«Ann, tu lo puoi vedere?» balbettò Rose, col cuore in gola. Urchin si agitava fra le sue dita, ancora troppo spaventato per guardare fuori.
Sua sorella non rispose, ancora ansimante. Appese il giubbotto, deglutì a fatica e si sistemò il maglione per darsi un tono. «Speravo che a te non sarebbe toccato» mormorò.
«Toccato cosa, Ann?»
«Vederli! Questa casa è sempre pullulata di mostriciattoli! Li ho visti sin da quando ero bambina, e anche pà! Lui faceva amicizia con quelle dannate creature... e adesso anche tu.»
«Ann, di cosa stai...»
«Sono state loro a farlo impazzire, Rose! Gli hanno sussurrato cose nelle orecchie, lo hanno convinto a farci del male. Lo hanno rovinato» mormorò Ann, con voce sommessa. Di solito sua sorella era impassibile, ma, in quel momento, i suoi occhi scintillarono di lacrime. «Pensavo che quegli esseri se ne fossero andati tutti, dopo che pà ha abbandonato la casa, e invece sono ancora qui.»
Rose avvertiva un blocco di ghiaccio all'altezza della gola. Non riusciva a parlare. Non avrebbe nemmeno saputo cosa dire. Allora le cose che aveva visto Alan... i suoi dipinti... erano reali tanto quanto la neve che stava cadendo in quel momento.
Rose schiuse le dita in modo da far vedere Urchin ad Ann. Sua sorella si avvicinò e lo esaminò con più attenzione. Il folletto emise un singulto e si infilò in una manica del maglione di Rose per proteggersi.
«Non è cattivo, Ann» riuscì a biascicare la ragazza. Provava una forte sensazione di irrealtà, come se non fosse stata davvero lei a parlare. «Si chiama Urchin, è un folletto-riccio. Mi ha tenuto compagnia da quando l'ho trovato nel mio bagno, in Scozia, e lui mi ha seguito fin qui. Mi ero convinta che fosse solo un'allucinazione.»
«Ti piacerebbe» brontolò Ann. Trasse un profondo sospiro e scosse la testa. «Pà aveva una vera fissa per queste creature, le ha ritratte quasi tutte.»
«Credevo si fosse immaginato tutto.»
«Ne sarebbe stato capace, ma in questo caso, no. L'ispirazione non gli mancava, la nostra casa era piena di fate. Non so se ci siano ancora da quando lui se n'è andato, ma hai presente il ramo di glicini che c'è sotto lo studio di pà?»
«Sì. Ha cercato di insegnarmi a disegnarlo, ogni tanto» sussurrò Rose, ancora scombussolata, mentre Urchin emergeva con cautela dal maglione.
«Ecco, quei glicini erano zeppi di Silfidi. Quelle creature sono minuscole, grandi quanto una capocchia di spillo, e appaiono come una nebbiolina. Ce ne sono di tanti tipi, e noi avevamo quelle che assomigliano a delle api. Pà diceva che facevano anche il miele... un miele che, se mangiato, aiutava a distendere i nervi. In giardino invece, sotto la legnaia, viveva un Puck, un folletto grande tanto quanto un ratto con la testa sproporzionata e un umorismo del cavolo. Faceva sempre scherzi o battute idiote. O ancora, tu non te lo ricordi, ma quando avevi tre anni io e papà ti abbiamo trovato in giardino che giravi in tondo: due Piote Vaganti si divertivano a confonderti, senza permetterti di tornare in casa. Potrei parlarti per ore di cose del genere, ma penso tu abbia capito. C'erano davvero tante fate da queste parti, fin troppe.»
Ora che ci ripensava, Rose ricordava che da bambina aveva passato ore in giardino a giocare. Non si era mai annoiata, perché si era convinta che ci fossero delle creature che si nascondevano negli alberi o sotto i sassi. Un paio di volte le era anche sembrato di vedere qualcosa, ma con gli anni l'aveva liquidato come parte della sua fantasia di bambina e nulla più. Le era capitato di prendere un animaletto selvatico col retino, una specie di coniglio. Rose pensava "una specie" perché si ricordava ancora che la creatura aveva avuto qualcosa di molto strano: l'aveva guardata con due occhi talmente intelligenti e tristi, talmente umani, che Rose l'aveva lasciata andare. Il coniglio poi era tornato a farle visita durante le sue esplorazioni del giardino, e Rose gli aveva offerto delle carote, ma l'aveva creduto solo uno dei tanti animali da cortile che Alan e Ilenia tenevano per far andare avanti Ca' dei Glicini. Gli aveva anche dato un nome, Tippete. Però lui dopo un po' non si era più fatto vedere. Rose aveva creduto che fosse scappato o, il cielo non volesse, che fosse finito nelle pance dei loro clienti.
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Mundbora - L'ombra degli antichi
Fantasy"Non ci si dovrebbe fidare delle fate. Sono creature volubili e non hanno gli stessi canoni morali degli esseri umani. Non gli importa di niente, il loro unico desiderio è divertirsi il più possibile. Non lo fanno per malvagità, ma perché non capisc...