Capitolo 27: La Terra del Rosso

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«Ehi, non lasciarmi qui!» piagnucolò la conchiglia.

«Scusa, ma non voglio far arrabbiare nessuno. Non sia mai che mi prendano per una ladra» si scusò Rose, elargendo una carezza al guscio vuoto.

La conchiglia borbottò qualcosa, poi restò immobile. Rose trasse un sospiro e scese lungo la strada in terra rossa che portava alla conca dove si trovavano i villaggi.

Cercava di non pensare troppo a Wulfric, ma il ragazzo si trovava nel centro della sua mente, e non voleva andarsene. Doveva lasciarlo solo per un po', non le aveva chiesto molto. Era in grado di badare a se stesso, ce l'avrebbe fatta per qualche minuto.

Rose si portò le dita al ciondolo che aveva al collo. «Se solo ne avessi creato uno anche io, mi sentirei molto più tranquilla nell'allontanarmi da lui. Dev'essere stato terribile per Wulf scoprire quelle cose su Myr. Non avrei voluto che lo succedesse così, però mi sono trovata davanti quel bastardo, ed ero così incazzata! Non sono riuscita a trattenermi.»

«Myr ha molto di cui dare conto», disse Urchin, sedendosi sul colletto della sua tunica bucherellata. «Si dovrebbe vergognare per averti imposto un incantesimo cancella-memoria. Ho sempre saputo che covava dell'odio per le Daone Sith, ma non pensavo sarebbe arrivato a mettere in gioco le vite di tutti per la sua vendetta.»

«Cosa pensava di fare? Di riuscire a uccidere le fate più potenti dell'Oltremondo?»

Pronunciato ad alta voce, il piano di Myr sembrava ancor più ridicolo di quanto non le fosse apparso la prima volta. Più rifletteva sul Mundbora e più Rose sentiva di allontanarsi dalla comprensione del suo carattere. Myrddin non era mai stato legato a nulla: non era riuscito a vivere fra gli uomini, non era riuscito a vivere fra le fate. Era una creatura profondamente sola, ma lo era anche perché lo aveva deciso. Abbandonare le persone gli riusciva con fin troppa facilità, e Rose non riusciva a perdonarglielo, perché rivedeva se stessa nelle sue azioni. Lei aveva abbandonato la sua famiglia, ma non avrebbe lasciato la faccenda in sospeso. Non appena avessero trovato un modo di sistemare ogni cosa, sarebbe andata da loro, e gli avrebbe chiesto scusa.

Rose si chinò su un cespuglio di un rosso tramonto, dai cui rametti fibrosi pendevano frutti piccoli e coriacei.

«E' Pungitopo Fatato. Non è velenoso, come nel mondo degli umani. Per essere specifici, qui nessun cibo è velenoso. L'unico problema sono gli Effetti che potrebbe provocare» spiegò Urchin, intromettendosi nel flusso dei suoi pensieri.

«Effetti?» chiese Rose, mentre raccoglieva le bacche. Era ancora assorta, e aveva lo sguardo fisso.

«Sì. Ci sono frutti che ti rendono euforico, altri che ti fanno perdere la testa, altri ancora che ti permettono di compiere salti di dieci metri. C'è di tutto. Per fortuna il Pungitopo mette solo un po' di allegria, prevalentemente legata al fatto di riempirsi la pancia. E' anche molto buono, sa di pesche.»

Rose annuì e si riempì le tasche di quelle bacche. Dovevano trovare altro cibo.

«Sei talmente silenziosa» disse Urchin, e le punzecchiò una guancia con le dita. «Wulfric è al sicuro, non temere. Dobbiamo solo trovare qualcos'altro da mangiare e possiamo tornare a prenderlo, poi andremo in qualche villaggio e troveremo un riparo. Delle fate si possono dire molte cose, ma se rispetti le nostre usanze, siamo le creature più ospitali che ci siano. Dimmi, a che pensi?»

«Sto pensando a chi ho lasciato indietro. Povero Geodfrith. Spero non gli succeda niente.» Rose si passò una mano sul viso. «Avrei lasciato indietro anche te, se non fossi stato nella mia borsa. Non sai quanto io sia felice di averti qui, Urchin. Senza di te non avrei saputo che fare. Da quando mi trovo ad Avalon tu sei quello che mi è stato più vicino.»

Mundbora - L'ombra degli antichiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora