Il corpo della ragazza giaceva stanco sul morbido materasso.
Sorrisi incontrando i suoi occhi "ti amo" sussurrai al suo orecchio mentre qualcuno bussava alla porta.
La mora si alzò di scatto in preda al panico "c-chi è?" Chiese arrossendo leggermente "Michael, non scomodarti a vestirti. Avete svegliato mezzo hotel. Comunque la mamma è incazzata come una iena, domani vuole vederti per parlare" disse suo fratello dall'altra parte della stanza.Fece cadere di nuovo la testa sul cuscino e si girò dalla mia parte con le labbra socchiuse, gli occhi che si guardavano pigramente in giro e il nasino arricciato "ti amo anche io e non riesco a dirtelo senza aggiungere ogni volta che hai l'anima più bella che abbia mai conosciuto" mi disse, facendomi sorridere compassionevole, perché era la sua l'anima angelica e bianca.
Le posai un bacio sulla fronte, presi Peter e lo misi sotto le coperte con noi due.Era la notte di natale e io avevo ricevuto il regalo più bello di sempre. Avevo ricevuto la ragazza che mi aveva rubato il cuore. Avevo indietro di nuovo il mio cuore.
Ci guardammo per tutta la notte, credo. Forse erano solo pochi minuti.
Si addormentò con la testa appoggiata al mio petto e Peter tra le braccia.Quando ero bambino, sognavo che un giorno quella bimba mi sarebbe venuta a parlare, che mi avrebbe chiesto il mio nome, che mi avrebbe amato e che mi avrebbe capito infondo.
A dieci anni realizzai che non sarebbe mai successo, così mi decisi a parlarle. No, ero troppo timido e non ce la feci.
A dodici anni una ragazzina mi ha baciato. In quel momento Brooklin mi era passata dalla testa per alcuni istanti. O meglio, il suo corpo era stato rimpiazzato da un'altra persona.
Ogni volta che vedevo quella bambina, era come vedere la salvezza per me.
A quattordici anni capii che quella non era una cotta passeggera e che anche se ero innamorato, non avrei potuto dimenticarla tanto in fretta, così iniziai a vedere tante ragazze. Ogni volta le baciavo come se non ci fosse più un domani per togliermi dalla testa per alcuni istanti Brooklin.
A quindici conobbi una diciassettenne. Mentii sulla mia età e mi portò a letto. Da lei imparai tutto quello che sapevo.
Ero ancora un bambino, la prima volta che lo feci. Stavo lì, tutto tremante con le labbra che mi pulsavano. Ero così magro che le costole si vedevano attraverso la pelle.
Fu la prima volta che mi piacqui veramente, nonostante il mio aspetto.
A sedici ero caduto nell'oblio del sesso. Iniziai a mangiare così tanto da scoppiare, andare in palestra, bere alcolici, uscire in compagnia, rispondere malamente a tutti e così diventai amico di Nate Byron.
La notte entravamo nei pub e nelle discoteche e tutti gli occhi erano puntati su di noi, facevamo delle scommesse e a partire da mezzanotte, rimorchiavamo femmine.
Byron entrò nella mia testa e mi tolse la ragione. Iniziai a spingermi sempre più in là con le fanciulle. Dai baci passai alle palpatine, dalle palpatine al minimo piacere fisico, per poi arrivare al sesso.
A Londra non mi conoscevano tutti. Sapevano chi io fossi solo le ragazze che venivano da me e che cadevano volontariamente nella mia trappola.
I miei occhi dolci ingannavano, il mio sorriso confondeva, i miei gesti rassicuravano.
Per un anno e quattro mesi continuai così la mia vita, arrivando alle cinque del mattino sempre così ubriaco da non ricordarmi il mio nome.
Odiavo le donne. Le odiavo con tutta la mente. Le odiavo ma non potevo farne a meno.
Il ricordo di Brooklin era così sfocato con l'alcool da tenerla lontano dal mio cuore e far di lei un immagine qualunque.
Volevo sempre di più. Delle volte non mi bastava una femmina sola, ma anche due o tre insieme.
Il mio cervello chiedeva aiuto, il mio corpo reagiva vomitando e piangendo. La mora tornava nei miei occhi chiusi.
A casa mia urlavo così tanto che la mia sorellina correva da nostra madre. I miei genitori erano preoccupati per me e quelle poche volte che rientravo a casa lucido, mi spedivano da mia nonna.
Qualche mese fa, ero a mensa e la guardavo "Ti piace quella?" Chiese Nate e io non risposi.
Nella mia testa cercavo di convincermi che senza di lei sarei riuscito ad andare avanti. Ero bello, muscoloso, alto e bravo a letto. Tutti mi avrebbero desiderato, ma lei non mi vedeva neanche. Ero invisibile.
"Cazzo, Shawn. È brutta" aggiunse, facendomi girare verso di lui "Pensa ai cazzi tuoi, Byron." Lo guardai così male che stette zitto.
Lei aveva una cotta per lui ed io lo notavo. Lui aveva quasi ribrezzo per lei ed io lo sapevo.
Pensarci mi faceva così male da farmi incazzare e andare a ubriacarmi.
Era inutile. Non usciva più dalla mia testa.
Una soluzione non riuscii a trovarla, così decisi di farmi deludere da lei, in modo da odiarla.
Iniziai a non uscire con così tante ragazze, a bere di meno, a cantare di più e a rimanere chiuso in casa.
Ero arrivato al punto di rimanere con la testa nascosta dal cuscino per ore.
Niente mi rendeva felice, niente mi dava una ragione di vivere, niente sembrava funzionare. Vivevo la mia vita meccanicamente, eliminando tutto quello di superficiale.
Stare da mia nonna mi aiutava a pensare, a riaggrapparmi al mondo, a piacere di nuovo a me stesso per quello che riuscivo a tirare fuori dalle mie canzoni.
Erano tutte dolci e cantante così leggermente da sembrare irreali. Era un peccato tenerle per sé. Le cantavo con il cuore, ogni volta ripensando senza volerlo alla mora.
Mi fermavo ogni volta che il pensiero passava per la mia testa. Imprecavo. Talvolta piangevo.
Una sera suonai immagination e mi misi ad urlare così forte che mia nonna entrò in camera e stringendomi tra le braccia mi comunicò che quel momento sarebbe passato, che il mio cuore sarebbe tornato intero e al suo posto.
Non ho mai sorriso molto, nella mia vita.
Quel giorno vidi Nate trattare male una ragazza, non sapevo chi fosse. Era a terra, impolverata.
Mi avvicinai tra le poche persone ancora presenti e automaticamente mi inginocchiai ad allacciarle la stringa.
Quando guardai nei suoi occhi, mi venne la pelle d'oca.
Non credevo che fosse lei.
Forse Dio mi volle torturare mettendomi davanti il motivo del mio dolore e della mia esistenza.
Ero così scosso che mi venne voglia di vomitare. Non lo diedi a vedere e sorrisi come se niente fosse.
Corsi a casa senza fiato stramazzando al suolo della mia stanza e rimanendoci rannicchiato per ore, fin quando, ripensandoci, mi misi a tirare calci e pugni al pavimento.
I miei genitori intervenirono. Mio padre mi teneva per un braccio, mia madre per l'altro. Mia sorella era in braccio a mia nonna e guardandomi negli occhi si mise a piangere.
Rivoleva suo fratello.
I miei parenti insistevano. Dovevo farmi vedere da uno psicologo, o forse da uno psichiatra, dato che mia madre, quando veniva la notte a vedere come stessi, mi vedeva osservare il soffitto ancora vestito, sotto un magnifico cielo stellato con il volto senza espressione.
Qualunque cosa mi ricordava lei. Il cielo soprattutto. Ricordavo sempre che dormivamo sotto di esso, protetti dalle stelle.
La sera del mio primo incontro con la mora, i miei genitori mi portarono a casa loro per una cena. Quando vidi gli occhi di suo padre iniziai a sentirmi in gabbia, così chiesi di poter andare in bagno.
Lì, mi sciacquai gli occhi con l'acqua gelata per nascondere il rossore e una volta rientrato in sala, la vidi che in tutto il suo splendore si girò verso di me, fissando i miei occhi.
Mi mancò il respiro ma sorrisi presentandomi e quando le sfiorai la mano calda e morbida, i miei polmoni erano scappati altrove.
Mi sembrava di conoscerla da anni.
La prima volta che ci baciammo, il mio cuore batteva così forte da far male. Volevo dire tutto.
Quando tornavo a casa, mia nonna mi sorrideva vedendo che ogni giorno miglioravo.
La notte ricominciai a dormire solo per il semplice fatto che era sempre nei miei sogni, andavo a scuola per vederla all'intervallo, camminavo con lei fino a casa per conoscerla meglio.
Quando decisi di attuare il mio piano di essere deluso da lei, non credevo di diventare il suo punto di riferimento.
Per lei diventava tutto più facile, per me tutto più difficile.
Baciarla mi ricordava che non sarebbe mai potuta essere mia, accarezzarla mi ricordava che nel suo corpo c'era l'anima più pura di Londra, guardarla mi ricordava i motivi per cui mi ero innamorato di lei.
Prima di partire per Toronto con lei, registrai il CD. Lo sapevo che sarebbe andata a finire così, per questo lo feci.
Quando mi disse che forse aveva preso una cotta per me, ero spaventato, credevo di averle rovinato la vita.
Passai due giorni in giro per Toronto, la maggior parte del tempo nel mio posto felice.Era troppo doloroso non vederla, ma lo era altrettanto vederla indecisa.
Forse a sentire le canzoni che le avevo dedicato, aveva capito che io la amavo più di qualunque altra cosa, impossibile da descrivere, più forte dell'amore.
La prima volta che parlai con suo fratello, lei credeva che mi avesse parlato male di lei ma non fu così, mi disse "lo so che sei innamorato di lei. È fragile, trattala bene, non ha ricevuto amore. Non lo conosce ancora" mi chiese anche di non dirle niente.
L'idea che si potesse trasferire a Toronto mi distruggeva.
Come avrei fatto a starle lontano? Ricordavo bene tutti i suggerimenti che le diedi per conquistare Nate.
Molte di quelle parole erano i miei gusti, non quelli di Byron.
Lo supplicai di uscire con lei "perché dovrei farlo?" Domandò egoista. Gli dissi che doveva farlo perché l'amavo e lui sbuffò ansioso.
Lo mandai a fanculo perché Brooklin provava qualcosa per lui, lo feci perché non c'era giustizia nel mondo, lo feci perché volevo avere io quell'opportunità.Ciao bellizzimi
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°Sex lessons°Mendes -IN REVISIONE
Fanfiction'Nate Byron. Il figo della scuola, alla quale vado palesemente dietro dalla seconda media. È sempre stato il mio sogno. Fino a quel giorno. Quando un ragazzetto moro scombussolò la mia vita. Shawn Mendes.' CONTENUTI MATURI A PARTIRE DAL CAPITOLO 39.