il suo corpo si fonde a tal punto con la musica che sono i suoni degli strumenti a guidarlo nella danza. Mi chiedo se anche quello l’abbia fatto prima di potersene rendere conto e se ne fosse parzialmente incosciente.
E soprattutto, mi preme un’altra domanda: perchè ha scelto me, tra tutte le modelle che ha a portata di mano o che gli corrono dietro? La sua scusa sul fatto che sia “timido” e che non voglia chiederglielo di persona non regge! Con tutti i collaboratori che si ritrova nessuno potrebbe parlare con la ragazza al posto suo? Non penso che lo saprò mai. Quando ci siamo comodamente seduti sulle poltroncine di velluto del cinema con il maxischermo che trasmetteva la ripresa diretta del concerto, all’arrivo di quella parte non ho avuto il coraggio di guardarlo negli occhi. Il buio della sala mi ha evitato di dover esibire due guance rosse e accaldate rivedendo quei momenti così vivi sulla pelle. Non ho neanche intenzione di chiederglielo buttandola sullo scherzo. Non lo vorrei imbarazzare… o forse sono io che ho paura della risposta.
Mi accontento delle voci emozionate dei miei genitori che non smettono mai di fare domande e di raccontargli di ogni singolo momento vissuto, attimo per attimo. Ma è mai possibile che per rivederli devo rinunciare ad un’altra persona importante della mia vita? Possibile che la vita sia tutta una scelta? Sei o dentro o fuori, o bianco o nero e mai una velata sfumatura di grigio. Neanche l’ombra. La verità è che non si può scendere a compromessi con il destino. Si può continuare a trattare, perdendo tempo, o sfidarlo godendosi ogni attimo, continuando a giocare.
Ed è ancora più dura giocare quando c’è di mezzo il cuore.

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