La strada che attraversava il Mondo dell’Indaco si dipanava su una pianura attraversata da una serie di fiumi che davano vita a una composizione a pentagono, all’interno della quale si potevano distinguere cinque triangoli isosceli. In ogni triangolo la vegetazione assumeva una composizione differente. Nel primo, quello che stavano attraversando in quel momento, c’era un ponticello di legno che scricchiolava sotto i loro piedi, sospeso su un’acqua pervasa da spirali lillà. Dei cuccioli di Selkie che li avevano seguiti da quando avevano lasciato il Mondo dell’Azzurro nuotavano in quel colore che li avvolgeva come un vestito fluido, e si mettevano a pancia in su per poterli guardare coi loro occhioni.
Rose sorrise a una delle piccole foche e si chinò per accarezzarle la testa, guadagnandosi uno sbuffo d’impazienza da parte di Artri. Si rimisero subito in cammino, e le mangrovie che dal Mondo dell’Azzurro si estendevano fin lì cominciarono a lasciare posto a un tappeto d’erba. I fili indaco, quel bizzarro colore che non era né blu né viola, arrivavano ad accarezzare la vita di Rose.
Il fiumiciattolo che scorreva sotto il ponte raggiunse il vertice del pentagono, dal quale si dipanava in cinque segmenti che correvano in direzioni opposte. Proprio lì, al centro del Mondo dell’Indaco, trovarono qualcosa che lasciò Rose a bocca aperta.
Una scultura stupefacente a forma di corpo addormentato era distesa su un fianco, con un braccio abbandonato sull’addome e uno dietro la testa. La statua era attraversata da sfumature blu, azzurro e viola che creavano dei motivi irripetibili, e parte di essa era provvidenzialmente crollata, formando un passaggio che avrebbe permesso loro di attraversarla.
Rose sapeva che non avevano tempo, eppure non riuscì a fare a meno di fermarsi per contemplare quella meraviglia. La statua era stata erosa dagli agenti atmosferici, eppure disponeva ancora di un tale livello di dettagli che sembrava viva. Il suo volto aveva dei lineamenti femminili morbidi e delicati, che sembravano scolpiti nella pasta di mandorle, anziché nella pietra. Le lunghe ciglia delle palpebre si fondevano alle guance, e una lacrima silenziosa era stata catturata mentre scivolava lungo il lato destro del viso, perdendosi nell’erba indaco. Dei lunghi capelli ondulati erano stati sparsi sul terreno, nel quale affondavano come le radici di un albero. Il corpo era avvolto in un vestito leggero, al termine del quale spuntavano due piedi levigati, dalle delicate unghie rosa.
«E’ bellissima. Chi l’ha scolpita?» sussurrò la ragazza, avvicinandosi a Wulfric.
Il giovane si riscosse dalla contemplazione e assunse un’espressione interrogativa, stringendosi nelle spalle.
Ilioputli aggrottò le sopracciglia e guardò Artri, che sembrava improvvisamente assorto nel soppesare la propria spada.
«Come? Non lo sapete?» chiese loro. «Non sapete cos’è successo nell’Oltremondo?»
Rose avvertì una stretta allo stomaco, senza riuscire a capire perché. Scosse lentamente la testa. Il Grande Orso continuava a ignorarli, come se non avesse alcuna intenzione di venire coinvolto in quella conversazione.
Ilioputli si schiarì la gola e si passò una mano nei capelli. Cercava di contenere il nervosismo, ma non le piaceva per niente essere stata messa in quella posizione.
«Ecco, molti eoni fa, quando le fate non si erano ancora avvicinate alla Terra e l’Oltremondo vagava ancora nell’universo, c’è stata una guerra terribile. La maggior parte delle sorelle di Finvarra, le Daone Sith, si sono uccise a vicenda, schierandosi su due fronti. Le uniche sopravvissute sono Medb e Nimueh, oltre al Re Candido. Quella che vedete davanti a voi non è una statua, ma quello che resta dopo la morte di una Daone Sith.»
Le parole di Ilioputli echeggiarono nel silenzio. Persino gli uccelli avevano smesso di cantare, e i cuccioli di Selkie si erano allontanati, riprendendo la via di casa. Quella era una storia che tutti conoscevano, ma della quale non amavano affatto parlare. Era come un segreto condiviso che, se detto ad alta voce, risvegliava un antico dolore.
«Ci sono state perdite da entrambi i fronti. Da un lato, c’era la schiera di Nimueh, dall’altro, quella di Medb. Dalla parte di Medb si erano poste la Daone Sith del Giallo, Vaneta, e quella del Rosso, Blodwen; da quella di Nimueh, invece, quella dell’Indaco, che ora vedete qui… la giovane Ygerna, e quella dell’Arancione, Leannan. Sono tutte rimaste uccise nella guerra. Una guerra inutile, che ci ha solo resi più deboli e ha segnato l’inizio della fine per la nostra specie.»
A Rose venne spontaneo posare una mano sulla spalla di Ilioputli per farle sentire la propria vicinanza.
«Mi dispiace. Sul serio» sussurrò.
Guardò i resti di Ygerna e si sentì come se fosse stata sul punto di piangere. Di nuovo quel senso di inutilità la pervase. Perché Medb e Nimueh continuavano a lottare l’una contro l’altra? «Non permetteremo che la storia si ripeta, Ilioputli. Salveremo Nimueh.»
La Ninfa annuì e cercò di sorriderle, grata per le sue parole, malgrado nei suoi occhi trasparenti aleggiasse un’ombra di tristezza.
«Ma perché si sono distrutte a vicenda?» chiese Wulfric, posando una mano sull’ametista, ancora assorto nella contemplazione del volto di Ygerna. «Perché questa guerra?»
«Le dee sono capricciose, ragazzo» si intromise Artri, rimettendosi la spada sulla schiena.
«Questo è più che un capriccio! Saremo giovani, ma non siamo stupidi, Artri» sbottò Wulfric. «Ormai non siamo più degli apprendisti. Abbiamo il diritto di sapere. Cos’è successo qui? Perché avrebbero dovuto scontrarsi in questo modo?»
Artri trasse un sospiro denso di frustrazione, alzando gli occhi al cielo.
«Dannato Finvarra» sibilò, stringendo un pugno come se avesse voluto minacciare il Re Candido. «Perché mi hai messo in questa situazione? L’hai fatto apposta, non è vero? Spero che tu ti stia divertendo, vecchio barbagianni.»
Rose, rimasta in silenzio a riflettere, non udì nemmeno l’ultima esternazione di Artri. Una domanda le premeva nell’anima. «E l’ultima Daone Sith? Una di loro non l’hai nominata, Ilioputli. La Daone Sith del Mondo del Violetto… che fine ha fatto?»
Il volto di Ilioputli venne attraversato da un’ondata bluastra e scosse la testa. «Non penso di potervelo dire» mormorò, con voce a malapena udibile.
«Come? Perché no?»
«Non mi piace parlare di questa storia. La vostra missione è salvare Avalon, non rivangare il passato. Per favore…»
Un gomitolo di rabbia si formò nelle viscere di Rose. Perché faceva tanto la misteriosa, adesso?
«So già che continuerete a chiedermelo fino allo sfinimento» grugnì Artri, incrociando le braccia. «Tanto vale che ve lo dica adesso. La Daone Sith del Mondo del Violetto, Devnet, non si è schierata per il semplice fatto che è morta prima dell’inizio della guerra.»
«Chi l’ha uccisa?»
«Nessuno. Si è semplicemente spenta, un po’ alla volta, finché di lei non è rimasta una statua.»
Rose non riusciva proprio a immaginarsi un motivo per cui una Daone Sith avrebbe dovuto lasciarsi morire. Erano delle creature eccezionali, gli esseri più potenti dell’universo conosciuto.
All’improvviso a Rose venne in mente il discorso di Artri riguardo il Tristo Mietitore, o la Caeilleach, come la definivano ad Avalon: la portatrice dell’inverno perenne. Lui aveva detto che la morte era un dono, non una maledizione; silenzio, in mezzo a tanto chiasso. E fate potenti come le Daone Sith invidiavano gli esseri umani per quella libertà assoluta. Per la capacità di fare figli e far sì che fossero nuove energie a portare avanti il carro della storia, anziché continuare ad arrancare sotto il peso di una vita immensa che finiva per diventare insopportabile, nella sua solitudine. Le Daone Sith non potevano essere comprese da nessuno se non dalle loro simili, ed erano rimaste solo in tre, senza avere per giunta alcun genere di contatto. Finvarra rinchiuso nel suo mondo, Nimueh e Medb intente a continuare la guerra del passato, fino alla fine.
«Perché si è lasciata morire?» sussurrò Rose, posando una mano sul braccio di Artri.
Artri abbassò lo sguardo, scuotendo la testa.
«Devnet era la più gentile e sensibile delle Daone Sith, ed era dotata di preveggenza. Aveva capito una cosa che le sue sorelle si erano rifiutate di vedere: le fate avevano giunto il picco dell’evoluzione magica. Non c’era un altro posto dove andare, non c’era un altro modo per migliorarsi e continuare a prosperare. Sarebbero state soggette alle leggi degli dei, ovvero agganciarsi a mondi materiali per sopravvivere e andare avanti con l’energia spirituale di creature senzienti. Niente capacità di rinnovamento; sarebbero rimaste immobili, per sempre, finché il loro mondo non fosse scomparso, rovinando nella polvere… proprio com’era successo alle civiltà magiche precedenti contenute nelle Volte Varianti, ridotte a mondi sterili senza alcun essere vivente sopravvissuto.»
«Dunque è morta di tristezza?»
«No. No, affatto» disse Artri e sollevò lo sguardo. I suoi occhi blu, così penetranti, erano circondati da un alone umido che li faceva tremolare. «Ha deciso di sacrificarsi, per permettere alle sue creature, i Fructoedi, di poter abitare altri mondi e ricominciare da capo. Ha permesso loro di rinascere, ridistribuendo la sua essenza magica immensa in innumerevoli piccole anime. Li ha mandati lontano… lontanissimo, dove non sarebbero mai stati trovati di nuovo, per permettere loro di riprendere a vivere la vita che le altre fate non avrebbero mai potuto condurre.»
«Alcune Daone Sith non capirono il sacrificio di Devnet e il suo incredibile, profondo amore per gli esseri cui aveva dato la vita, e si schierarono in due parti: Nimueh, che voleva permettere a questi esseri di vivere la loro vita se era questo che avevano deciso, e Medb, che non voleva permettere loro di voltare le spalle al mondo fatato. Col tempo, Nimueh è riuscita a far sì che queste creature dimenticassero il loro luogo di provenienza, e la loro magia si è affievolita fino a scomparire quasi del tutto nella maggior parte di loro, come Devnet avrebbe voluto. In questo modo i Fructoedi sono stati in grado di imboccare un’altra strada, quella della mortalità, dell’evoluzione graduale e collettiva, e non individuale… la strada dell’evoluzione materiale, con la possibilità di rinnovarsi grazie ai geni e all’unione dei loro corpi. Ma Medb a un certo punto non è più riuscita a tollerarlo, e così ha tentato di riportare la magia nella loro terra. Ci sta provando ancora adesso. In fondo anche lei vuole molto bene a queste creature, però non riesce a capire cos’è meglio per loro, e perché è giusto che le cose vadano in questo modo… che la magia venga dimenticata, per quanto sia triste.»
Rose batté le palpebre e un calore liquido le colò lungo le guance. Non avrebbe voluto piangere, eppure doveva. Anche Wulfric aveva gli occhi lucidi, come Artri, e si strinse a lei, avvolgendola con le proprie braccia. Rose si sentì meno piccola fra le sue braccia e soffocò un singhiozzo, nascondendo il viso nel suo petto.
Devnet era morta per permettere ai Fructoedi di rinnovarsi.
Era morta tanti eoni addietro, senza chiedere nulla in cambio.
Si era sacrificata per gli esseri umani.---
N/A: ciao, ragazzi! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.. Forse ora capirete meglio le ragioni di Medb e Nimueh e il perché di questa lotta :)
Mundbora è passata nella shortlist dei Wattys, la rosa dei candidati! Ringrazio chi ha letto fino a questo punto e spero che la storia continuerà a piacervi, come al solito. Non vedo l'ora di mostrarvi Finvarra, non manca molto!
Quando avrò finito gli esami mi rimetterò in pari con i commenti, sappiate che li leggo sempre e li apprezzo molto, mi mettono sempre di buon umore :)
Alla prossima!
STAI LEGGENDO
Mundbora - L'ombra degli antichi
Fantasy"Non ci si dovrebbe fidare delle fate. Sono creature volubili e non hanno gli stessi canoni morali degli esseri umani. Non gli importa di niente, il loro unico desiderio è divertirsi il più possibile. Non lo fanno per malvagità, ma perché non capisc...