(R) Capitolo 7: Un amico inaspettato (2/2)

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Rose aveva trovato Urchin allo studentato, nella sua vasca da bagno, mentre giocava coi saponi artigianali di Ilenia.

«Che profumo! Che delizia!» aveva gridato la creaturina con la sua vocetta da bambino, mentre usava il pendio della vasca per fare delle scivolate e sprofondare nella montagna di bolle che stava straripando sul pavimento.

Non appena Rose aveva acceso la luce e si era ritrovata davanti quel piccolo sgorbio, aveva emesso un grido soffocato. Era caduta all'indietro, ma il suo tentativo di aggrapparsi alla tendina della vasca non era servito a niente. Aveva sbattuto la testa contro il muro e aveva perso i sensi sul colpo.

Si era ripresa poco dopo, stesa sulle piastrelle del bagno, con la mente annebbiata. La nuca le pulsava ed era bollente, ma il dolore si stava affievolendo. Le era quasi sembrato che delle piccole manine stessero affondando fra i suoi capelli. Aveva chiuso gli occhi solo per due secondi e si era ritrovata la creatura in piedi sul petto, le minuscole mani sui fianchi esili. L'essere non era più grande del righello che Rose aveva usato alle elementari, e indossava un vestito microscopico che ricadeva dritto sul suo corpo esile.

«Tutto bene, spilungona?» le aveva chiesto il mostriciattolo.

Rose aveva aperto la bocca come un pesce rosso ed era scattata a sedere. Si era portata una mano alla nuca e si era tastata la ferita. Era incredibile, ma non c'era nessuna traccia di sangue, nemmeno un bernoccolo.

«Indovinato, ti ho guarita io» aveva sogghignato il demone.

Rose aveva fatto finta di non sentirlo. Era sicura di essere in preda alle allucinazioni e che fosse una pessima idea chiacchierarci.

«Ehi, la vuoi smettere di ignorarmi? Sono qui!»

Rose si era imposta di non guardarlo, tuttavia i suoi occhi le avevano disubbidito, e si era ritrovata a fissare la creaturina. Aveva raccolto lo scopettino per la polvere e glielo aveva puntato contro.

«Cosa... chi sei tu?» aveva sussurrato Rose, deglutendo a fatica. Non aveva mai visto un essere simile in tutta la sua vita. Sembrava uscito dall'illustrazione di un bestiario. La creatura aveva dei capelli viola, irti come aculei, e il suo viso, nonostante fosse antropomorfo, era una parodia dei tratti umani: era più allungato del normale, con un naso leggermente appuntito che le aveva ricordato il muso di un roditore.

«Sono un Urchin!» aveva esclamato lui, mentre un paio di ali simili a quelle di una farfalla emergevano dalla sua schiena. Aveva volato finché non era riuscito a guardarla negli occhi. «Sono un Folletto Verde, un monello giocherellone, un Folletto-Riccio!»

Rose aveva pensato di avere un'immaginazione troppo fervida ed era stata colta da una fitta di panico, quando aveva realizzato che con Alan era cominciata allo stesso modo, prima che si alienasse del tutto dalla realtà.

«E dimmi, Urchin, cosa ci fai nella mia vasca da bagno?»

«Tutto ciò che abbiamo è solo preso in prestito. Io ho solo preso in prestito ciò che tu hai preso in prestito» aveva ridacchiato lui, svolazzandole attorno a velocità sempre maggiore.

A Rose era cominciata a venire la nausea e aveva cessato di seguirlo con lo sguardo, lasciando cadere a terra lo spolverino.

«Senti... Urchin. Vai... vai via, per favore. Adesso io chiuderò gli occhi, conterò fino a dieci e, quando li avrò riaperti, tu sarai uscito dalla finestra e non ti farai più vedere, okay?»

Rose aveva aperto la finestra e si era seduta sulla tavoletta del water, premendosi i palmi sul viso. Aveva contato fino a dieci e, quando aveva riaperto gli occhi, Urchin era seduto sulle ginocchia e la stava fissando con aria divertita. Rose non si faceva prendere spesso dalla disperazione, ma in quel momento si era sentita come se fosse stata sul punto di piangere. Aveva trovato talmente ingiusto che dovesse toccare anche a lei; non bastava una sola persona squilibrata in famiglia?

Una sola consapevolezza la consolava: le visioni che aveva avuto Alan erano state di tutt'altra natura. C'era molta differenza tra folletti giocherelloni e banshee che risucchiavano l'anima.

«D'accordo. D'accordo, Urchin. Ho capito che non hai nessuna voglia di andartene, vero?»

«Precisamente.»

«Perché sei venuto proprio da me?»

Rose credeva che se avesse capito il motivo di quell'allucinazione, l'avrebbe scacciata.

Urchin si grattò il mento e il suo muso diventò ancor più simile a quello di un riccio, mentre il suo naso fremeva e annusava l'aria.

«Ci sono molte ragioni» mormorò, gesticolando animatamente. «Ho sentito il tuo odore quando ti ho vista tanto per cominciare, e mi è piaciuto molto. Credevo che la mia visita fosse gradita: gli Urchin portano fortuna, sai? Ci sono umani che mettevano offerte ovunque da cui non sono mai andato, ma sono venuto da te. E come non avrei potuto fare altrimenti? Questi saponi colorati che hai... ah, deliziosi! Era quello l'odore che avevo sentito su di te. Noi Urchin amiamo nutrirci di odori, oltre che di Sali. Questo odore mi ha proprio riempito la pancia, e ti ringrazio per la scorpacciata.»

«Figurati.» Rose trasse un sospiro di sollievo: un folletto monello che si trasformava in un riccio e si cibava di odori. Nulla di violento o spaventoso, grazie al cielo. La sua fantasia non era oscura tanto quella di Alan.

Per il momento, si rassegnò a convinverci.

Mundbora - L'ombra degli antichiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora