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I mass media sono insistenti. Iniziano a fare mille domande in contemporanea, quasi non si capisce cosa vogliono dire: “Chi è questa ragazza? Da dove salta fuori? Qual è il suo nome? Dov’è Michael Jackson?”
Stringo le palpebre riducendole a due fessure. Luci intermittenti dell’albergo, flash dei fotografi, troppe domade… Chi sono questi? (In realtà lo so benissimo chi sono, una guardia del corpo e un poliziotto, ma cosa c’entrano con me?) Mi stringono fortissimo i polsi. Forse mi stanno proteggendo, ma da cosa? Forse hanno paura che scappi, ma dove? Dietro di me c’è un muro di gente. Mi volto indietro e, prima di essere accecata da un altro flash, riesco a scorgere la faccia preoccupatissima e meravigliata di Alessandra.
-Basta! Basta! Non abbiamo niente da dire al riguardo!
La voce di uno dei due uomini, quello che sembra una guardia del corpo, è cupa.
Quando riusciamo ad entrare nell’hotel si chiudono in fretta la porta alle spalle. La guardia del corpo fa un cenno al poliziotto che lascia la presa, ma l’uomo, sempre stringendomi per i polsi, mi fa correre nell’ascensore. Finalmente mi lascia libera. Mi massaggio il polso: se voleva bloccarmi la circolazione ci è riuscito.
-Per fortuna non sei una di quelle ragazzine che oppongono resistenza, altrimenti i giornalisti ti avrebbero già mangiato!
E’ veramente imponente, alto e robusto, che dà tutta l’impressione di poter far crollare al suolo una costruzione di cemento. Se è una guardia del corpo devo dire che è proprio adatto a questo lavoro. La  voce è bassa e roca, pelle color caffè, punti di barba brizzolata fatta da poco e indossa giacca e cravatta abbinati, con una scritta bianca dietro la schiena, all’altezza delle spalle: “Security”. Mi incute veramente molta paura.
-Non mi sono presentato! Io sono Wayne.
Mi porge la mano ed io la stringo, poco sicura di me. Nonostante sia calda e confortante, diffido della sua forza smisurata.
-E tu sei Claudia, giusto?
“Ora è anche un veggente? O forse sensitivo?”
Intanto l’ascensore sale spedito: primo piano, secondo piano…
-Mi scusi…- balbetto quando riprendo la parola. -...ma, che vuole da me?
Ride di gusto, una risata profonda e compiaciuta, come se si aspettasse quella frase.
-Non ne so nulla neanche io, signorina– esclama diventando improvvisamente serio. –Ma se ci hanno espressamente chiesto di lei, stia sicura che c’è un motivo preciso!
-Di me?
Il cuore tra poco mi esce dal petto. Sento le gambe tremare improvvisamente e, se non fosse per la curiosità, sarei già collassata sul pavimento. Non è possibile! Insomma, io sono una semplice ragazza come tutte le altre che è venuta a vedere un concerto di Michael. Chi potrebbe volermi? Tranne Alessandra, non conosco nessuno del posto! Già… e Alessandra? E’ tornata di corsa a casa? Ha chiamato la nonna allarmata? E’ ancora lì sotto e attende come tutti gli altri? Non entrava di certo nei miei piani essere prelevata sotto l’albergo di Michael davanti ad una folla impazzita. Come hanno fatto a riconoscermi? E cosa c’entro IO con un agente della sicurezza? Non sono di certo famosa, non ho bisogno di chi mi scorti!
-Senta… non vorrei insistere, ma si deve sicuramente trattare di un errore. Sono nuova del posto e non conosco nessuno. Sono solo venuta a vedere il concerto di Michael– ripeto di nuovo.
Non riesco a trovare altre parole per quanto sono agitata.
Le porte dell’ascensore si aprono e Wayne mi fa segno con la mano di andare avanti. Mi ritrovo a camminare in un lunghissimo corridoio, su una moquette rossa, illuminato da una serie di lampade con il vetro a forma di fiore. Alle pareti sono appesi dei quadri fantastici. Nell’aria c’è un odore pungente e Wayne riesce a tirare fuori dal taschino della giacca il suo fazzoletto poco prima di starnutire. Si scusa ripetutamente e spiega di essere allergico alla polvere che è intrappolata nella moquette. Svoltiamo a destra. Nell’angolo c’è un piccolo tavolino di legno con sopra una candela profumata e una statuetta dall’aria antica. Camera 616. La guardia del corpo bussa alla porta con una delicatezza di cui non avrei mai pensato fosse capace; piccoli e persistenti colpi, estrae una chiave dorata da una tasca, la infila nella toppa, le fa fare un paio di giri verso l’esterno e, sotto i miei occhi increduli, abbassa piano la maniglia.
Dò uno sguardo all’interno. La camera è gigantesca, con il pavimento rivestito di parquet e un lampadario composto da tanti pezzettini di vetro. Si scorge un letto matrimoniale, una serie di poltroncine di velluto azzurro sparse per la stanza e un divano di pelle. Tutto ciò che vedo ha colori chiari e sgargianti, come una luce che ti colpisce in pieno gli occhi, e ne rimango attratta, ma non oso entrare.
-Ti prego, accomodati. Sei mia ospite, non voglio assolutamente che rimani fuori la porta! Non vedevo l’ora di rivederti!
E una sottile risata culla quel suono della voce, così sottile e delicato che penso di non averlo mai sentito in tutta la mia vita fino ad oggi. Sembra il sussurrare del vento tra i rami degli alberi o il delicato suono delle campanelle del mio scacciasogni che ho appeso in camera.
Di rivedermi??? Perché Wayne fa quella vocetta? Per cantilenare la mia paura forse? E se ci fosse qualcun altro nella stanza? Muovo un timido passo verso l’interno.
Da dietro l’angolo appare LUI con le labbra contratte in un sorriso delicato e imbarazzato al tempo stesso, due profondi e penetranti occhi scuri e uno sbarazzino naso all’insù, il tutto contornato da dei riccioli neri. E’ un po’ affaticato, come se avesse appena compiuto uno sforzo eccessivo per il suo esile corpo, ma nell’insieme perfetto. Mi sembra di stare assistendo all’apparizione di un angelo. E’ come se, dall’istante in cui è comparso, tutto il mondo si sia fermato, un universo pieno di luce in cui ci siamo solo io e lui. Rimango paralizzata sulla soglia. Sgrano gli occhi. Il cuore mi batte in modo così veloce che alle volte sembra che si fermi, il respiro si fa sempre più corto e irregolare, le gambe riprendono di nuovo a tremare, peggio di prima, e lo stesso fa il mio labbro inferiore che non riesce a sorridere per la troppa emozione. Lo stomaco mi si stringe come in una morsa alla vista del suo sorriso, il sorriso più bello e genuino che abbia mai visto. Perché in queste situazioni non so gestire le emozioni come mia madre? Inizio a sudare, poi gli occhi mi si inumidiscono. Mi ripeto “No, no!”, ma poi succede. Inizio a piangere, come non ho mai fatto prima di allora, lacrime che sembrano essere state trattenute per chissà quanti anni, ho il mio sogno proprio davanti, tutto per me e ho quasi paura che scappi troppo in fretta. Porto la mano davanti alla bocca e muovo qualche meccanico passo verso di lui. Il mio pensiero sarebbe quello di abbracciarlo, ma non ci riesco, mi sento incollata al pavimento. Lui mi sorride dolcemente e viene in mio soccorso, circondandomi i fianchi con le sue braccia. Mi lascio avvolgere, senza poter più scorgere il suo viso, ma percepisco il buonissimo profumo che ha impresso sulla pelle. E’ incredibilmente più alto di me, così la mia testa poggia sul suo petto e sento il cuore battergli forte quasi quanto il mio. Sono nella più totale confusione, non capisco più niente, ma lui è qui con me e per ora conta solo questo.
E’ arrivata la luce della mia stella a colmare questo vuoto.
La sensazione è talmente bella che non riesco più a dire nulla, ma sento il bisogno di questo abbraccio dalla persona che ho atteso per così tanto tempo. Tutti questi anni passati ad osservare foto e video da uno schermo e ora sono tra le sue braccia. Non sono sicura che non sia tutto frutto della mia fantasia, cioè, sto abbracciando Michael Jackson!!! Lo stringo forte a me, come per accertarmi che sia reale e sento le sue braccia avvolgersi dietro la mia schiena. Chiudo gli occhi, mentre le lacrime continuano a scorrere e vorrei tanto che questo momento fosse bloccato con un telecomando per trascorrere l’eternità con lui. Vorrei immortalarlo per poi tenere la foto preziosamente custodita, guardarla e ricordarmi di lui, del suo profumo, del suo dolce sguardo, del suo sorriso…
-Michael…
Tra un singhiozzo e l’altro le mie labbra riescono a pronunciare solo il suo nome prima che dai miei pensieri venga completamente cancellato anche quello. Ho atteso questo momento per tutta la vita, l’ho sognato, l’ho immaginato davanti a me, ho creduto di poterlo ringraziare e dirgli quanto lo amo, e ora dalle mie labbra esce a fatica il suo nome. Le lacrime mi rigano la guancia e inumidiscono la sua camicia.
-Shh…- mi sussurra dolcemente. –E’ tutto okay. Vieni dentro. Ti aspettavo.

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