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Per strada è tutto deserto, c’è un silenzio di tomba, ma nella mia mente si affollano i pensieri. Sono arrivata fino alla piazza. La libreria è chiusa, ma un piccolo faretto illumina la vetrina mettendo in mostra i libri. Continuo a camminare. Mi guardo a destra, a sinistra, non c’è nessuno. In testa batte il ritmo di Billie Jean e senza neanche accorgermene inizio a ballare sotto il porticato completamente buio, dato che l’illuminazione più vicina è un lampione posto all’angolo della piazza. I miei movimenti mi sembrano uguali a quelli di Michael; se qualcuno mi vedesse probabilmente penserebbe che sono matta. La musica è solo nella mia testa, ma sembra così vera… Arriva il momento del moonwalk, mi preparo, tiro un sospiro e scivolo all’indietro. Sono così contenta che mi sia uscito. Improvvisamente <<BAM>>, sbatto contro qualcosa o forse, più semplicemente, contro qualcuno. Mi volto e divento bollente in viso. Lo sapevo che avrei fatto la figura della ragazza fuori di testa. Un uomo alto, magro, imponente, mi fissa. Ha un lungo soprabito nero, degli occhiali da sole dalle lenti molto scure e il cappuccio di una felpa grigia che gli copre completamente il viso. Ho un sussulto, faccio un piccolo e timido passo all’indietro e vorrei darmela a gambe, tornare a casa e dimenticare tutto quello che è successo, ma qualcosa mi immobilizza e mi spinge a rimanere. Panico? Paura? O curiosità? Non saprei definirlo.
-Mi-mi scusi tanto…
Non sembra ascoltare le mie scuse. Approfitto di quell’attimo di silenzio per muovere qualche altro passo all’indietro e cercare una via di fuga. Sono letteralmente nel panico. Solo che qualcosa mi fa di nuovo bloccare di colpo.
-Wow! Ti muovi proprio come Michael Jackson!
Caspita, parla inglese! E adesso? E ha una voce sottile, ma molto dolce, è così confortevole… Non posso fare la doppia figura della stupida che non sa neanche rispondergli. A dire la verità non è proprio inglese, è quasi di tendenza americana, ma spero che mi capisca lo stesso…
-Davvero? Beh, grazie. Anche lei è un suo fan?
-Mmmh…- sembra quasi in difficoltà a rispondermi. –Sì. Diciamo che mi piacciono le canzoni, ma non lo conosco benissimo.
Non capisco se mi stia fissando da dietro le lenti, ma sembra proprio di sì. La debole luce del lontano lampione fa intravedere un ciuffetto ribelle di capelli ricci e neri che è scappato dal cappuccio della felpa. Man mano che camminiamo ne escono sempre di più e gli cadono sulle spalle come una cascata, ma lui si affretta a risistemarli ordinatamente nel cappuccio. Anche se all’apparenza sembra tenebroso, stranamente non ho paura, infonde gioia e protezione parlare con lui. Ha una voce calda, candida e molto bassa, sembra appena un bisbiglio, un sussurro. Non sembra avere cattive intenzioni. Senza accorgercene, in silenzio, cominciamo a camminare e ora ci ritroviamo nella piccola piazza, proprio di fronte alla mia libreria. Lui si affaccia un attimo alla vetrina, portando una mano davanti agli occhi per vedere nell’oscurità e, ne sono sicura, rimane a fissare per qualche istante il libro di animali. Che gli piacciano? Osservo i lineamenti del corpo nascosto nel cappotto. Il fisico slanciato, il profilo delle spalle larghe ben delineato mi fanno sentire attratta da lui, come se dietro quel travestimento si nascondesse qualcosa di più. Uomo o ragazzo? Direi ragazzo dalla voce, ma per come è conciato non saprei dirlo con precisione.
-Cosa è successo a quel parco giochi?– e indica il mucchio indefinito di pezzi scollegati che giace a terra, quel che resta di un bellissimo parco giochi.
-Vandali– rispondo in tono sprezzante –Ho molta nostalgia di quelle giostre. Da piccola ci venivo sempre con mio padre, sulle altalene, sugli scivoli… e poi, da un giorno all’altro, raso al suolo durante la notte.
Parlare con lui mi fa rievocare momenti felici della mia infanzia. Ma perché ho sentito il bisogno disperato di confidargli questo piccolo ricordo? Non è la persona adatta!
-Come  ti chiami?- mi chiede ancora lo sconosciuto, costringendomi a distogliere a forza lo sguardo dal suo corpo e puntarlo sul cappuccio.
Non è una cosa prudente rivelare il proprio nome ad uno sconosciuto, soprattutto se è notte e non riesco a vederlo in faccia, ma, mentre penso a cosa fare, ho già risposto.
-Claudia. Mi chiamo Claudia.
-Mi sembri molto giovane, che cosa ci fai da sola, di notte, per strada?
-Oh, beh, il fatto è che sono pensierosa e non riuscivo a prendere sonno…
Vorrei raccontargli tutto, in realtà: dalla rivista, al concerto del mio cantante preferito, al problema che non so come prendere i biglietti né come arrivare a Londra… ma è pur sempre uno sconosciuto e anche se desidero sfogarmi con qualcuno, quella non mi sembra di certo la persona più adatta. Ho già rivelato troppo di me, ora voglio sapere chi è lui.
-E lei? Che cosa ci fa lei per strada a quest’ora?
-Mi piace la città di notte– risponde in tono misterioso. -Niente traffico, niente caos, solo silenzio.
Lo sconosciuto ha proprio ragione, anche io adoro la città di notte, ma, non so per quale motivo, non glielo dico.
-Lei è inglese, vero? O americano? Ha uno strano accento…
-Un po’ e un po’– risponde nuovamente lasciando un alone di mistero sulla sua provenienza. Ma cosa vorrà significare? Come si fa ad essere “un po’ e un po'”?
Emana uno strano calore dal soprabito e sembra quasi che lo usi per coprire il volto piuttosto che per ripararsi dal vento fresco della notte. Tossendo prima di rispondermi, conclude: –Sono qui solo di passaggio.
-Qual è il suo nome?
Sembra che arrossisca, ma forse è solo un’impressione. Non si capisce molto bene.
Improvvisamente inizia a piovere.
Sorridendomi, con un cenno della mano mi saluta, si incammina per la strada e, in un attimo, è già sparito. Al suo posto c’è qualcos’altro. Due pezzi di carta ripiegati.
-Hey!!!- gli grido da lontano. –Le sono caduti questi!
Ma ormai è inutile. La strada è deserta, come se lo sconosciuto si fosse dileguato nel nulla, ma sembra abbia lasciato una scia luminosa come unica prova della sua presenza qui accanto a me fino a qualche istante fa. Strizzo gli occhi e la scia scompare. Sto sognando? Sono diventata pazza? Non ho il tempo di andare alla luce e vedere cosa siano quei pezzi di carta, si bagnerebbero, così li infilo in una tasca del giacchetto e corro spedita verso casa. Nella testa continua a risuonarmi la voce dello sconosciuto e tutt’attorno mi sembra di avere un’atmosfera surreale, non di certo Roma. Stupida pioggia estiva, non poteva ritardare di una notte? Ma che dico? Cosa mi prende? Ho cominciato una conversazione stranissima con uno sconosciuto pochi minuti fa e… Come fa a mancarmi? Non lo so, so solo che vorrei fosse ancora qui.

A casa tutto è buio, tutto è silenzio. Nessuno si è svegliato o si è accorto della mia mancanza. Torno senza fare rumore nella mia stanza e di colpo mi addormento, come se tutto fosse stato un sogno…

We are ForeverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora