(R) Capitolo 10: Vigilia solitaria (1/2)

469 75 67
                                    

Una neve leggera e polverosa aveva ricoperto l'erba del giardino e la ghiaia del viale che portava a Ca' dei Glicini. Rose era affacciata a una delle finestre della sua stanza, il mento poggiato sul palmo della mano, e seguiva le correnti d'aria con lo sguardo.

La ragazza avvertì un leggero pungolare sull'orlo del maglione e vide che Urchin stava cercando di arrampicarsi sulla lana, aggrappandosi con le sue manine unghiate. Rose lo raccolse e se lo posò su una spalla, in modo che anche lui potesse guardare fuori. Il folletto aveva assunto la sua forma di riccio e le stava annusando il collo.

Rose gli diede un buffetto sul muso. «Smettila, mi fai il solletico!»

«Hai un buon odore» si lamentò lui. «Tua madre ha fatto qualche altro sapone di cui non mi hai detto niente?»

«Ho usato quello natalizio che ci ha fatto vedere qualche giorno fa. Ricordi?»

Urchin emise un verso d'approvazione e riprese a sniffarle il collo, strappandole una risata. Rose cercò di afferrare il folletto, ma lui le sgusciò fra le dita. Tutto ciò che le restò in mano fu una scarpa minuscola, grande quanto la guaina protettiva di un auricolare.

«Ridammi la mia scarpa!» Urchin si aggrappò alla sua mano e Rose sogghignò. Per quanto il folletto tirasse o arruffasse le ali, non riusciva a smuovere le sue dita di mezzo centimetro.

«Ti ridarò la scarpa solo se la smetterai di annusarmi i capelli ogni volta in cui esco dalla doccia.»

«E va bene, la smetto. Ma ridammi la scarpa. Fa freddo, sai. Rose? Che c'è?»

Urchin seguì il suo sguardo e notò che era fisso fuori dalla finestra, sul cancello elettrico in fondo al viale. Una luce lampeggiava nella neve.

«Sta arrivando qualcuno?» le chiese il folletto, riuscendo finalmente a recuperare la scarpa dalla sua presa allentata. Si sdraiò sulla schiena tentando di indossarla e cadde dalla scrivania, ruzzolando sulla moquette in un nugolo di polverina luccicante.

«Dev'essere Ann» sospirò Rose. Si chinò e raccolse Urchin, posizionandolo all'interno del collo, dove lui poteva aggrapparsi al suo maglione.

«Ann?»

«La mia sorellastra. Alan ha avuto un'altra compagna prima di Ilenia, quando ancora viveva in Scozia. Si chiamava Iris. Purtroppo è morta molti anni fa, di un brutto male. Alan ci ha messo molto per riuscire ad andare avanti senza di lei. Si è avvicinato a mia mamma solo dopo sei anni. Infatti Ann è più vecchia di me, ha ventott'anni.»

«Ma perché non l'ho mai vista?»

Rose arricciò il naso. Era difficile da spiegare. Ann era molto solitaria, ma, soprattutto, odiava Ca' dei Glicini: c'erano troppi ricordi di quando loro padre era ancora in salute fra quelle mura. Quando Alan aveva cominciato a non distinguere la realtà dalle sue fantasie, Ann ne aveva sofferto come se avesse perso l'ultima certezza che le rimaneva. Rose cercava di non darle fastidio perché conosceva il suo dolore, ma sapevano entrambe quanto la facesse infuriare il fatto che Ann evitasse la sua responsabilità verso Alan. Non lo andava mai a trovare, per lo stesso motivo per cui metteva piede a Ca' dei Glicini solo nelle feste comandate.

«Ann è un po' come un gatto, ogni tanto ti mostra affetto in modo esplicito, senza un motivo, ma per la maggior parte del tempo non la vedi neanche. Non sai nemmeno se stia bene o no. Sono sempre io a mandarle dei messaggi o a chiamarla» mormorò Rose, mentre scendeva le scale. Raccolse il giubbotto dall'attaccapanni all'ingresso e si calcò il berretto in testa. «C'è stato un periodo in cui era la mia migliore amica, quando ancora viveva qui e papà stava bene. Ci dicevamo tutto. Poi lei non si è più fatta vedere.»

«Forse le pesava troppo quello che era successo ad Alan» ipotizzò Urchin, mentre tastava con aria compiaciuta il morbido rivestimento interno del giubbotto.

Rose gli aveva raccontato ciò che era accaduto a La Serenità e il folletto sapeva tutto ormai. Aveva assunto un'espressione di disappunto non appena aveva udito anche lui lo sproloquio di Alan, e Rose aveva sospettato ci avesse colto un senso che a lei sfuggiva. A volte cercava di riflettere sullo scopo dell'arrivo del folletto, e si era convinta fosse perché con la mamma e la nonna faticava a parlare della condizione di Alan, e così era arrivato un nuovo confidente. Forse non stava impazzendo come Alan, dopotutto. Forse il suo cervello stava solo cercando di tranquillizzarla alla sua maniera, per quanto folle. Era la spiegazione che la rassicurava di più.

Rose aprì la porta e uscì, strizzando gli occhi per via del nevischio. I fari della Jeep di Ann si erano spenti; uno stivale emerse dalla portiera, seguito a breve da un altro.

«Ci mancava solo la bufera!» sibilò, chiudendo la portiera con uno scatto secco. Si accorse di Rose e i suoi occhi color nocciola, l'unica parte visibile del suo volto, si illuminarono. «Rosie!»

«Ann» disse lei, con un sorriso. La raggiunse con un paio di balzi e la strinse in un abbraccio.

Ann era molto più alta di lei e aveva preso da loro padre l'ossatura imponente. In effetti, assomigliava molto ad Alan, sia nel volto dai lineamenti marcati che nei capelli castani. Sua sorella era un morbido monolite, così piacevole e rassicurante da abbracciare. Il suo odore ricordava a Rose quello di loro padre: sapeva di pulito, con una nota di pino silvestre.

«Come stai, Rosie? Non ti vedo da secoli» mormorò Ann, accarezzandole i capelli. «Ti sono cresciuti, eh?»

Sua sorella aveva un vago accento scozzese, un residuo di quando Alan era andato a lavorare in Scozia e aveva vissuto là per circa due anni assieme a Iris. Anche dopo la sua morte i due avevano parlato a lungo in inglese, quando erano a casa.

«Li ho lasciati crescere» mormorò Rose, con un sorriso. «E tu? Li hai tagliati ancora?»

Ann sorrise e si tolse il berretto, mostrandole il capo dai capelli talmente corti da sembrare quasi rasati. Le erano sempre piaciuti i tagli grintosi.

«La nonna ti farà il cazziatone» ridacchiò Rose. «Sai che le piacciono lunghi. Ti dirà che sembri un maschio.»

Ann si strinse nelle spalle e la prese a braccetto. Assieme entrarono in casa e si chiusero la porta alle spalle.

«Allora è lei tua sorella! Un donnone super tosto» commentò Urchin, allungandosi dal colletto del maglione per poter dare un'annusata ad Ann. Spiccò il volo e si avvicinò a lei.

Rose stava appendendo il giubbotto, quando Ann cominciò a gridare a squarciagola. Stava cercando di colpire Urchin con il giubbotto, mentre il folletto strillava, evitando a stento i suoi colpi.

«Volevo solo sentire che profumo aveva!» singhiozzò, scansando per un soffio il soprabito di Ann.

Volò come una freccia verso Rose, che lo strinse al petto per proteggerlo. Ann smise di tentare di aggredirlo, guardando sia Rose che il folletto con occhi sgranati. Rose era sicura di avere un'espressione molto simile a quella di sua sorella.

Lei poteva vederlo?

Allora Urchin non era un frammento della sua immaginazione. Non stava diventando pazza! A meno che sua sorella non condividesse la sua pazzia, ovviamente, ma Rose non aveva mai sentito parlare di due persone che vedessero le stesse allucinazioni senza averle condivise prima. O si trattava della coincidenza più ridicola dell'universo o Urchin era più reale di quanto avesse creduto.


Mundbora - L'ombra degli antichiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora