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-Michael, non vedo niente con questa benda! Dove stiamo andando?
-Lo vedrai presto, tranquilla.
Questa cosa mi innervosisce un po'. Vedo solo un'immagine davanti a me, un po' sfocata, che mi è rimasta impressa durante il viaggio in macchina: un cartello, proprio all'inizio di un viale e la scritta 5225 Figueroa Mountain Rd. Los Olivos. Sì, siamo andati a nord di Los Olivos per circa... 8 km più o meno. Non saprei dire di più. C'è un odore di resina e di terra bagnata nell'aria. Cerco di capire su cosa sto camminando: all'inizio dava tutta l'impressione di essere una comune strada asfaltata, ma ora è cambiato. In questo momento sto camminando su quello che sembrerebbe un mattonato.
-Ho paura di inciampare- dico ridendo.
Tendo le mani per vedere se c'e qualche ostacolo. Qualcuno corre davanti e me le afferra. Sento un tuffo al cuore e un improvviso calore che si sprigiona dalle mani per poi diffondersi velocemente in tutto il corpo. Arrossisco.
-M-Michael, sei tu?
-Sì. Attenta che c'è una pietra più avanti.
La scavalco (almeno credo) e continuo a camminare cauta.
Stringimi forte le mani e portami con te. Sono convinta che la notte sembrerebbe meno spaventosa se solo rimanessi insieme a me.
Improvvisamente mi lascia. Un gran vuoto.
-Hey, dove stai andando? Non mi piace questo scherzo!
-Continua a camminare- mi ordina nella più totale tranquillità ed io faccio come mi dice.
Avanzo lentamente fino a quando non mi pare di toccare delle sbarre di ferro molto fredde. Rabbrividisco. Qualcuno mi scioglie la benda. Stropiccio un po' gli occhi per abituarmi alla luce dei lampioni. Il paesaggio è cambiato completamente e si vede il netto contrasto tra l'erba bruciata dal sole e quella verde smeraldo che si trova oltre uno steccato bianco che delimita la proprietà. Alzando la testa vedo che sopra di me si innalza un enorme cancello nero e dorato, circondato da un muretto di mattoni rossi, con la scritta NEVERLAND, con un leone e un unicorno dorati su entrambi i lati e il motto "Honi soit qui mal y pense" -Guai a chi pensa male-, la riproduzione in oro del blasone del Regno Unito. C'è anche un'altra frase in francese: "Dieu et mon droit" -Dio e il mio diritto-. Il nome Michael Jackson è incastonato in un decoro a forma di corona. Ai lati opposti del cancello due aiuole di fiori e un cartello basso di legno con su scritto "Michael Jackson". Sul muretto di mattoni rossi c'è un logo, ovvero un bambino che indossa un pigiama intero ed è seduto sulla luna, molto simile al logo della DreamWorks. Come scoprirò in seguito, questo logo è disseminato in grande quantità in ogni parte di Neverland: sui cartelli, sugli autoscontri, sul parcheggio del bus, perfino sul pavimento.
Porto una mano alla bocca. Non riesco a parlare. Neanche i cancelli dei palazzi delle favole sono così regali e spettacolari. Michael mi raggiunge da dietro, probabilmente perché non mi vede ne' dire una parola né muovermi. Il mio sguardo è perso nel vuoto, all'interno di quella cancellata che sembra veramente una porta per il paradiso, e le mie mani sono ancora serrate a pugno sulle sbarre. Il ricordo di quell'umile cancellata marrone che avevamo attraversato all'inizio svanisce lentamente...
Michael, spalancando le braccia, mi presenta questa proprietà come se fosse una persona. -Here we are. This is Neverland.
-È questo il famoso ranch di cui tutti parlano? Alla fine lo hai acquistato?
-Recentemente- conferma. -Infatti c'è ancora qualche lavoro in corso.
Mi giro di scatto e l'abbraccio. Michael sa realizzare sogni che neanche penseresti di avere e ti riesce a tirare su di morale quando sei convinta che nessuno ti riesca a capire.
Michael rimane sorpreso dalla mia reazione.
Mi appoggio con la schiena al pilastro del cancello e fisso un punto imprecisato del giardino, in lontananza, dove l'erba è illuminata dai lampioncini e le querce si ergono erette dal terreno. Nulla riesce a farmi distogliere lo sguardo dal paradiso circostante.
-Non avrei mai immaginato una cosa del genere...- sussurro mentre Michael si appoggia accanto a me.
Sorride. Il delicato tocco delle sue dita affusolate scorre leggiadro sulla manica del mio giubbino, per poi scendere fino al palmo della mano, incredibilmente più grande del mio. Sento un calore sprigionarsi da quel tocco delicato, proprio mentre le sue dita si intrecciano nelle mie.
-Andiamo?
Dovunque, basta che ci sei tu al mio fianco.
-Sì, andiamo.
Le porte del cancello si spalancano e davanti a me appare il posto più magico della Terra. Distese e distese a non finire di prati e querce. Sulla sinistra c'è un piccolo negozio di dolciumi; in vetrina si vedono manichini in costume in una Hollywood stile anni '50. In lontananza scorgo il profilo delle giostre che ora sono spente e una piscina enorme, con tanto di trampolino e scivoli. Le luci di piccoli fari e lampioni danno un tocco di magia; alcune luci sono perfino incastonate nel viale tra un mattone e l'altro o sulla corteccia delle querce, illuminando le goccioline di rugiada sul prato. Da altoparlanti nascosti in finte rocce sistemate sul terreno proviene una dolce musica, alternando brani classici a quelli della Disney.
-Dove siamo esattamente?- chiedo incuriosita.
-Santa Barbara, in California.
-Non posso crederci! E' più grande di quanto me lo immaginavo.
-Circa 3000 acri.
-Quanti?- credo di non aver capito bene.
-3000- ripete irremovibile.
Mi diverte il pensiero che non gli basterebbe una giornata intera per fare il giro di tutto quel ranch.
-Anche io quando ho messo piede qui per la prima volta mi sono meravigliato della grandezza e bellezza di questo posto!- mi racconta Wayne mentre trasporta i bagagli.
Dopo aver percorso tutto il viale, Wayne ci apre le porte di quella che a prima vista sembra una casa e ci lascia entrare.
Se la parte esterna di Neverland è stupenda, la parte interna non è da meno. Tutta completamente in legno, i pavimenti con assi di legno lucido, le pareti di quercia e il soffitto di travi. In alcuni punti, come ad esempio ai lati di un fantastico camino, il muro è fatto di mattoni. Inoltre, per ogni finestra ci sono delle piccole colonne, proprio come nei castelli. Tutto questo servirebbe già a dare un'idea di dove mi trovo! Subito sulla destra c'è una stanza con un caminetto e al suo ingresso la statua di un anziano cameriere con un vassoio pieno di pietanze. Alle pareti ci sono fotografie grandi e piccole che ritraggono Michael nelle pose più disparate e all'angolo della stanza c'è un bellissimo pianoforte nero, anch'esso pieno di fotografie che ritraggono la famiglia di Michael e specchi con accanto un'insolita statua romana. Una cosa che mi colpisce molto sono i numerosissimi dipinti ad olio, come quello che ho di fronte su cui è ritratto Michael e ce n'è uno con lui alla guida di una processione di bambini. Come noto ben presto in giro per casa ce ne sono molti di quadri del genere. Ci sono tante cose dall'aria costosa e pseudo-artistica. Alla fine di un lungo corridoio intravedo quella che mi sembra una teca con UNA PARTE dei premi vinti da Michael.
-La tua camera da letto è al piano superiore. Vieni, ti faccio strada.
La guardia del corpo sparisce su per le scale, mentre noi le saliamo più lentamente. Fuori è notte fonda e la casa è silenziosa.
-In genere faccio sempre fare un giro della casa ai miei ospiti, però per il momento ti lascio sistemare con calma le tue cose.
-Va benissimo.
-Lo so che è tardi, ma volevo chiederti se, quando finisci di sistemare i bagagli in camera, verresti di nuovo qui nell'atrio.
-Okay.
Vorrei tanto sapere perché dovrei andare nell'atrio, in piena notte, ma non chiedo nulla. Mi lascerò sorprendere. Dopo le scale c'è un altro lungo corridoio, ma questa volta alle pareti sono appesi tanti quadri che ritraggono Peter Pan e altri personaggi dei cartoni animati.
-Li hai disegnati tu?
-Sì.
-Sono bellissimi!
-Grazie. Adoro Peter Pan, io sono Peter Pan. E' la rappresentazione dell'infanzia che volevo. Essere un eterno bambino e non crescere mai, facendo tutto ciò che volevo.
-Ma è così o sbaglio?
-In che senso?
-Io ti vedo come un eterno bambino nel corpo di un adulto, sempre pronto a scherzare e divertirsi. Una persona che sta bene con i bambini per la loro sincerità e il loro modo di affrontare la vita, senza problemi.
-E' così infatti.- Mi interrompe. -Lo faccio perché in loro rivedo l'infanzia perduta. Vedi, io non ho mai potuto fare quello che volevo. Vedevo gli altri bambini giocare e divertirsi al parco, mentre io dovevo provare con i miei fratelli. Spesso ero preso in giro. E' stata una scelta: o sei dentro o sei fuori. Penso alla mia fama, alla popolarità, e li ho voluti davvero, li ho voluti perché volevo essere amato... perché non mi sono mai sentito veramente amato. Io adoro condividere il mio talento con i fans, ma ne pago il prezzo. Non posso uscire liberamente, non posso fare nulla che tutto viene immediatamente riportato sui giornali, non posso condurre una vita NORMALE... Più passa il tempo e più diventa una cosa ingestibile e alle volte anche le mie guardie del corpo sono impotenti davanti a tutto questo. Loro lavorano duramente e io lo vedo benissimo- Fa una pausa. -Una volta ero in mezzo ad una folla e a un certo punto una ragazza ha iniziato ad urlare il mio nome. Fu il caos più totale. In un primo momento, per educazione, sono stato costretto a salutare tutti, ma per evitare il peggio me ne sono dovuto andare. Non è stata una bella esperienza-
Non so cosa dire e ho imparato che se non si sa cosa dire è meglio stare in silenzio. Arriviamo davanti alla mia camera. Apro la porta e trovo il trolley già dentro, posato ai piedi del letto. Sento che quest'estate sarà tanto bella quanto difficile, ma non mi interessa. La fama non rovina, distrugge. Saluto Mike e faccio per chiudere la porta, ma mi blocca la mano mettendo la sua sopra.
-Mi dispiace tanto per essermi sfogato in questo modo con te, ma a volte mi serve qualcuno con cui parlare.
-Tranquillo, non è successo niente. Anzi, quando vorrai parlarmi di qualcos'altro, io ora sono qui.
-Grazie- scrolla le spalle come per lasciarsi i problemi dietro di sé, chiude per un attimo gli occhi e sfodera il suo sorriso abbagliante.
-Fai come se fossi a casa tua! Ah, sul comodino c'è un telefono. Se ti serve qualcosa, basta che alzi la cornetta e digiti il numero che c'è scritto sopra. Wayne arriverà in un attimo.
Annuisco.
-Io ti aspetto giù, fai con comodo. La ricordi la strada?
Annuisco di nuovo.
-Michael?
-Sì?
-Lo sai che tu per noi fans sei il nostro Peter Pan, vero?- dico sorridente. -Non importa quanto puoi essere famoso o quanto la tua vita sia difficile, tu ai nostri occhi sarai per sempre Peter Pan, l'eterno bambino, e nulla cambierà questo.
Rimane per un attimo esterrefatto dalle mie parole, poi sussurra: -E' per il vostro sostegno e la vostra continua fede in me che vi amo! Ma, Claudia, se io sono Peter Pan avrò bisogno di una Wendy, non credi?- Faccio di sì con la testa sorridendo.
-Ti va di essere la mia Wendy?
-Sarebbe un grande onore per me, Peter -e accenno ad un piccolo inchino.
Michael se ne va e con una strana sensazione addosso, simile ad una leggera ma piacevole scarica elettrica che mi attraversa tutto il corpo, chiudo la porta.

Che stanza da urlo! Divano, poltroncine, studio, bagno, letto matrimoniale... Ho il mio appartamento nella camera! E' talmente folle l'idea, ma c'era da aspettarselo. Apro il trolley e lo svuoto per l'ennesima volta. Maglie, pantaloni, scarpe, beauty case, rivolto tutto sul letto.
Dovrei chiamare anche i miei genitori, ma ormai si è fatto tardi. Sentire la voce di persone di cui mi circondo abitualmente e che ora sono a chilometri di distanza da me è come un ritorno alla realtà.
Mi lancio sul letto che mi fa fare un piccolo rimbalzo come su un tappeto elastico.
Io? La sua Wendy? La strana conversazione tenuta qualche minuto fa mi ritorna in mente insistente, insieme al tocco della sue dita sulla mia pelle, la sua dolce voce persuasiva e gli occhi con quello sguardo che trafigge il cuore. "Chissà che cosa faremo questa notte". Tiro un sospiro. Non mi resta che scoprirlo.
Il corridoio è buio e dalle numerose finestre posso godere della meravigliosa vista della luna circondata dalle stelle. Mi sento fissata da tutte le foto che ritraggono Michael, troppo fissata, ma è stranamente piacevole e in quegli sguardi rivedo tutte le mie stampe attaccate all'armadio nella camera. Ricordo perfettamente la strada e in breve arrivo alla scalinata. I gradini di legno scricchiolano al ritmo dei miei piedi che scendono lentamente le scale. Anche nell'atrio le luci sono spente ed è tutto buio. Cammino piano per paura di inciampare in qualche cosa. Non sono abituata alle case così sommerse di oggetti, a dispetto della mia casa a Roma sempre ordinata e con neanche un oggetto fuori posto.
Dov'è Michael? Mi guardo un po' intorno, ma non vedo nessuno. Poi una voce mi fa sobbalzare.
-Non hai avuto difficoltà a trovare la strada?
E' seduto su un divanetto, con le gambe incrociate. Si alza e viene verso di me, cingendomi una spalla col braccio. E' fantastico, anche col buio riesco a vedere i suoi occhi scuri e profondi.
-Vieni con me, ho tante cosa da farti vedere.
Gli sorrido e mi lascio guidare nell'oscurità della villa. Forse non vuole accendere le luci per non svegliare gli altri. Ma gli altri chi? Tranne noi e la guardia del corpo non c'è nessuno. O forse no...

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