«Sì, assieme a Laura, un'altra operatrice.»
«La conosco. E' sempre stata simpatica a papà.»
Si fermarono di fronte alla porta numero nove, al primo piano. La Serenità poteva ospitare al massimo venti pazienti, perché preferiva dedicare loro cure migliori.
Marco bussò con gentilezza e attese una risposta. «Posso entrare?»
Un flebile grugnito provenne dall'interno e Marco aprì. Non c'erano chiavi con le quali i pazienti potessero chiudersi dentro, e accanto ad Alan c'era Laura, una donna dai capelli rossi raccolti in una crocchia morbida e lo sguardo materno.
«Ciao, Rose!» esclamò lei, col consueto tono gioviale. Le andò incontro e la strinse in un abbraccio. A Rose faceva pensare a una di quelle zie che portano sempre regali ai nipoti. «Come stai, ragazza?»
«Bene, bene» rispose Rose, nonostante fosse lungi dall'essere vero.
Il suo sguardo si posò su Alan, che era chino su un foglio. Era molto più magro rispetto alla persona gioviale e amante del cibo che aveva diretto la cucina di Ca' dei Glicini, e per via della sua snellezza era difficile riconoscerlo. Gli occhiali da miope gli erano scesi sulla punta del naso dritto, e le sue labbra erano arricciate in una smorfia di concentrazione: era intento a riempire un foglio nero di sfregi verde brillante. I corti capelli castani erano stati pettinati all'indietro e i suoi occhi nocciola erano totalmente assorbiti dal lavoro. Quel giorno Alan indossava un maglione decorato da un motivo a rombi e un paio di pantaloni di tuta, nei quali era stato rimboccato il maglione.
Sembrava molto più vecchio dei suoi sessant'anni, e Rose dovette trattenersi dall'abbandonarsi a un sospiro avvilito. Tentò di sorridere e si sedette di fronte a lui sotto gli sguardi attenti di Laura e Marco, riunitisi in un angolo per scambiare due chiacchiere sul paziente.
«Ciao, papà» disse Rose, sporgendosi in avanti per guardare il suo disegno. Una nube nera, nella quale si distinguevano solo dei globi verdi.
Gli occhi di suo padre si staccarono dal disegno solo per un istante, fissandosi nei suoi, prima di tornare a concentrarsi sulla carta. Il cuore di Rose batteva con tanta forza da essere quasi sgradevole; la ragazza trasse un profondo respiro e tentò di calmarsi.
«Come stai?»
Lui borbottò qualcosa di incomprensibile e prese un pastello verde chiaro, colorando l'interno dei globi.
Rose cercò di mostrarsi interessata. «Cosa stai disegnando? Degli occhi?»
Alan scoccò un'occhiata guardinga a Marco e Laura, le spalle curve, poi tornò a guardare lei. Non la fissava davvero nelle pupille. Il suo sguardo era perso in un punto imprecisato poco sopra la sua fronte.
«Non mi piace, non voglio che mi guardino» La sua parlata veloce e sfuggente era andata peggiorando col tempo. Era difficile stargli dietro, specie quando parlava in inglese, la sua lingua materna. «They're here, they're watching me all the time; the green lights never sleep. Rose, listen to me: never look at them, never follow them. They get into your head, they make you lose your mind, Rosie. You know I love you. Take this. Take it, so you'll know how they're made.»
Rose tentava invano di controllare il bruciore che le stava risalendo lungo la gola. Non voleva piangere davanti a lui. Era Alan quello che soffriva di più, non lei. Piangere lo avrebbe fatto solo sentire ancor più solo nel muro che si era costruito attorno alla coscienza.
Rose deglutì e accettò il foglio che suo padre le stava porgendo con mano tremante, mentre tamburellava nervoso con un piede con tanta forza da far traballare la sedia. La ragazza piegò il foglio e lo mise in tasca. Conservava sempre i suoi disegni.
Alan si alzò subito dopo, come a dire che la loro conversazione si era conclusa, e si avvicinò alla porta.
«Alan, non vuoi stare ancora un po' con Rose?» gli chiese Laura, posandogli una mano sulla spalla con la sua abituale dolcezza.
Lui premette la mano sulla porta e lei sospirò. Non gli si poteva imporre di restare, se non voleva.
«Scusa, Rose, ma Alan vuole proprio uscire. Dev'essere molto emozionato per la tua visita, e le forti emozioni lo turbano. Ha bisogno di schiarirsi le idee, non è vero, Alan?»
Alan emise un gemito e premette di nuovo la mano sulla porta.
Laura lo prese sottobraccio e aprì la porta, conducendolo all'esterno. Una volta che la porta si fu richiusa, Rose appoggiò la testa sui palmi delle mani e smise di trattenere le lacrime, che le scivolarono lungo il naso.
Marco le porse un fazzoletto che lei usò per pulirsi il viso. «Si è rivolto direttamente a te, stavolta. Ti ha riconosciuta. Parla sempre delle luci che vede e dice anche a me che non devo fidarmi di loro. Sta cominciando ad aprirsi, vedi? E' molto importante. Forse siamo sulla strada giusta, Rose. Non perdere la speranza.»
Rose pensò che Marco fosse molto buono ma che non avrebbe mai potuto capire del tutto. Non avrebbe mai potuto comprendere quanto fosse doloroso per lei e il resto della sua famiglia vedere Alan in quello stato: non lo aveva conosciuto com'era prima, non aveva mai ascoltato la sua risata ruggente e nemmeno le sue parole consolatorie, quando lei si era sentita esclusa dai compagni da bambina.
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Mundbora - L'ombra degli antichi
Fantasy"Non ci si dovrebbe fidare delle fate. Sono creature volubili e non hanno gli stessi canoni morali degli esseri umani. Non gli importa di niente, il loro unico desiderio è divertirsi il più possibile. Non lo fanno per malvagità, ma perché non capisc...